Mast di Bologna / Thomas Struth. Nature & Politics

8 Marzo 2019

Iniziamo dalla fine. L’ultima fotografia della mostra “Nature & Politics” di Thomas Struth al Mast di Bologna si intitola “Seestück, Donghae City”. Si vede il mare. Ci sono quasi tutti gli elementi primordiali entro cui ogni cosa può prendere forma: aria, terra, acqua. Le onde, le rocce, la schiuma portano il nostro sguardo verso la linea dell’orizzonte. Ci invitano ad andare altrove. Cosa rappresenta? Il futuro? O la linea che separa ciò che esiste da ciò che esisterà anche dopo l’uomo? È questa la “Nature” del titolo. Tutto il resto è “Politics”, ovvero ciò che la “polis” è diventata, l’ultimo elemento: fuoco e tecnica. 

Le foto mostrano macchine, dispositivi e installazioni di una tecnologia all’avanguardia. Thomas Struth si muove in mondi il cui accesso ci è solitamente precluso e ci mostra una serie di sperimentazioni scientifiche e interventi che in un momento imprecisato, nel presente o nel futuro, in modo diretto oppure mediato, faranno irruzione nella nostra vita. Le didascalie non sono d’aiuto. Le parole aggiungono mistero al mistero. Le definizioni non definiscono: Measuring, Stellarator Wendelstein, Tokamak Asdex Upgrade, Laser Lab o Grazing Incidence Spectrometer. Di fatto vediamo motori verdi fosforescenti che sembrano quasi immateriali, grovigli di cavi, meccanismi complessi e incomprensibili, laboratori scientifici dove regna un caos di fili e strumenti di misurazione e controllo. 

 

Thomas Struth Cappa chimica, Università di Edimburgo / Chemistry Fume Cabinet, The University of Edinburgh, 2010 C-print, 120,5 x 166,0 cm © Thomas Struth.


Thomas Struth Spettrometro a incidenza radente / Grazing Incidence Spectrometer, Max Planck IPP, Garching, 2010 C-print, 115,1 x 144,0 cm © Thomas Struth.


Fuoco e tecnica si diceva. Ed è ciò che avviene anche nell’immagine: anche qui tutto è a fuoco. L’inquadratura racchiude il contenuto della fotografia in un unico colpo d’occhio. Si percepisce che il fotografo, in piedi davanti ai propri soggetti, impone un ordine alla scena che ha di fronte, mostra il caos dandogli una struttura e impone quest’ordine scegliendo un punto d’osservazione, un’inquadratura, un momento per lo scatto. Vediamo tutto, ma non capiamo nulla. A cosa serve lo spettrometro a incidenza radente, l’albero bronchiale, o l’ondoscopio curvo? Se lentamente l’alterità di questi ingranaggi diminuisce, il nesso complessivo sfugge alla nostra comprensione. Mai come nelle immagini di Thomas Struth si ha l’impressione di essere sempre molto lontani da ciò che si sta guardando. La fotografia riflette l’impenetrabilità di ciò che mostra. 

 

Thomas Struth Golems Playground, Georgia Tech, Atlanta, 2013 C-print, 235,1 x 328,0 cm © Thomas Struth.


Il nostro occhio non prende possesso delle cose. Ciò che vediamo è caotico ma non disordinato, perché tutto sta nel posto preciso in cui deve stare. Eppure lo stile documentario dell’immagine, in perfetta sintonia con la chiarezza che evoca la presunta razionalità della scienza, non trasmette alcuna conoscenza. L’idea per cui il visibile deve essere leggibile e deve veicolare una verità che include un dovere estetico e un imperativo etico viene messa in discussione, proprio attraverso una chiarezza e una visione che escludono il senso di ciò che vediamo. Vedere non significa capire. Si può solo presumere, nel senso di supporre o, meglio, stare in bilico tra il ritenere ciò che è dinnanzi a noi e il desiderio di spingersi oltre l’immagine. Il limite di queste fotografie è anche il limite della nostra capacità di comprendere. Se il senso di “fotografia” è “scrittura della luce”, “words of light” annotava William Henry Fox Talbot su una delle copie del Pencil of Nature, cosa sta scrivendo Thomas Struth? Cosa diventano gli spazi del Mast che le espone: un deposito, una galleria d’arte, un santuario, un osservatorio? Cosa c’è in queste fotografie? 

 

Thomas Struth Modello in dimensioni reali / Full-scale Mock-up 2, JSC, Houston, 2017 Inkjet print, 208,1 x 148,6 cm © Thomas Struth.


Un tentativo di mostrare la relazione tra uomo e tecnica. Qui non vi è stupore, ammirazione, o glorificazione della macchina. Le immagini di Struth sono anch’esse macchine, a loro volta camere di compensazione dello sguardo. Tutto è sospeso: sguardo e giudizio. Il binomio “Nature & Politics” porterebbe a credere che esista un punto in cui il reale e l’immaginario, il visibile e l’invisibile, il passato e il futuro, l’ordine e il disordine cessano di essere percepiti come contraddittori. Le immagini di Struth sono complesse perché cercano di rappresentare un mondo complesso. Non spiegano ciò che mostrano ma cercano di mostrare la difficoltà di capire. La loro opacità è semplice perché la complessità è difficile da intendere. Qui anche le idee di semplice e complesso perdono i loro confini precisi. La superficie coincide con la profondità. Questa esposizione forzata, in cui tutto appare nel momento in cui si sottrae, sta forse suggerendo di plasmare una nuova topografia dello sguardo? Si devono spalancare gli occhi e non cessare di porsi i quesiti che inducono a capire ciò che ci sta davanti. 

Cos’è più complesso: l’uomo e la sua a-sincronia o la macchina simbolo di organizzazione ed efficienza, dove tutto è perfettamente sincronizzato? E se pensiamo alle immagini di Struth, il confronto è riassumibile in un altro quesito: cos’è più misterioso, il mare o il caos ordinato dei fili e dei meccanismi? Così facendo, lo sguardo interroga se stesso e la sua presunta egemonia. E tocca anche il noema della fotografia, l’idea che non abbandona mai nessuno spettatore: il presunto potere di testimonianza di un’immagine, ciò che è assolutamente innegabile: l’“è stato” (ça a été) di Roland Barthes. Qui è tutto dinnanzi a noi eppure non c’è nulla che si possa davvero dire che esista. 

 

Thomas Struth GRACE-Follow-On, veduta dal basso / GRACE-Follow-On Bottom View, IABG, Ottobrunn, 2017 Inkjet print, 139,7 x 219,4 cm © Thomas Struth.


Stavolta l’indice non indica che una forma di disorientamento in cui si è immersi. L’uomo si specchia dentro la sua opera e non riesce a riconoscersi. I fili delle macchine sono al tempo stesso un veicolo verso il futuro e retaggio di un passato che non ci abbandona, sono i serpenti dei capelli di Medusa che pietrificano i pensieri dello spettatore. Che la fotografia sia lo scudo di Perseo? Difficile da dire. Per il momento sembra metterci dinnanzi alla complessità di un problema e al modo di vedere-capire, anche se la scoperta di questa relazione complessa non comporta la risposta ai quesiti che vengono sollevati, quanto il “risveglio di un problema”, una presa di coscienza che non è solo intellettuale, ma anche estetica ed etica. Basta esserne consapevoli. 

Se con ogni utensile l’uomo perfeziona i suoi organi e sposta le frontiere della loro azione, se i motori gli mettono a disposizione forze gigantesche le quali, come i suoi muscoli, possono essere impiegate in qualsiasi direzione, con la macchina fotografica, diceva Sigmund Freud, ha creato uno strumento che fissa le impressioni fuggevoli della vista. Ma tutto questo non basta. La miglior fotografia di Struth non è quella in cui l’intenzione umana ha sconfitto il programma dell’apparecchio, quella cioè in cui il fotografo ha sottomesso l’apparecchio all’intenzione umana, come scriveva Vilém Flusser. E non rappresenta il momento in cui l’uomo domina e padroneggia a suo piacimento la macchina. Purtroppo non accade. 

 

Accanto al mare, a ciò che esiste, al suo essere eterno e sconfinato, e accanto alle rovine di un tempio greco, ovvero a ciò che sopravvive, le immagini di Struth, esposte al Mast consentono sia di intuire il potenziale estetico dei materiali più moderni, sia di comprendere che sono gli stessi materiali con cui la società dei consumi guasta il mondo in cui viviamo. Legate all’idea di un progresso che vorrebbe spingersi oltre il semplice esistere o il resistere al tempo, suggeriscono che l’ingegno dell’uomo, come le scienze e il progresso tecnologico lo hanno portato lontano, ma hanno impoverito la sua immaginazione. 

La scienza progredisce allo stesso ritmo dell’informazione violenta, dell’omologazione delle culture e dell’inquinamento ambientale, mentre l’economia rimane subalterna al puro calcolo monetario del profitto e l’efficienza del sistema è affidata a un apparato verticistico di burocrati che, come macchine obbedienti, si rifugiano all’ombra di un ruolo dentro cui arroccarsi. 

Davanti a un disegno così infernale cosa rimane del mistero della vita? Se l’immagine del mare suggerisce un mondo che continua oltre i suoi margini, cosa si cela dietro il groviglio di cavi che Struth ostinatamente insiste a fotografare? 

 

Mostra: Nature & Politics di Thomas Struth a cura di Urs Stahel

MAST, via Speranza 42, Bologna 

2 febbraio – 22 aprile 2019  

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