Colori 4. Storia del nero

30 Luglio 2022

Che colore ha il buio? Nero. All’inizio di tutto c’è la notte dominata da Nyx, figlia del Caos, madre di Urano e di Gaia. Divinità ctonia, il suo vasto regno comprende il sonno, i sogni, l’angoscia, il segreto, la discordia, la miseria, la vecchiaia, la disgrazia, e naturalmente la morte. Il nero è il suo colore. Quale nero sarà? Scrive Manlio Brusatin: “solo il sogno restituisce l’intensità e l’opacità del nero”, poiché “il nero non esiste nemmeno nella visione notturna che è velata, come rigata di tenebre”. Il mondo antico distingueva tra due tipi di nero: Ater, il nero opaco, e Niger, il nero brillante.

Il primo termine viene dall’etrusco e in latino è rimasto a lungo il vero nome del nero; a partire dal II secolo a.C. ha poi indicato il nero brutto, sporco e triste, divenendo un simbolo negativo; mentre Niger ha indicato l’evento luminoso dell’oscurità e delle tenebre, dato che nel campo dei colori, ricorda Michel Pastoureau, il rapporto con la luce resta primario. Il nero è all’inizio ambivalente: opaco e brillante, scuro e chiaro.

Contiene infatti due qualità opposte. Lo scrittore Maurice Blanchot ha affermato che nella coppia giorno-notte, luce-tenebre, è il giorno a contenere la notte e non viceversa; mentre l’artista Frida Kahlo ha affermato: “Nulla è nero; in realtà, nulla è nero”. Positività e negatività mantengono una tensione complessa nel nero. La grande questione che solleva come colore è quella della sua appartenenza o meno al campo stesso del colore: è un colore oppure un non-colore? Dal punto di vista scientifico rappresenta l’assenza di colore: si tratta infatti dell’esperienza visiva che abbiamo quando nessuna delle lunghezze d’onda visibili dell’energia elettromagnetica, comprese tra i 400 e i 700 nanometri circa, viene ricevuta dall’occhio.

Le cose appaiono nere quando, invece di riflettere, assorbono l’energia. Prima ancora che Newton nel 1666 escludesse il nero dallo spettro dei colori, questo colore-non colore ha attraversato momenti di grande fortuna e poi di grande sfortuna, una continua altalena. Come si ottiene il nero come pigmento? Dalla combustione. Il più antico è infatti il carbone usato a Lascaux per dipingere il Grande Toro sulle pareti della caverna; poi si ricorrerà alle ossa bruciate degli animali mescolate con minerali frantumati e ossidati.

L’altra fonte coloristica è l’inchiostro, ottenuto anche lui dal nero fumo mescolato ad acqua, colla animale o gomma arabica. Pittura e scrittura nascono entrambe dal nero. Agli inizi della civiltà cristiana gli animali neri sono negativi, come accade al vituperato corvo nella Bibbia; anche il diavolo, raffigurato solo a partire dal VI secolo d.C. in pitture e miniature, è nero. Nonostante ciò gli ordini monastici s’identificano attraverso abiti neri e abiti bianchi.

Nel Medioevo non è facile tingere di nero; per i monaci è il colore dell’umiltà e della rinuncia; ma nel tingere le vesti il nero sfuma ben presto nel grigio; così come rendere bianchi i tessuti non appare facile. L’ambivalenza simbolica del nero, comunque collegato alla morte, continua fino all’anno Mille; sino ad allora i valori positivi del nero – la morte non è la fine di tutto nelle religioni antiche – convivono con quelli negativi.

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Dopo quella data la dimensione positiva scompare, e il colore del buio diviene, con qualche eccezione, un attributo definitivo dell’Inferno. Nella teologia elaborata dall’abate Suger Dio è luce, per cui le tenebre, opposte e simmetriche, saranno immancabilmente nere. Poi accade qualcosa d’inatteso: il nero diventa un colore di moda. Avviene tra il XIV e il XVI secolo. Entriamo nell’epoca della cromofobia alimentata dai riformatori protestanti. Non sono solo loro a preferire lo scuro, ma anche i legislatori, i magistrati, gli uomini di corte.

Le leggi suntuarie emanate in quei secoli privilegiano il nero. In quei secoli vestirsi di scuro costituisce un’indubbia promozione sociale da parte di ricchi mercanti non ancora accettati dalla nobiltà e dal patriziato. Se si guardano i vestiti delle teste coronate e dei nobili, il Cinquecento, noto come il “secolo d’oro”, è anche il grande secolo nero; a partire dalla sua metà, e per un lungo periodo, sarà così. Un paradosso: il nero è un colore negativo e nel contempo è il più elegante. Poi arriva Isaac Newton.

Durante la peste del 1665, rifugiato presso la madre a Woolsthorpe, rivoluziona la scienza del suo tempo e insieme anche il colore: scopre la dispersione della luce bianca e lo spettro. Il nero non è più un colore. Esce da ogni sistema cromatico. Nello spettro Newton e il suo aiutante scorgono: viola, indaco, blu, verde, giallo, arancio, rosso. E con il nero esce di scena il bianco, per quanto la sua storia sia diversa per il suo stretto legame con la luce. Il colore diventa un’entità manipolabile e misurabile dalla fisica e dall’ottica.

Proprio allora comincia l’epoca del trionfo del colore, e inizia con la scienza moderna, che sposta dalla quantità alla qualità la valutazione del mondo fisico. Il nome di rilievo nella nuova età del colore è quello di un chimico francese, Eugène Chevrel. Nel 1839 pubblica un libro, De la loi du contraste simultané des couleurs, che avrà una influenza decisiva sugli artisti della sua epoca. E il nero? Sarà sempre meno amato, eppure non scomparirà. Continua a rappresentare il polo negativo. Lo psicoanalista junghiano James Hillman in un discorso in lode del nero (“Il colore non-colore”) sottolinea la preferenza del nero tra i riformatori religiosi e politici, e tra gli outsider – adolescenti, ribelli, pirati, signore della notte, adepti di vari culti, seguaci di riti satanici, puritani, anarchici, preti –, ovvero tra i “non conformisti”, i quali tuttavia restano, a suo dire, intrappolati nell’identificazione con questo colore, “confondendo uno stadio dell’esistenza con l’esistenza stessa”.

Escludendolo dal novero dei colori, dalla vivace bellezza dello spettro di Newton, l’abbiamo espunto dalla nostra cosmologia, incapaci come siamo di trovare un posto ai fenomeni “ombra” come il crimine, la crudeltà, il razzismo, la tossicodipendenza, la malattia mentale, la depressione. Inserendo di nuovo il nero tra i colori sarebbe il modo con cui la coscienza occidentale “potrebbe superare l’ingenuo fondamentalismo delle sue fiduciose e colorate illusioni” (Hillman). Il nero ritornerà in questo modo a rappresentare uno dei due poli, oppure al contrario, come scrive Pastoureau, è diventato ora un colore neutro privo del suo valore simbolico?

 

Cosa leggere per saperne di più

 

Sulla storia del nero la trattazione più ampia di taglio storico si trova in: M. Pastoureau, Nero (Ponte alle Grazie); insieme si legga questo bel libro: J. Harvey, The story of Black (Reaktion Books); sul costume: A. Quondam, Tutti i colori del nero (Angelo Colla Editore) indispensabile per la storia dell’abito nero; sulle tenebre: M. Brusatin, Colore senza nome (Marsilio), libro di uno dei maggiori studiosi del colore; ma anche F. Rigotti, Buio (il Mulino) pieno di suggestioni filosofiche e illuminazioni improvvise; sul nero nella pittura: A. Boatto, Di tutti i colori (Editori Laterza); sui vari tipi di neri si troverà una guida pertinente in K. St Clair, Atlante sentimentale dei colori (Utet); il testo di J. Hillman qui citato è in I colori della vita (Editrice La Stampa) che raccoglie gli atti di un convegno organizzato anni fa a Torino. 

Questo articolo è apparso in forma più breve su “La Repubblica” che ringraziamo.

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