Contro il mal d’Africa

27 Ottobre 2025

«Durante una visita a Londra nel 2021, il giornalista ugandese Milton Allimandi si è fatto immortalare davanti al Tamigi, sfoggiando un grande sorriso per, poi pubblicare la foto in un post diventato virale: “ho appena scoperto il fiume che vedete dietro di me qui a Londra. Non so come lo chiamano i nativi, ma io l’ho ribattezzato fiume Gulu. Ora proprio come Sir Samuel Baker potete chiamarmi Sir Milton, colui che ha scoperto il Tamigi a Londra”». Questo divertente aneddoto, che ho trovato nel recente libro di Chiara Piaggio L’africa non è così (Einaudi, 2025), mette subito in luce lo sguardo con cui l’autrice affronta questa sua “traversata” africana, nello spazio e nel tempo. Fin dal titolo, infatti, si comprende che Chiara Piaggio, alla luce della sua lunga esperienza come consulente di progetti di cooperazione (e non solo) in Africa, vuole mettere un bastone tra le ruote dei luoghi comuni, che affollano incredibilmente i cieli africani.

Il racconto inizia con la descrizione di una bara coloratissima a forma di pesce, che Chiara vede in un villaggio del Ghana. È la bara di un pescatore, se ne fanno a forma di auto, di smartphone, di nave… Negli anni Settanta alcuni di questi manufatti sono stati acquistati da collezionisti occidentali e sono diventate “arte” in quanto rappresentanti di una tradizione “autentica”. In che senso una bara, oggetto mai usato nelle tradizioni locali, per di più a forma di Rolls Royce è autentica? Lo è se vista in un’ottica dinamica, di connessioni culturali, di “contaminazioni”, il problema è che spesso, ignorando le parole di Plinio il vecchio “Ex Africa semper aliquid novi”, assegniamo all’Africa una sorta di immobilità storica, per cui ciò che viene di lì è sicuramente frutto di un passato antico, “tradizionale”, immutato nel tempo e impermeabile a influenze esterne.

È questo il fil rouge che percorre l’intero libro in cui l’autrice, con grande equilibrio, intreccia esperienze dirette, personali, incontri, dialoghi con profonde riflessioni sullo scarto esistente tra le narrazioni dominanti, e quasi sempre riduttive, e la complessità delle diverse realtà africane. E lo fa superando quel paternalismo o quell’esotismo (tralascio il razzismo che purtroppo ancora anima i molti pregiudizi) che spesso si ritrovano nei libri sull’Africa. «Non amo l’Africa», dice Chiara, non nel senso romantico, la vive, cercando di districarsi tra le mille difficoltà di questo continente.

Come, ovviamente, contribuisce a smontare certi immaginari, che vogliono un continente arretrato, votato alla fame e alla povertà, incapace di mutare, allo stesso tempo non si allinea ideologicamente con gli afrottimisti, che vedono il continente del futuro, che operano una sineddoche, facendo passare alcune esperienze di innovazioni sicuramente interessanti, per il tutto. È indubbio che oggi l’Africa sia un laboratorio quanto mai interessante, anche tenendo conto della grande energia innovativa che viene dalla demografia: il 75% degli africani ha meno di 35 anni. Il Ghana e la Nigeria, ma non solo, sono pieni di giovani che creano startup di successo, quanto mai innovative, con pochi mezzi a disposizione. Allo stesso tempo è anche vero che l’intero continente soffre ancora per le sacche di povertà, le malattie, l’analfabetismo, le guerre, il neocolonialismo.

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Quello che stride sono i contrasti, è l’immagine del giovane seduto su uno scalino per strada, con un laptop sulle ginocchia, che sta creando una app, che verrà usata in tutto il mondo. L’Africa è così. È Nollywood, la prolifica e ricca produzione cinematografica nigeriana, pressoché sconosciuta da noi, ma che è notissima in Africa e non solo. È il proliferare di scrittori che, nonostante l’apprezzamento internazionale, continuano a essere considerati “africani”, esponenti di una letteratura “africana”, mentre nessuno considera i libri di Salman Rushdie o Arundhati Roy come letteratura “asiatica”.

Lo sguardo colonialista emerge anche in queste definizioni apparentemente innocue, come emerge anche nel mondo della cooperazione, che l’autrice conosce a fondo, per averci lavorato a lungo, dove si incontrano tanto progetti ben costruiti, fondati su analisi profonde, quanto iniziative basate sull’idea di carità e di aiuto, che finiscono per inferiorizzare chi li riceve.

Oltre che illuminante il libro di Chiara Piaggio è anche coraggioso, perché oltre a puntare il dito contro i numerosi, sinceramente troppi, stereotipi diffusi, trova la forza di guardare anche dentro se stessa e di riconoscere che anche il proprio sguardo non è scevro da una tradizione di pensiero che tutti noi occidentali ci portiamo dietro, anche quando facciamo lo sforzo di emanciparci. Un libro che apre gli occhi fa riflettere e da antico appassionato d’Africa non posso che dire: che, sì, l’Africa non è così: grazie!

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