Tonio Schachninger e il ritorno della Grande Vienna

22 Ottobre 2025

Finalmente. Il ritorno del romanzo della Grande Vienna, o almeno della Vienna che amiamo, ironica, elegante, malinconica, sbarazzina, anticonformista, intellettuale, colta, raffinata, alto-borghese, e mai volgare, spaccona, tronfia. Il racconto In tempo reale di Tonio Schachinger (Sellerio, tradotto con mano felice da Francesca Gabelli) parte con il primo giorno di scuola nel liceo d’élite, nel Collegio Marianum, in realtà il celebre Theresianum, ancor oggi attivo a Vienna. Ci sono soverchie assonanze musiliane con la Scuola Militare di Weisskirchen del cadetto Törless, che impreziosiscono il racconto senza declassarlo a epigono del romanzo del 1906. Pare anche di vedere scene dell’indimenticato film L’Attimo fuggente del 1989 anche se il crucciato e severo professore Dolinar è troppo provinciale e misantropo per evocare l’irresistibile Professor Keating e nessun allievo alla fine salirà sui banchi del liceo per solidarietà, né lui sarà espulso. Tutto finisce ovvero ricomincia con il Covid che funge da una sorta di deus ex machina che rimette tutto in ordine. E così il simpatico protagonista, che nel frattempo è diventato maggiorenne, si salva quasi per miracolo: «Till inciampa sul latino e il russo lo tradisce in un’interrogazione e quando, metaforicamente, è pronto ormai a sdraiarsi e morire, ad addormentarsi per provare, almeno mentre congela, una sensazione di calore, succede qualcosa che né lui né nessun altro aveva previsto: scoppia un’epidemia e risolve tutti i suoi problemi», che erano tanti e partivano tutti, paradossalmente, dalla sua straordinaria capacità di gamer del videogame Age of Empire 2 (AoE2). E qui finisce Musil, la Grande Vienna perché l’autore, giovane appunto, domina la lingua dei videogiochi, mentre chi scrive si è più e più volte smarrito nel labirinto. Ma poi bisogna veramente capire lo specifico dell’AoE2

In realtà la scrittura è viennesemente ‘classica’, lontana dai tremori avanguardistici, pur non estranei alla generazione precedente, quella della “Wiener Gruppe”. L’autore, che in realtà si chiama Antonio, è nato nel 1992, a New Delhi, figlio di un diplomatico austriaco e di una madre studiosa d’arte di origine sud-americana, ed è alla sua seconda prova. Il giovane protagonista presenta tratti autobiografici, che configurano il racconto quale romanzo di formazione, di Bildungsroman: è la storia di un coming-of-age che avviene in un convitto di grande tradizione, ma decaduto, e che si vivacizza con un umoristico, sovente irresistibile, affresco dei compagni di classe, nonché dei professori, tra cui emerge Dolinar, dispotico fino al sadismo, – una sorta di Lord Voldemort – quando Till entra nel convitto. In ultima analisi l’autore salva l’insegnante, mostrandone l’onestà intellettuale, il carattere integro pur non tralasciando – oltre gli aspetti comici da provinciale piccolo-borghese – quelle inquietanti tracce di nostalgismo passatista che segnalano ancora la cultura post-nazista di alcuni docenti. Tra i giovani dell’internato, ricchi e annoiati, dalle belle case, firmate da qualche architetto brutalista, Till si distingue per la sua divorante passione per il videogioco, che persegue appena libero dalla scuola (a tempo pieno) e per gran parte delle notti, sicché raramente riesce a essere puntuale a scuola e a non incorrere nelle solite punizioni per i ritardatari. 

Il videogioco è una strana, assai libera ripetizione surreale della storia dell’umanità con guerre etniche e sociali. Ci sono poi i momenti di socievolezza, legati alle trasgressioni giovanili, prima fra tutte il fumo più o meno consentito e non solo di nicotina come allude il nomignolo del collegio: il Marijuanum; gli spritzer, una volta fuori, non si contano. Un altro significativo momento di intesa generazionale è la grande manifestazione di giubilo per le dimissioni in diretta del vicecancelliere Strache, il leader del partito di estrema destra, la FPÖ, beccato a Ibiza in un indegno affare di corruzione a favore della Russia. Uno scandalo che distrugge, in un’immensa risata, Heinz-Christian Strache, nonché il giovane e promettente cancelliere Kurz del Partito Popolare. 

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Age of Empire 2.

Il romanzo racconta molto dei videogiochi: Till è nella lista dei primi dieci al mondo, scelto in campionati internazionali, uno persino in Cina – ma il romanzo è soprattutto il resoconto della società austriaca di questi tempi, assai simile nel declino e nella mancanza di prospettive a quella europea.  E poi certo, è anche il racconto di tutti i turbamenti di un adolescente – diversi da quelli del suo predecessore musiliano: quella di Till è una generazione più spregiudicata, più informale e disinvolta.  Lo scrittore sa raffigurare bene gli anni della pubertà e dei primi amori di Till, anzi del primo amore, per Feli, ovvero Felicité Exner, con una terribile madre e un padre alquanto sfuggente. Anche Till ha problemi con la madre e ancora adolescente vive male la morte prematura del padre con cui non riesce a trovare un colloquio: una conciliazione diviene possibile solo quando a diciotto anni gli viene consegnata l’eredità paterna e lui, solo leggendo le lettere, le email, gli appunti del padre, lo ritrova in sé.

Intanto l’epidemia del Covid risolve la situazione contribuendo a un bel periodo di isolamento degli innamorati nell’appartamento di Till, grandi giochi al video e anche a letto: «Till è felice. Non deve più andare a scuola, mai più lasciare Feli. Non sa che non esistono gli happy end. Che le persone che si amano sono come punti nell’universo, così piccoli da non avere una superficie, […] sono due punti che si mettono in movimento, diventano una linea, due linee a guardar bene, due linee parallele che nel corso del tempo non sono più parallele, si allontanano a ogni cambiamento […]. Non può immaginare com’è quando una relazione finisce e tutti i segreti e le tenerezze svaniscono in un colpo solo, dal presente, dal futuro e dal ricordo. […] Quando si ama qualcuno ci sono due possibilità: perderlo oppure perderlo più tardi. Till non pensa a questo. Pensa alle lasagne vegane che farà quando Feli e Fina andranno a cena da lui». E così ci si avvicina alla fine, nella lieve amarezza del  disincanto, intanto si avvicina la maturità, sia quella dell’esame sia quella della vita. 

Till incontra ancora il suo compagno di classe, Palffy, che veniva preso in giro dai professori e dai compagni, e che ora se ne esce già con la nostalgia per l’insegnamento del terribile Dolinar e per il collegio che «“Un po’ mi manca, sai, starsene seduti a scuola e imparare qualcosa su, che so, i poemi epici e le canzoni medievali. In realtà è stato davvero fico”. “Ma sei matto?”, dice Till. “È stato un inferno, idiota”». Amen. In realtà più di Musil qui affiora il vero idolo letterario dell’autore, che ha studiato non a caso germanistica: Thomas Bernhard, soprattutto il suo «meraviglioso Il nipote di Wittgenstein con la copertina verde scuro […] il suo libro più tenero». E l’altra opera di Bernhard, Heldenplatz, La Piazza degli eroi, Till la menziona più di una volta. Scritta pochi mesi prima della morte, a mo’ di testamento, è la più spietata denuncia della società austriaca ancora intrisa di cripto-nazionalsocialismo, di antisemitismo e razzismo, sempre meno striscianti. Il romanzo è ricco di citazioni letterarie e perfino di accettabili interpretazioni delle opere di Bernhard che Till deve proporre a Dolinar dopo la lettura obbligata dei classici austriaci dell’800, da Stifter a Marie Ebner-Eschenbach. Insomma non si gioca solo alla Age of Empire 2, ma si è studiato attentamente e il risultato è convincente: Vienna ha trovato il suo interprete.

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