Guardie e ubriachi

7 Gennaio 2016

La vicenda della foto di Capodanno a Manchester ha avuto una sua grande eco anche qui in Italia. Nel giro di neppure una settimana, la storia è stata ripetuta già più volte: la notte di Capodanno, Joel Goodman, un fotografo freelance, gira per il centro di Manchester per vedere che cosa succede attorno alla mezzanotte, “capturing the excitement and the mayhem of New Year's Eve” (dice il Manchester Evening News). Scatta questa foto all’incrocio tra Dantzic Street e Well Street. Insieme ad altre viene postata sul sito online del giornale; la nota un producer della BBC, Roland Hughes, che su Twitter sostiene che assomigli a un bel quadro (“like a beautiful painting”). I social networks rilanciano a migliaia e la foto diventa celebre, ma per più di quindici minuti. Il Manchester Evening News online lo definisce subito “Manchester masterpiece”, ne traccia l’antefatto, intervista il fotografo, ne propone una sorta di analisi estetica.

 

La foto non è per niente pittorialista, ma sui social diventa insistente il richiamo alla storia dell’arte: uno chiama in causa un quadro di Hogarth, altri fanno fotomontaggi mettendo la foto in cornice o mescolando quadri antichi e personaggi dello scatto; uno parla di “modern renaissance art”, un altro appiccica – in maniera del tutto improbabile – i rettangoli della “misura aurea” sulla foto di Goodman. Perché in molti hanno pensato alla storia della pittura moderna e alcuni, più precisamente, di quella rinascimentale? Nota a ragione Michele Smargiassi su “Repubblica”, che in realtà nessuno saprebbe citare un dipinto antico simile alla foto di Goodman. Il fatto è che la foto non contiene nessuna citazione della storia dell’arte, neppure ha una qualche ambientazione “all’antica”: è stata scattata tra due vie centrali di Manchester, con un ingresso dell’Arndale Shopping Centre e altri negozi sullo sfondo; alcune macchine sono parcheggiate e due si stanno infilando in Dantzic Street. È vero, però, che ci sono alcuni ingredienti che possono risvegliare – come per frammenti – la nostra memoria visiva. Prima di tutti, l’elemento patetico: accanto a un forbito pilastrino nero e oro, la donna elegante si rivolge, sbilanciandosi, ai due poliziotti e all’uomo a terra; perdippiù fa quello che molta pittura ha fatto dal medioevo in poi, “parla” cioè anche con le mani, accompagna insomma il suo discorso concitato tendendo e aprendo la mano destra. È chiaro che il vertice del pathos è nei due uomini a terra, uno che resiste alle forze dell’ordine, l’altro che neppure sull’asfalto resiste al richiamo della birra. Allungandosi verso la bottiglia, scopre la pancia gonfia: il tema del corpo, onnipresente nel nostro immaginario quotidiano, prende qui una piega inaspettata, tra il tragicomico e il grottesco. L’uomo in blu, pur del tutto trascurato da tutti – i poliziotti come anche la passante (che guarda in camera forse sorridendo) – diventa il punctum dello scatto. Ma la scena è ancor più complessa: una poliziotta parla, sulla destra, con una signora in nero; un’altra, più o meno al centro della fotografia, si aggiusta il berretto, ma sembra stia facendo un saluto militare. Un po’ di ambiguità al punto giusto. Anche gli spettatori fanno la loro parte nel richiamarci qualcosa di già visto. I pittori antichi avevano capito che quella dello spettatore di un evento, in un’immagine, non era tanto di riempire la scena; al contrario, le diverse reazioni degli spettatori dipinti servivano anche a suggerire le possibili reazioni negli spettatori reali davanti all’opera d’arte. Anche nella foto di Goodman, là attorno al lampione, due ragazzi di colore girano appena la testa verso il fotografo e con le mani in tasca. Accanto, un gruppetto elegante un po’ chiacchiera, un po’ guarda e un po’ sorride; non sono per niente preoccupati, tanto è vero che una delle ragazze tiene le gambe incrociate, postura di rilassatezza; il ragazzo alto neanche si gira.

 

Qualcosa dunque sembra agitarsi nella nostra memoria. Eppure non c’è nessuna citazione, nessun rimando indiretto, nessuna allusione alla storia dell’arte. So what? A Goodman è riuscito un vero e proprio montaggio involontario; tempi diversi si sono affiancati uno all’altro nella fotografia: degli ubriachi schiamazzano o danno fastidio, qualcuno chiama la polizia, arrivano due vetture con la sirena spiegata, scendono poliziotti e poliziotte, un uomo dà in escandescenze, due di essi tentano di mettergli le manette, la compagna protesta per la loro violenza, l’uomo in blu non ce la fa più, si sdraia per terra e si serve. La pittura del Novecento e quella contemporanea non badano alla narrazione o, se lo fanno, la pensano in maniera del tutto diversa. Qui invece una narrazione c’è, non importa se poi non succede nulla di straordinario. Niente storia dell’arte, ma il piacere di ritrovare una struttura narrativa per immagini; una sequenza di episodi formatasi per caso, ma non per questo meno “costruita”. Quasi verrebbe da dar ragione a Oscar Wilde: "life imitates art far more than art imitates life".

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