Pier Vittorio Tondelli fotografo

14 Settembre 2025

Il taccuino in mano, la matita stretta tra le labbra, la macchina fotografica e un obiettivo-zoom a tracolla: è Pier Vittorio Tondelli in un mattino di giugno di trentasei anni fa, nel sud della Francia. È lui stesso a dipingersi così in Viaggio a Grasse, un articolo apparso l’anno dopo su “Panta” (1990).

L’intenzione era quella di intervistare Frederick Prokosch, ma pochi giorni prima della partenza, il 2 giugno, lo scrittore muore. Tondelli decide di andare lo stesso. Che cosa avrebbe chiesto a Prokosch? Avrebbe fatto domande sulla “società letteraria che aveva frequentato” nei decenni precedenti, “un mondo che sta scomparendo e di cui non conserveremo traccia se non nei libri”. Avrebbe voluto vedere rispecchiarsi in quello di Prokosch i volti dei “vecchi testimoni di un secolo che sta finendo”.

k
1980, Frederick Prokosch e cane.

Volti presenti anche nell’epigrafe tratta da Voci di Prokosch che lo scrittore emiliano fa precedere alle proprie parole: “Vedo i volti meravigliosi del passato che si affollano intorno a me e odo una volta di più il mormorare di voci nella notte”. È una “sfida con la morte e con il tempo” scrive Tondelli; bisognerebbe dire, anche una sfida tra la fantasia e la realtà, se – come sostiene Robert Greenfield, biografo dello scrittore americano – l’elemento fittizio e la reinvenzione si insinuano spesso in questa singolare autobiografia che è Voices (1983); più tardi lo stesso Prokosch avrebbe descritto il libro come composto di “fifty framed portraits, around each of which there is a void, and that void is me”.

Ma la sfida contro il Tempo che divora e consuma è già persa. Tutta la Costa Azzurra è ormai solo un “ricordo letterario”: il Francis Scott Fitzgerald di Tenera è la notte, e poi James Baldwin, Graham Greene, Cyril Connolly, la vita della riviera già allora decadente. E si potrebbe aggiungere anche Virginia Woolf, che passa proprio da Grasse nel 1933, e la trova però “troppo pletorica”.

Per la verità, le notti che Pier Vittorio passa a Juan-les-Pins non sembrano affatto ancorate al passato: confusione di giovani che camminano, che mangiano, che ballano; il chiasso della musica che esce da ciascun locale e dalle radio delle automobili, le moto che sgasano; gli odori dei cibi cucinati dai ristoranti e delle grigliate.

k

A fronte di questa baraonda che va avanti fin quasi al mattino, il viaggio all’interno della costiera, i dintorni di Grasse, l’arrivo alla villa di Prokosch segnano il passaggio nella quiete. Prokosch si era ritirato a Ma Trouvaille sin dal 1972, una villa tra “cipressi altissimi, oleandri fioriti viola, bianchi, porpora. Un campo di ulivi che protegge la piscina. Siepi di gelsomino”. Ma ora, a parte due operai impegnati in alcuni lavori all’esterno, non c’è nessuno.

E la solitudine improvvisa impone l’argomento dell’intervista mancata: prima di tutto avrebbe voluto sapere qualcosa degli scrittori e dei pittori che Prokosch aveva conosciuto. Ma forse si sarebbe conversato anche di versanti più intimi: “com’era la vita, come gli affetti, come ci si riconosceva, dove si andava, che rapporti esistevano quando ‘non esisteva ancora la parola’?”. Un colloquio sulla memoria della letteratura, una conversazione sull’amore in decenni ormai lontani, una chiacchierata sul collezionare farfalle, magari sarebbe stata solamente “un’intervista banale”.  In ogni caso, un dialogo cancellato dalla morte dello scrittore. E allora perché arrivare fino a Ma Trouvaille?

“Forse mi affascinava il genius loci”, scrive Tondelli. Ecco un inatteso cambio di direzione verso il sacro. Erano gli antichi a credere che uno spirito presiedesse i luoghi e le forme naturali che vi erano ospitate. Uno spirito che si immaginavano però dotato di un corpo. Su un sarcofago romano oggi al Louvre si racconta la storia di Fedra innamorata del giovane Ippolito, che però non corrisponde al desiderio della matrigna. Anzi, Ippolito va a caccia del cinghiale, mentre dall’alto di un grande albero il genio del luogo assiste alle sue imprese: è nudo e seduto tra le fronde, una gamba distesa e l’altra piegata a triangolo. La stessa posa, casualmente, che assume Frederic Prokosch in una foto di George Platt Lynes verso il 1950.

k

Noi moderni diamo il nome di genius loci alla capacità evocativa di un luogo, senza renderci conto che il legame tra luoghi e memorie è originato da un nostro desiderio e non da un fattore a noi esterno. Sta di fatto che lo stesso tema si era affacciato in Anche lei è un Kerouac (1987), il racconto scritto da Pier Vittorio in Canada sulle tracce biografiche dell’autore americano. Davanti alla casa in cui era nata la madre dello scrittore scrive: “Bene, la casa è questa e, in questo preciso momento, la pregnanza del luogo diventa commovente, simbolica, enorme”. C’è poco da fare, “noi europei abbiamo bisogno almeno di un rudere per commuoverci. Per evocare”.

Più tardi, sulla scia del viaggio in Canada e a Grasse, Tondelli penserà a un progetto dal titolo Le case della letteratura, in forma di racconti-reportage. Alla fine, al di là degli scrittori e degli itinerari scelti, un’idea che si innesta nella tradizione umanistica (per entrare poi nei percorsi turistici destinati ai più colti).

A Grasse, Tondelli non incontra Prokosch, ma non può neppure entrare in casa; non resta che girarci attorno. Ci sono solo due finestre aperte: dalla prima si intravvede una biografia di Rimbaud e una copia di Voices; dall’altra si vede la biblioteca. “Mi sento come un paparazzo che cerca fotografie proibite fra le siepi delle ville di una qualche celebrità”.

k

Le foto, quelle si possono fare. Nell’articolo di “Panta” vengono pubblicati dieci scatti in bianco e nero di Pier Vittorio, preceduti da un bel ritratto di Prokosch, direi degli anni Sessanta. In piedi e in costume, con le braccia conserte e le gambe incrociate sotto la grande statua di un santo, sembra anche lui una scultura antica, con un rilassamento un po’ ellenistico però. Non era la prima volta che un articolo di Tondelli era corredato da sue foto: ce ne sono due anche nel pezzo sul viaggio in Canada (accompagnate da una spiritosa didascalia).

Una piccola mostra organizzata dal Centro di Documentazione Tondelli e dal Museo Civico apre ora nel Palazzo dei Principi a Correggio, città in cui Pier Vittorio è nato nel 1955: l’intenzione è di ricordare quello che sarebbe stato il suo settantesimo compleanno esponendo le stampe delle fotografie eseguite a Grasse e poi scartate. C’è anche la sua macchina fotografica, e alcune delle diapositive realizzate in Austria: a Kirchstetten la casa e la tomba di Wystan Hugh Auden, a Klagenfurt la tomba di Ingeborg Bachmann; c’è naturalmente il numero di “Panta” e la rivista “Dolce vita” su cui apparvero le foto scattate da Pier Vittorio durante il viaggio in Canada. Si comincia insomma a recuperare un aspetto dell’attività creativa dello scrittore rimasto finora in ombra.

La villa di Prokosch viene inquadrata prima da lontano, col rimarcare i terrazzamenti, le scalinate, le sculture, i cipressi (un insieme che a Pier Vittorio ricorda il giardino di Boboli a Firenze). Poi ci sono i particolari, a cominciare da una delle due sculture in cima alla scalinata, ormai a ridosso della casa: anneriti dal tempo, due putti ne sostengono un altro forse ubriaco (solleva una coppa nella destra); motivo antichissimo quello dei giochi dei putti, ma qui potrebbe essere un lavoro di fine Ottocento, o magari ancora più tardi.

k

Quasi ogni foto testimonia la ricchissima e variopinta vegetazione della residenza. È quasi coperto dagli oleandri anche il cartello Ma Trouvaille: questa foto viene scartata, e così quella che riprende l’ingresso alla tenuta, sormontato da una specie di arco metallico con quattro grandi e sottili volute. Con discrezione lo scrittore correggese si avvicina alla dimora: su un lato, appoggiati alla pavimentazione in palladiana, la statuetta colorata di un elefantino bardato, un tavolino, una poltrona in vimini, un innaffiatoio.

Lì nei pressi, sotto uno dei balconi e accanto a una parete quasi coperta dall’edera, c’è anche una panchina di vimini; vi era seduto Prokosch in una foto del 1980 (quella che trovate sopra). Tondelli l’ha fotografata due volte, e scarta quella con un’inquadratura più ampia (a sinistra si intravvede anche una porta).  È la foto con la sola panchina in vimini che chiude l’articolo. Due posti, uno per il padrone di casa e l’altro per l’intervistatore, entrambi vuoti.

Le immagini che contrappuntano le pagine di “Panta” non fanno altro che offrire in veste visiva la conclusione del racconto: una pace dell’animo raggiunta almeno per un momento. La citazione dalla prima delle Elegie duinesi di Rilke non è solo una raffinata legatura col titolo dell’opera di Prokosch: “Voci, voci. Ascolta, mio cuore” (ma il verso continua “come soltanto i santi hanno mai ascoltato”).

k

Le fotografie di Viaggio a Grasse sono una meditazione su come si presenta il mondo quando le persone vanno via, e la scena si svuota, e non è detto sia sempre a causa della morte; come quando, ricorda Tondelli, a militare partivano quelli col congedo e poi arrivavano le nuove reclute, a occupare gli stessi armadietti e le stesse brande, oggetti che restavano indifferenti a chi partiva e a chi stava entrando. Una meditazione su come sarà il mondo senza di noi.

PIER VITTORIO TONDELLI REPORTER. SCATTI INEDITI DAI REPORTAGE LETTERARI, a cura del Museo Civico Il Correggio e del Centro di Documentazione Pier Vittorio Tondelli; apre domenica 14 settembre ore 17 fino al 18 ottobre, il sabato (15.30 -18.30) e la domenica (10 - 12.30; 15.30- 18.30).

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO