La conquista dello spazio / La scuola di giugno. E di settembre?

15 Giugno 2020

L'accelerazione e la complicazione inedita di procedure e di notizie che riguardano la vita della scuola stanno incalzando docenti, lavoratori della scuola, studenti, famiglie e producono una proliferazione di discorsi e riflessioni, a volte un po’ caotiche ma necessarie. A pochi giorni dall'esame di Stato dell'a.s. 2019-20 sui giornali e sul web si scrive e si discute di esami in presenza, di rischi della salute e di prove generali di riapertura, di finanziamenti e di riorganizzazione generale del lavoro ma anche di presidenti di commissione che non si troverebbero e scuole arredate con box in plexiglass. Quanto segue è un atlante delle nuvole utile per un orientamento generale.

 

Il decreto scuola, approvato in condizioni di ostruzionismo, sedute notturne e grandi polemiche (alla Camera 245 voti a favore e 122 contrari), è lo stesso di aprile, con poche variazioni e non sembra dire cose nuove: è stato definito dalla titolare del Miur Azzolina come un "provvedimento nato in piena emergenza che consente di chiudere regolarmente l'anno scolastico in corso” e “migliorato durante l'iter parlamentare grazie al lavoro responsabile della maggioranza di governo con l'obiettivo di mettere al centro gli studenti e garantire qualità dell'istruzione”.

 

Se non fosse stato approvato e convertito in legge sarebbe scaduto e il lavoro di questi mesi sarebbe stato tutto inutile, con un esame normato dalle regole pre-emergenza Covid. È appena il caso di sottolineare quanto sia umiliante e surreale il fatto di essersi trovati in questa condizione, con una serie di contraddizioni già evidenziate e altre che dipendono da nuove falle di sistema: ad esempio il fatto che non può essere facile trovare presidenti di commissione (un ruolo delicato e impegnativo) se si uniscono i requisiti all'età media degli insegnanti; infatti oltre ai dirigenti scolastici possono ricoprire il ruolo docenti con almeno dieci anni di insegnamento a tempo indeterminato, ma i docenti che lavorano negli anni terminali (e quindi conoscono già le regole non proprio immediate di un sistema ipernormato) sono coinvolti già dall'esame in quanto interni. Avere i prerequiti ed essere liberi coincide in modo statisticamente rilevante con l'essere anagraficamente tra le categorie di soggetti a rischio (lavoratori fragili) o inseriti in reti familiari di sostegno di anziani (un dato da non sottovalutare). Se aggiungiamo la possibilità che nella quota residua di potenziali candidati ci siano persone che legittimamente non hanno condiviso idealmente la gestione dell'esame di stato e il rischio che questo comporta, il quadro mi sembra più realistico e tale da non poter essere rubricato come un tradimento della categoria, come è stato scritto su alcuni quotidiani.

 

Cosa dice dunque la legge? Sostanzialmente contiene la cornice normativa riguardante gli Esami di Stato, che chiudono il primo e il secondo ciclo della scuola secondaria, e la valutazione finale per tutti gli ordini di scuola (con l'individuazione di strategie di recupero ad hoc e individualizzate per gli alunni che riportino insufficienze). Prevede un ritorno ai giudizi descrittivi nella scuola primaria, e dunque non i voti in decimi, ma dal prossimo anno scolastico con indicazioni operative che arriveranno successivamente. Include norme, derivate da emendamenti, a tutela degli alunni con disabilità e relative all'inclusione che possono consentire reiscrizioni allo stesso anno e piano di recupero per gli obiettivi del Piano educativo individualizzato. Stabilisce novità per i candidati privatisti, con esami di ammissione a luglio, e sessione straordinarie a settembre con riconvocazione della commissione di esame. Attribuisce poteri commissariali agli enti locali (comuni, Città metropolitane, province che a quanto pare esistono ancora) per interventi straordinari sull'edilizia scolastica fino al dicembre 2020.

 

Per quanto riguarda il personale si terrà il concorso straordinario per la Scuola secondaria di I e II grado rivolto ai docenti “precari” (con almeno tre anni di servizio) con prove a risposta aperta su supporto digitale, che si terrà fisicamente in presenza, compatibilmente con le condizioni epidemiologiche e cioè quando sarà possibile lo svolgimento di un concorso. Non per il sostegno, però.

Per quanto riguarda le supplenze volte a garantire il riavvio dell'anno scolastico le graduatorie saranno di ambito provinciale e su domanda informatizzata: per semplificare le procedure e alleggerire le segreterie scolastiche saranno gli uffici territoriali del Ministero a seguire il processo e assegnare le supplenze, per le quali è prevista la presentazione informatizzata della domanda.

Per i percorsi abilitanti, ovvero il modo con cui si diventa docenti in prospettiva e fuori dal concorso, ovvero i laureati formati che vedono ancora il lavoro scolastico come una professione vocazionale o un sogno di stabilità, si annuncia l'avvio di un tavolo presieduto dal ministro. Impossibile qui dare una valutazione su ognuno di questi punti: il risultato è il frutto di numerose negoziazioni e non soddisfa i diversi soggetti portatori di interesse.

 

Nelle pieghe del testo per due volte si legge come tutto questo avverrà “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, dunque “nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. L’ex ministro Fioramonti, dimessosi nel 2019 a causa della mancanza nella Legge di Bilancio dell’importo adeguato per la scuola, ha tenuto a rimarcare che “andranno tre miliardi ad Alitalia e la metà alla scuola”. Il miliardo e mezzo di fondi previsto per l'Istruzione sarebbe, insomma, la stessa cifra prevista allora e già ritenuta insufficiente. Sono previste diverse agitazioni sindacali i questi giorni: sono diverse e molto sentite le questioni all'ordine del giorno tra i lavoratori della scuola, come non accadeva da tempo; per i rischi sanitari, per la didattica, per il mancato riconoscimento professionale di questa fase di emergenza e per le incertezze riguardo al modo in cui potrebbe cambiare il lavoro nei prossimi mesi, in assenza di una discussione aperta e condivisa tra tutti gli attori in campo. È chiaro che il recente documento dell'Associazione nazionale presidi, su cui bisognerà tornare, presenta uno scenario che non ha aiutato in tal senso.

Il Miur rivendica lo stanziamento di 4 miliardi di investimento dall'insediamento della ministra attuale e aggiunge diverse cifre (che leggiamo su Repubblica), con un conteggio complesso e ridistribuito tra diversi dispositivi di legge. Ma questo non è sufficiente a evitare il giudizio di complessiva insufficienza degli investimenti nel comparto scuola rispetto all'emergenza educazione, già strutturale e seriamente aggravatasi da marzo a oggi.

 

Il lavoro si è complicato, allungato e dilatato a dismisura, per tutti e nella didattica fin dall'inizio dell'emergenza, ma soprattutto in fase conclusiva di scrutinio e di adempimenti finali, per i coordinatori di classe e per i soggetti più attivi in ogni iniziativa, tanto nella didattica quanto negli aspetti burocratico-amministrativi. Gli scrutini si stanno svolgendo in remoto in condizioni difficilmente descrivibili per le complicazioni e le variabili possibili, su piattaforme di videoconferenza con condivisioni di schermo, telefoni e device multipli e con i tabelloni e le comunicazioni mandate per mail e sulle piattaforme digitali. Procedure artigianali ed emergenziali di problem solving estremo che creano legami e fanno team building come non mai, ma che, si può temere, né tutte le scuole e né il corpo docenti dell'intero paese sosterranno agevolmente e senza problemi. Il tutto a fronte di una valutazione sommativa e tradizionale che molti non avrebbero voluto dover fare, perché non c'erano le condizioni per farlo serenamente nel modo in cui è stato chiesto.

In estrema sintesi: non credo si possa governare l'emergenza con strumenti ordinari, altrimenti o non è un'emergenza o non la si riesce a governare.

 

 

Pensiamo a settembre dunque: quella del plexiglass, molto gettonata e già vista in occasione delle spiagge, sembra l'ennesima nuga che serve a saturare il discorso pubblico di iperboli e ipotesi che, se stimolano il dibattito o la chiacchiera, non portano lontano. Non è plexiglass intanto, perché i costi non sarebbero sostenibili, ma anche a non volere fare i sofisti, la notizia è già stata giudicata priva di fondamento e le questioni come al solito sono molto più complesse. 

Le proposte e illazioni che derivano da iniziative singole, fanno da ballon d'essai per l'opinione pubblica o rientrano nel protagonismo mediatico dei politici di turno.

Stando ai dati, il documento del Comitato tecnico scientifico del Consiglio dei Ministri, che indirizza gli imminenti esami in presenza, individua nell'aggregazione “l'elemento principale del rischio nelle scuole” e ne sottolinea l'effettiva complessità di gestione, in quanto l'aggregazione è al contempo “la forza e l’energia propulsiva del sistema educativo”.

Il contesto dello spazio e della relazione in classe è senza dubbio la questione centrale per gli aspetti didattici, ma in prospettiva sistemica la disposizione nelle aule è parte di un problema più ampio che include trasporti, ingressi e uscite, sedi diverse, trasferimenti interni (aule, laboratori, palestre), intervalli, mense, sale insegnanti, segreterie, biblioteche, archivi, cortili, parcheggi, spazi antistanti e che quindi coinvolge in modo più ampio comunità e quartieri.

 

Il documento tecnico andrebbe letto da chiunque voglia capire di cosa stiamo parlando, anche perché il problema scuola coinvolge le famiglie e le più complesse reti sociali intergenerazionali: leggiamo che l’infezione da SARS-CoV-2 nella fascia 0-18 anni è a oggi, “documentata in circa 4.000 casi: il 7 % ha richiesto il ricovero ospedaliero (più numerosi nel primo anno di vita e nell’età preadolescenziale) e 4 decessi (tutti in pazienti con gravi patologie preesistenti)”. Le forme cliniche osservate in bambini/e e ragazzi/e sono caratterizzate da sintomi lievi o modesti (“paucisintomatici”) e eccezionalmente si sono avuti casi che hanno necessitato di cure intensive. Si accenna poi alla Sindrome infiammatoria multisistemica acuta osservata in poche decine di casi nel mondo, ma anche in Italia, probabilmente correlabile all’infezione da SARS-CoV-2 e diffusa nella seconda infanzia e preadolescenza.

Il distanziamento fisico è il fulcro di tutti i provvedimenti: per cui “saranno da privilegiare tutti i possibili accorgimenti organizzativi (…) al fine di differenziare e ridurre il carico e il rischio di assembramento”. Da un lato la scuola sarà necessariamente più chiusa rispetto alle presenze di esterni, ridotte all'indispensabile, dall'altro sanno “inevitabili” le misure che riguardano il “modo di fare scuola” pensate le diverse età degli studenti: “sarà necessaria un’analisi attenta e capillare degli spazi disponibili e delle possibili collaborazioni con il territorio”, il che apre la scuola all'uso di spazi esterni nel contesto locale e a diverse agenzie educative e culturali. Trovo interessante la valorizzazione di beni e spazi comuni e delle diverse occasioni di apprendimento (su questo, indicazioni vengono dalle esperienze pedagogiche che appartengono alla storia italiana); mi preoccupa che possano esserci ancora troppi contesti in cui non si possa sapere come usare spazi alternativi alla scuola e alla didattica frontale.

 

Il timore è poi che molte situazioni, in zone di isolamento territoriale e povertà educativa dove la scuola è l'unica risorsa, in forza dell'abitudine a una rigida osservanza normativa possano risolversi con la sola creazione di corridoi e percorsi obbligati destinati a essere tonnare per i 10 minuti di aria. 

Mi sembra che nella discussione pubblica si sia ragionato troppo poco sulla necessità di aria, luce e ossigeno per gli studenti, continuando, in particolar modo per i più piccoli e i pre-adolescenti, a pensare alla classe tradizionale come luogo fisico e privilegiando l'aspetto disciplinante della seduta. Quello che prima era “avanguardia pedagogica” in una realtà pratica di retroguardia, oggi si fa necessità sanitaria visto che i rischi di contagio sembrano essere maggiormente correlati alla variabile tempo in spazio chiuso e non aerato.

Considerata la classe come fattore strutturante (laddove si sono già ipotizzati doppi turni, divisioni e alternanza onlife e in presenza) gli elementi di estraniamento saranno significativi: prevedono mascherine, igienizzazione continua e sorvegliata di corpi e spazi, rimodulazione di banchi e arredi scolastici per garantire almeno 1 metro di distanza reciproca e spazio di movimento di docenti e studenti all’interno dell’aula/palestra/laboratorio, socialità ridotta nei momenti di intervallo. E a questo punto attenzione pedagogica, didattica e sanitaria si scontrano tra di loro e con le pratiche reali e le soluzioni previste.

 

Sembra molto sensato infatti che una soluzione sia la diminuzione sistematica del numero di allievi per classe. Tenendo conto di molti fattori, è mia ferma convinzione che da tempo la condizione per realizzare veramente un insegnamento significativo nel terzo millennio sia l'avere un numero di circa quindici allievi per classe, cioè la metà di quello che succede ora. Quindici anche per facilitare le uscite e la mobilità, considerato che è il numero di allievi previsto per un insegnante. Ma credo che sia un'utopia che si scontra con l'edilizia scolastica, con la mancanza di personale e di arruolamenti, in definitiva di finanziamenti e di una autentica volontà politica di credere e investire nell'istruzione per uscire dalle crisi del presente. Nella realtà, infatti mi risulta che gli organici previsti si basino su quelli attuali e già presenti, mantenendo una organizzazione interna senza tenere conto delle modificazioni della situazione esterna.

 

In termini razionali ogni reale soluzione non può che andare in questa direzione: meno studenti per classe più seguiti da più personale meglio formato, motivato e retribuito. Nel pensare al posto che vogliamo dare alla scuola non si può distogliere lo sguardo dai dati, probabilmente superati e ottimisti, indicati dal già citato documento del Comitato tecnico scientifico del Consiglio dei Ministri e riportare i decisori alle logiche conseguenze di quanto viene affermato.

“In Italia dei 9.700.000 soggetti in età compresa tra 0 e 18 anni, 1.600.000 sono in condizioni di povertà. Inoltre circa 1.000.000 di soggetti in età evolutiva hanno necessità assistenziali complesse, tra questi il 20% circa con problemi neuropsichiatrici. La scuola è un contesto fondamentale dove queste difficoltà possono essere accompagnate e quanto possibile colmate”.

Se aggiungiamo le conseguenze psicologiche e sociali del fatto che in questi tre mesi tutti i bambini/e e ragazzi/e sono rimasti in casa, immersi nella tecnologia se potevano e con le privazioni relazionali che questo comporta, credo sia chiaro l'impegno immane ma necessario che spetta alle comunità educanti da qui ai prossimi anni.

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