Macerata / Viaggio in Italia

9 Agosto 2011

Fino a cinque giorni fa quasi non sapevamo dove fosse Macerata. Fate un test coi vostri amici: provate a chieder loro dov’è Macerata. C’è da scommettere che ben pochi di loro saprebbero dove piazzarla con esattezza. I più faticheranno anche con la regione d’appartenenza. Macerata è uno di quei posti tipo Isernia: li si sente nominare poche, pochissime volte. Stando ai telegiornali non capita nulla. Invece. Invece ecco cosa ebbe a scriverne Pier Vittorio Tondelli già nell’81: “Macerata… Macerata, ragazzi, non so se avete idea, questa città da tombola geografica, con tutti i suoi gruppi e sottogruppi, frazioni e dividendi: i Paper’s Gang, Punkreas, Exxess, SWBZ, Doctor Sax: ragazzini e adolescenti e giovinastri che suonano e schiattano in un’ondata punk che farà senz’altro saltare le Marche”. Una vivacità musicale che si riverbera ancora oggi grazie all’esistenza di uno dei più forniti negozi specializzati d’Italia (Jukebox all’idrogeno, in pieno centro, con ancora tanto di recensioni ritagliate dai giornali e appiccicate ai dischi esposti: commovente), ma anche grazie alla nascita di Loser, la prima e più importante web radio indipendente italiana (fondata dal maceratese Andrea Girolami).

 

Macerata è quindi una città bellissima, il cuore perlomeno. Una specie di Urbino bis. Con centro storico smilzo e universitario. Popolazione (43mila abitanti, ma tutta la provincia, con 57 comuni, sfiora i 300mila) in maggioranza giovane che sciama tra le facoltà e le piazze coi portici. L’accento è una cosa sghemba che non sa ancora di meridione visto dall’Abruzzo, ma piuttosto di Ciociaria. Arduo da riprodurre e ruspante nella cadenza. Per esempio: invece di dire sì, dicono sci.

 

Così, la prima volta dei Perturbazione nelle Marche per alcuni del gruppo ha preso forma senza che questo dato fosse considerato. Cioè: quando qualcuno del luogo ha chiesto a qualcuno di noi, ma come mai non vi si vede mai nelle Marche, l’interrogato non ha saputo cosa rispondere. Nel senso: non sapeva neanche in quale regione si trovasse in quel momento. Non fate quella faccia, poteva capitare anche a voi.

 

Allora quando comincia il viaggio, e ce la si prende comoda perché a Bologna si è in orario, si finisce poi con l’essere fatalmente in ritardo, non ricordandosi a) che Ancona è lontana (200 km circa) b) che Macerata non è attaccata ad Ancona c) che bisogna uscire a Civitanova Marche (disprezzata dai maceratesi e sbrigativamente detta Citanò) d) che a sua volta non è attaccata a Macerata, 30 km circa (infatti Civitanova sta sul mare e da qui, anche se non lo dicono, l’invidia dei maceratesi, che per darsi un tono liquidano gli abitanti di Citanò come pesciaioli. Nel frattempo, rosi dall’invidia, i maceratesi osservano che la popolazione di Civitanova continua a crescere senza sosta, così come la ricchezza pro-capite e il costo delle case, che qualche temerario sostiene abbia superato addirittura quello di Roma).

 

Per arrivare a Macerata bisogna salire, proprio come per guadagnare il centro storico di Urbino. Ma la stagione universitaria è pressoché finita, per cui è legittimo domandarsi: chi verrà questa sera al concerto? E’ vero: queste sono domande che la maggior parte dei musicisti che sentite a casa, allo stereo, in cuffia, non si pone. Lasciamo stare Bruce Springsteen e i Rolling Stones, ma anche gente un po’ più in giù nella scala gerarchica, dai Blonde Redhead a Brad Mehldau, per dire, non si pone di questi problemi. Noi sì. Dice: siete meno famosi, per forza. Oppure, nella variante più feroce: nessuno vuole sentirvi. Può anche starci, solo che quando uno sente la propria canzone in radio, si fa un’impressione diversa: ma la colpa resta sua, anche se Sting disse di aver scoperto che i Police erano diventati famosi quando passando per caso sotto una finestra a Londra sentì un inquilino fischiettare Roxanne.

 

Domanda: c’è già qualcuno che fischietta Agosto? No, ma ogni volta che viene fuori l’ottavo mese qualcuno è pronto a ricordarti che è il mese più freddo dell’annoooo. Il tormentone è dietro l’angolo: i condizionatori d’aria pure? Non c’è nessuno che la fischietta, ma qualcuno che la canticchia al bar dirimpetto al palco dove si terrà il concerto, questo sì. La piazza è una delle più vecchie di Macerata. Il palco è stato sistemato contro un palazzo d’epoca: di fronte i portici e, per l’appunto, il dehor di un bar. I clienti - basilischi ignari che nell’attesa del soundcheck il gruppo sorseggi luppolo all’unisono lì a fianco - si chiedono reciprocamente, ma chi suona stasera, ah, i perturbazione, sì, agostooooo, moglie mia non ti conoscooooo. E giù le risate. Poi quando - cinque minuti appresso - scoprono che quelli al tavolo di fianco stanno ora facendo la prova suoni sul palco di fronte magari si vergognano un po’, ma restano lì seduti. Con gli occhiali da sole.

 

Sì, perché quest’immobilità* tutto sommato tipica della terronia - vogliate perdonare l’uso di questo inedito ma efficace neologismo, appreso su un vecchio intercity Venezia/Torino, all’altezza di Milano, e rubato di peso da due raffinate impiegate padovane del gruppo bancario San Paolo/Intesa in incipiente trasferta che ne facevano uso in novembre durante le consuete discussioni riguardanti le future vacanze estive: dove si va l’anno prossimo in vacanza? In terronia? Ahahahah - è ciò che l’autentica leggenda cittadina imputa a Macerata.

 

La persona in questione si chiama Rosa, per gli amici signora Rosa, titolare della pensione Rosa. Tre stelle, decorosissima. La signora Rosa non è slanciatissima. In compenso ha le idee chiare: dice che i giovani di lì non hanno voglia di lavorare, che sono tutti figli di gente che nella zona ha fatto i soldi con i rubinetti (Guzzini?), le poltrone (Frau?) e le scarpe (Fornarina? Paciotti?). Quando scopre che alcuni di noi portano un cerchio al dito rimane commossa. Così giovani e così sposati! Bravi giovani del nord, voi sì che siete attivi, sempre a lavorare. Così dice. Ed è piuttosto chiaro come si stia vivendo tipo in un’appendice a qualche speciale d’approfondimento giornalistico messo in onda d’estate a tarda ora da Rai Uno, dove s’insiste su luoghi consunti e oleografia assortita. Saluti da Macerata, città degli sfaticati; chissà che ne pensa l’amministrazione, ma la signora Rosa ci crede davvero a quello che dice. E’ autoctona, e alla fine chi siamo noi? Lo afferma con una rotondità a cui è bello sottomettersi, specie noi gente del nord (ma guai a comunicarle che pure noi, come tutti, siamo meticci; ci resterebbe male ci resterebbe). Lo dice aspettando che la signorina che staziona costantemente nella hall della pensione si allontani. Se si arriva alla pensione Rosa, si è portati a credere che la signorina in questione sia a) parente o figlia di Rosa b) se non quello almeno la sua aiutante di fiducia. Sta sempre lì, stanno sempre assieme, pranzano e cenano assieme nel seminterrato della pensione con televisione sempre accesa. Una cosa struggente, neorealista, quel sottoscala.

 

Sarà una di casa. Invece no: è solo una studentessa universitaria. Che sta lì proprio a pensione. Sembra una storia da libro di Carlo Cassola, ma è tutto vero. Sembra una storia da Italia post-boom economico, ma è la verità. La signorina, si lamenta Rosa, vive lì con lei, mantenuta dal di lei padre: un direttore di banca che l’accompagna lì ogni lunedì mattina da uno dei paesi più o meno vicini del circondario e viene a riprendersela come un infante ogni venerdì sera, una volta chiusa la filiale (padre che sarà peraltro orgoglioso di raccontare ai colleghi che ormai sua figlia sta all’università e studia fuori). Sta lì, vive e studia (ma non troppo convinta, specifica Rosa) tutta la settimana e poi nel weekend torna a casa. Una storia edificante che offre molti spunti: intanto questo fatto già di piegare ed educare le giovani menti al concetto di tempo lavorativo (settimanale) e di riposo (fine settimanale), come una volta, come quando il tempo era unico e preciso, prima della disponibilità eterna e del tempo sfrangiato proprio dei telefoni cellulari. Poi: il profilo mitologico del direttore di banca, che evidentemente in un universo così immobile fa ancora la sua figura inavvicinabile. Buon giorno, direttore. Il solito, direttore? Tuttapposto, direttore? Manca il chiosco dei giornali che vende anche la frutta, il campanile, il parroco e saremmo in pieno standard. Ma in verità siamo a Macerata, dove la popolazione racconta di essere povera ma poi nasconde i quattrini sotto il materasso. Così almeno vuole il copyright della signora Rosa. Che serve la colazione da consumarsi rigorosamente in piedi, davanti ai suoi occhi, spalancando cabaret di paste, mentre lei allestisce caffè e latti macchiati, mangia mangia, che ti stanchi, giovane lavoratore sposato del nord, devi crescere. E chi riuscirebbe (o vorrebbe) darle torto?

 

La signora Rosa è in pratica un’istituzione morale. La memoria e la storia di questa città. Attraverso i suoi racconti è possibile ricostruire l’antropologia maceratese. Lei stessa ha tre sole posizioni nella vita: un numero limitato dovuto al trascorrere degli anni che ha sì limato la sua sensibilità, ma non la voglia di parlare. Alternandosi tra ingresso della pensione, salotto davanti alla tv e sottoscala per la cena, parla e strepita. Ricorda di quando anche il ristorante lì di fronte, “Trattoria da Rosa”, era roba sua. Aperto nel ’39 e chiuso all’indomani della morte del marito. Come a voler sfregiare il piccolo monopolio che Rosa esercita su Macerata, qualcuno ha deciso di aprirle a fianco un altro hotel, quello più lussuoso della Città, il Claudiani, quattro stelle. Sepolto in un vicolo. Ma, se andate a Macerata, la scelta non può che cadere su Rosa; sulle sue 13 stanze. Anche perché – se ci perdonate il gioco di parole – la signora Rosa è più che premurosa: quando si rientra a tarda ora, non manca di lasciare per gli avventori bottiglie d’acqua d’asporto sul bancone, a disposizione per la notte.

 

* (Quella che la signora Rosa addita come immobilità cittadina, in realtà si sfarina di fronte a una serata nella Sala degli Specchi. La sala degli Specchi di Macerata - nonostante una fama circoscritta - è uno dei posti più incantevoli che possiate visitare in tutta la vita: sarà la vicinanza con la biblioteca di Monaldo Leopardi a Recanati, o il fatto che, proprio come in quella, i libri sono protetti da vecchie reti di metallo, ma è pressoché impossibile non rimanerne colpiti. La biblioteca cittadina viene aperta ogni tanto in serata per ospitare incontri pubblici con degli scrittori. Una sera c’è Vitaliano Trevisan, autore veneto, nonché attore protagonista del film di Matteo Garrone Primo amore. Molto spesso i libri di Trevisan parlano del Veneto e dei suoi abitanti: gente che, a detta di Trevisan, perlopiù teme l’arrivo del weekend perché non sa cosa fare, non deve lavorare, è intimorita dal tempo libero, allora s’inventa altri tipi di lavoro per così dire domestico, in garage, piccole riparazioni o altro, per tenersi impegnato. La persona che introduce lo scrittore fa notare ai convenuti – non senza qualche fondatezza – che in realtà le Marche non sono così dissimili: una regione cha ha costruito la sua ricchezza odierna grazie ai cosiddetti distretti delle scarpe nell’interno, in paesi come Monte San Giusto e Montegranaro. Dove la gente ha lavorato per decenni a ritmo infernale, cucendo in casa, in proprio, le tomaie. E difatti: qui tutti quanti sembrano conoscere di persona i fratelli Della Valle – titolari dell’impero Tod’s – che hanno naturalmente la fama di gran lavoratori e persone alla mano. E difatti, bis: racconta la signora Rosa in persona che fino a qualche anno fa, quando si vedeva arrivare in città qualche uomo basso col macchinone e una bionda da urlo a fianco, alta il doppio di lui, tutta la gente in piazza mormorava: è arrivato lo scarparo. Quindi sì: se da una parte l’atmosfera che accoglie il viandante è quella di una città immobile, nel senso che non cambia mai niente, anno dopo anno, con gli stessi luoghi e i medesimi accadimenti che si ripetono, giorno dopo giorno, ora dopo ora, come in quel film con Bill Murray, Il giorno della marmotta; dall’altra va testimoniata una mobilità, quella voracità produttiva che è poi la stessa che ha portato negli ultimi decenni a utilizzare l’espressione miracolo economico del nord-est).
 

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