Verso le elezioni / Stati Uniti: in attesa del colpo di stato

28 Settembre 2020

Parecchi anni fa ho avuto una studentessa brillante e piuttosto pazzariella, che aveva preso l’abitudine di confidarsi con me. Allora non ero un professore di ruolo, e non sapevo ancora che è meglio non incoraggiare troppo le confidenze. Era una bella ragazza, e molto corteggiata. Ma andava a letto solo con quelli che trovava arroganti e vanitosi. Alla mia domanda: “Perché lo fai?” rispondeva: “Così imparano”. Che cosa imparavano, quei poveri sfortunati? Che lei gli aveva mostrato, in modo che più chiaro non si può, quanto li disprezzava. Poca autostima? Eh sì, poca autostima. Ma questo frammento di vita mi viene ancora in mente se mi chiedo quali vantaggi avrà l’elettore di Donald Trump quando il suo amato presidente verrà rieletto, o se troverà il modo di restare al potere anche in caso di vittoria dei democratici. Fatemi spiegare. 

 

Intanto, la risposta è semplice: non ne avrà nessuno. Il pensionato incazzato che guarda Fox News otto ore al giorno da Trump non avrà nulla (dico pensionato perché l’età media di chi guarda i canali televisivi dedicati alle notizie e ai commenti politici è di 65 anni). La Corte Suprema, che presto sarà saldamente in mano ai conservatori grazie al colpo di mano del Presidente del Senato, Mitch McConnell (che a suo tempo aveva negato a Barack Obama l’elezione di un giudice con argomenti speciosi, ora prontamente dimenticati per garantire l’accesso alla Corte di Amy Coney Barrett, la cattolica conservatrice scelta da Trump), forse riuscirà a rendere nulla la legge sull’aborto in vigore dal 1972. Ma di fatto la legge è già nulla negli Stati repubblicani che non la vogliono applicare, mentre una qualche legislazione sull’interruzione della gravidanza potrà restare in vigore negli stati democratici. La nuova Corte Suprema potrà indebolire ulteriormente la riforma sanitaria di Obama, alla quale Trump ha già assestato alcuni colpi, ma difficilmente potrà cancellarla del tutto. Potrà restringere ulteriormente le modalità di voto, e rendere l’atto del votare ancora più difficile di quello che in molti stati poveri e controllati dai repubblicani è già (il modo migliore di peggiorare la situazione sarebbe quello di abolire le elezioni una volta per tutte, cosa che all’attuale presidente non dispiacerebbe affatto). Una seconda amministrazione Trump si sentirà legittimata a restringere ancora di più le poche norme per la protezione dell’ambiente, dell’acqua e della salute pubblica che ancora resistono; e certamente si sentirà legittimata a tagliare le tasse alle corporation e agli ultraricchi ancora di più di quanto non abbia già fatto nel 2017.

 

Da tutto questo, al pensionato incazzato che guarda Fox News non verrà in tasca niente. Però potrà dire, come la mia studentessa di una volta: “Così imparano”. Chi deve imparare? I liberal, è ovvio. L’utilitarismo, ispirandosi ad Aristotele, ha sempre sostenuto che qualunque cosa gli uomini facciano, lo fanno per aumentare il loro benessere. Ma bisogna vedere di che benessere stiamo parlando. Può darsi, per dire, che il mio benessere non stia nell’avere una paga più alta, ma nel sapere che quel fannullone del mio vicino prende meno di me. Può darsi che il mio benessere non stia nell’avere una migliore assistenza sanitaria, ma nel fare in modo che quelli che secondo me “non se la meritano” non la ricevano affatto, e soprattutto non grazie alle mie tasse. Può darsi che il mio benessere non stia nel bere acqua pulita, ma nel sapere che l’acqua bevuta dalla gente di quel quartiere dove io non andrei neanche morto è più sporca della mia. “Il puritano è colui che ha l’orribile sospetto che qualcuno, in qualche parte del mondo, possa essere felice”, diceva H. L. Mencken – che non andrebbe citato, lo so, era un reazionario antidemocratico, detestava Roosevelt, giocava a fare il Nietzsche americano ed era colpevole di tratti razzisti (sai la novità), però sul puritanesimo e sull’antiintellettualismo del suo paese aveva l’occhio clinico. Ma il pensionato incazzato che guarda Fox News, per poter essere sicuro che i liberal abbiano imparato quanto lui li disprezzi deve fare come la mia studentessa di tanti anni fa: farsi fottere. Scusate il termine, ma non ce n’è uno migliore. Tutto quello che gli si potrà dire dopo, sarà: spero che ti sia piaciuto.

 

L’America sta vivendo nell’attesa di un colpo di stato come se stesse guardando un film catastrofico al rallentatore. I segnali ci sono tutti; Trump continua a dire che non riconoscerà il risultato delle elezioni se non sarà favorevole a lui, e siccome la notizia è troppo ghiotta i giornalisti non fanno che ripetere la domanda: “Signor Presidente, ha intenzione di rispettare i risultati delle elezioni?” E lui dice che sarà da vedere, perché sa che il pensionato incazzato gode all’idea di far venire un colpo apoplettico ai liberal. Indipendentemente dalla loro coloratura politica, i canali di cable news si stanno già fregando le mani all’idea che il 3 novembre, o il 4, o nei giorni successivi, quando saranno state contate le schede arrivate per posta, dall’estero e dai militari, Trump, aiutato dal suo Ministro della Giustizia, William Barr, dichiarerà il risultato nullo se non sarà di suo gradimento. I ratings del colpo di stato arriveranno alle stelle, le commesse pubblicitarie fioccheranno, l’America sarà finalmente unita nell’unico luogo dove è possibile unirla, davanti alla televisione. 

 

 

Il colpo di stato è sicuro? No, ma è altamente probabile, innanzitutto per via dello squilibrio ormai endemico nel collegio elettorale tra stati democratici popolosi e stati repubblicani a popolazione rurale, nei quali il numero dei Grandi Elettori è assolutamente sproporzionato rispetto al loro peso demografico. Joe Biden non può vincere solo con pochi voti; nemmeno con i tre milioni in più che già Hillary Clinton aveva avuto nel 2016, e che non sono serviti a niente. Deve vincere con almeno cinque milioni di voti più di Trump. Cosa non impossibile, ma difficilissima, perché sono voti che devono venire dagli stati giusti, e che devono superare una barriera quasi impossibile. Per esempio, non ha nessuna importanza come io voterò in Texas; poiché la maggior parte degli stati concede tutti i voti elettorali al vincitore, anche quelli della parte opposta, il mio voto per i democratici in Texas sarà, a meno di una improbabile vittoria dei dems, un voto per Trump. E anche se questi cinque milioni di voti dovessero materializzarsi, sarebbero comunque molto difficili da far valere, perché si scontrerebbero con la resistenza delle legislazioni repubblicane negli stati dove anche un solo voto potrebbe davvero fare la differenza. 

 

Gli Stati Uniti, è strano a dirsi, sono un paese vecchio, non giovane come si è sempre creduto, o comunque non più giovane. Hanno una delle Costituzioni più vecchie del mondo, e non è un caso che non sia servita da base a nessuna Costituzione scritta nel ventesimo secolo (per dire, la costituzione di Israele è basata su quella della Repubblica di Weimar). La Costituzione americana non rispetta veramente il principio dell’indipendenza dei poteri invocato da Montesquieu. Prevede che il presidente (potere esecutivo) possa nominare non solo i giudici della Corte Suprema (e a vita!), ma anche i giudici federali, coloro che di fatto gestiscono il potere giudiziario stato per stato. Quando la Costituzione americana è stata scritta non si poteva prevedere una polarizzazione politica così estrema come quella che si vive oggi. Allora, il grande divario era tra gli stati che fondavano la loro economia sulla schiavitù e gli altri, che non erano apertamente e assolutamente contrari, ma diciamo per carità di patria che non vedevano l’istituzione della schiavitù con molta simpatia. La divergenza, che stava rendendo impossibile la creazione della repubblica federale, fu risolta assegnando agli stati schiavisti un potere elettorale molto maggiore di quello che altrimenti avrebbero avuto. Ma in ogni caso, schiavisti o non schiavisti, erano tutti white gentlemen, venivano dalla stessa classe sociale, condividevano la stessa cultura, tra di loro si capivano, e nonostante la presenza di qualche testa calda (Aaron Burr che uccide Alexander Hamilton in duello) alla fine potevano mettersi d’accordo e perfino tirarsi indietro quando era il caso. Non sto dicendo che fossero tutte brave persone, ma che per via della loro educazione non amavano pestarsi i piedi l’un l’altro. È anche per questo motivo che la Costituzione non è molto precisa, non tanto sulle procedure di transizione del potere, perché quelle sono indicate, ma su che cosa c’è da fare se qualcuno non le rispetta. 

 

Questo era l’impensabile dei fondatori della Repubblica e di chi è venuto dopo di loro: l’idea che si potesse andare dal presidente che aveva perso la rielezione a dirgli che il suo mandato era finito e come risposta ricevere un: “No, non ci credo. Io resto qui”. Cosa si fa in questo caso? Si dovrebbero mandare gli U.S. Marshals a rimuoverlo, certamente, ma prima bisogna che i voti siano stati contati come si deve, bisogna seguire tutti i ricorsi, bisogna che si pronunci il Ministro della Giustizia, se il contenzioso si prolunga bisogna arrivare alla Corte Suprema, e la Corte Suprema, in un’altra torsione innaturale della divisione dei poteri, ha la facoltà di interrompere lo spoglio elettorale e dichiarare di fatto chi è il Presidente, come è accaduto quando Al Gore ha dovuto cedere per pochissimi voti non ancora ricontati la presidenza a George W. Bush. Il margine di incertezza è amplissimo. I democratici, da Bernie Sanders a Nancy Pelosi, continuano a dire che se questo dovesse accadere avrebbero un piano già pronto, anzi più di uno. Non dicono mai qual è, e li posso capire. Questa è una guerra, e non si va in televisione a rivelare i piani al nemico. Ma una guerra non si può vincere se le truppe non sanno almeno in che direzione devono andare. In questo momento non lo sanno, e la truppa democratica sta attraversando la più grave crisi di nervi della sua storia. I repubblicani gli stanno facendo vedere che cos’è il potere, e purtroppo la sinistra ha dimenticato da tempo che cos’è il potere. Pensa che il potere stia nel consenso della società, ma il potere non sta da nessuna parte se non nella mano di chi se lo prende, e scoprire che hai la società ma non hai il potere è come scoprire (chi ha passato gli anni Settanta se lo ricorda) che hai le piazze piene e le urne vuote. O, in questo caso, svuotate e annullate.

 

Una volta la mia studentessa mi telefonò a mezzanotte. Era ubriaca, e mi invitava a una festa di amiche. Non mi sembrava il caso. Parlammo un po’, ma avrei voluto che mi dicesse la verità, non per me ma per lei stessa: che andava con i ragazzi che le piacevano davvero, non con quelli carini e gentili. Dio, quanti democratici carini e gentili vedo in giro, con i quali nessuno ha voglia di andare.

 

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