Passaggio a Nord Est

28 Novembre 2012

Cosa vi viene in mente pensando al Veneto? Industria e design? Città d’arte, laghi e montagne? Prosecco e grana? È vero, il Nord Est è la patria delle delizie Dop,dei “capannoni a schiera”, dei vestiti alla moda e delle scarpe all’ultimo grido; ma anche di Babilonia Teatri, Anagoor, Barokthegreat; Paolini, Scabia, Vitaliano Trevisan; insomma, di una produzione, tutta immateriale, di arti performative che negli ultimi anni ha imposto il territorio all’attenzione della scena nazionale e non solo.

Una cartina al tornasole sono le edizioni più recenti del Premio Scenario, che si sviluppa tramite una capillare mappatura dei territori della creatività emergente e negli ultimi anni ha visto imporsi all’attenzione diverse giovani compagnie – nel 2007 i Babilonia e Pathosformel, nel 2009 Anagoor, Codice Ivan, la friulana Marta Cuscunà – che a Nord Est hanno mosso i primi, decisivi, passi di formazione e di lavoro.

 

Teatro Fondamenta Nuove, Venezia

 

Tanto per cominciare, Venezia

Ogni tour del Veneto parte dal suo irresistibile capoluogo regionale. Anche se – fuori e dentro dal teatro – è un po’ un paradosso, visto che la città lagunare ha sempre rappresentato un’irrisolvibile differenza rispetto al territorio di cui è capoluogo. E non solo a livello culturale, ma anche politico e sociale.

Venezia, lo sanno tutti, è la città dei monumenti. Ed è così anche per quanto riguarda quelli “immateriali” dello spettacolo dal vivo: di fianco alla basilica di San Marco e al ponte di Rialto, ci sono la Biennale e la Fenice, più l’unico Teatro Stabile pubblico della regione, guidato da Alessandro Gassman. La faticosa imponenza di questi monumenti negli ultimi anni ha vissuto una boccata d’aria fresca: lo Stabile sembra lavorare sulla creatività locale – con un premio annuale e un’attenzione particolare alle scritture del territorio, che quest’anno si concretizza con la produzione di spettacoli da testi di Carlotto, Scarpa e Trevisan – e la Biennale, anche con la direzione del catalano Àlex Rigola, si concentra sugli aspetti formativi, mentre la Fenice è partner di ben due università veneziane in progetti che coinvolgono gli studenti a diversi livelli.

 

Residenze di fatto

Ma parlare di Nord Est significa affrontare un territorio diffuso: ogni centro, anche il più piccolo, vanta le proprie eccellenze in tutta autonomia, mentre le realtà medio-piccole, spesso, offrono ben più stimoli delle grandi città. E non solo in teatro. Allora è meglio fare un giro anche in provincia, per scoprire che, di fianco ai monumenti più celebri, esiste un gran fermento. Con la progressiva stabilizzazione delle proprie attività e l’ampliamento del concetto di produzione, alcuni ensemble storici – dal Tam di Padova al Tib di Belluno – hanno cominciato a giocare un ruolo primario nei rapporti fra arte e territorio. Gestendo teatri e programmando rassegne, conducendo laboratori e, in qualche caso, provvedendo ad azioni di “tutorato” rispetto ad artisti più giovani (è il caso della veronese VivaOpera Circus con Babilonia Teatri).

 

CSC Garage Nardini, Bassano del Grappa

 

Dalle vetrine alle factory

Il formicolio che scuote le periferie e le province venete fa spesso parte di progetti innovativi e di ampio respiro, che – tanto nel teatro che altrove – guardano ai modelli internazionali per applicarli al proprio territorio. È il caso delle tante factory – soprattutto di giovane artigianato e design, localizzate spesso in suggestive aree d’archeologia industriale – che sembrano affollare negli ultimi anni piccoli centri e periferie; ma, forme simili, si possono ben trovare anche in teatro.

OperaEstate di Bassano del Grappa è un festival – anche se, per il lavoro svolto, è ormai riduttivo chiamarlo così – gestito dal comune vicentino. Di tradizione ormai più che trentennale, è uscito dai confini della vetrina festivaliera, diventando un vero e proprio centro di produzione che si occupa, fra l’altro, di scouting rispetto ai giovani artisti locali e non solo. Parlare di centro produttivo sarebbe fuori luogo, se intendiamo con “produzione” il tradizionale contributo per la realizzazione di spettacoli; ma se, come sta accadendo di questi tempi, il concetto e le pratiche produttive si dilatano fino a comprendere anche fasi attigue – il caso emblematico è quello delle residenze creative, ormai inserite a pieno titolo nei crediti degli spettacoli –, c’è da segnalare che OperaEstate sta giocando un ruolo davvero decisivo per la creatività performativa emergente in regione. Formazione, mobilità, accompagnamento e ricerca sono alcuni dei nodi entro cui si muove la vivace progettualità del festival bassanese. È qui che si formano ogni anno alcuni dei giovani autori più significativi a livello nazionale o dove hanno mosso alcuni dei propri primi passi compagnie come Anagoor e Babilonia Teatri. Con un ponte d’eccezione verso Venezia, il Teatro Fondamenta Nuove, che negli anni ha contribuito a ospitare spettacoli, laboratori e residenze; e, appena oltreconfine, il lavoro innovativo di Centrale Fies di Dro – di cui non a caso abbiamo preso a prestito il nome “factory” – che negli anni ha messo a punto un ecosistema innovativo, che ha offerto a molti di questi (e altri) artisti possibilità di lavoro e sviluppo.

 

Tempi di crisi e non solo

Ma tutta questa vitalità, che ha portato il teatro del Nord Est alla ribalta italiana e internazionale, è a rischio. E non solo per la devastante crisi economica che, fra le altre cose, sta mettendo in seria difficoltà anche le arti performative.

Andiamo con ordine e ripartiamo da Venezia, la prima tappa del nostro viaggio. L’attenzione locale va tutta o quasi – anche legittimamente – a sostegno dei “monumenti” che abbiamo visitato in apertura; sicché entra in gioco un soggetto privato, la Fondazione della Cassa di Risparmio, che, incrociando per certi versi un ruolo pubblico, con i propri progetti formativi ha in qualche modo riempito un vuoto (economico, progettuale, relazionale) ed è andata a sostenere non poco – e non solo in termini economici – le arti performative locali. Ma, di recente, le sue ambiziose attività sul territorio – complice la crisi, ma anche alcuni riassetti di interesse – sembrano essersi ridimensionate.

Inoltre, in assenza di una legge regionale unitaria, le compagnie diffuse sul territorio – che, per funzioni e profili, sono delle residenze di fatto – provvedono a rinegoziare di volta in volta le proprie attività con gli enti locali del caso (Regione, Province, Comuni). Il che significa un certo fiato corto progettuale – al massimo i contributi possono essere erogati annualmente – ma anche una delega integrale per quanto riguarda gli aspetti di relazione e networking, tanto interni (con le altre realtà del territorio), che esterni (a livello interregionale e internazionale).

 

Babilonia Teatri “Pinocchio”. Fotografia di Marco Caselli Nirmal

 

Qualche risposta concreta

L’ecosistema performativo della regione, che negli ultimi anni ha realizzato prodotti e modelli innovativi, è evidentemente a rischio. Alcune compagnie hanno risposto con pratiche associative – la più celebre è quella dei Produttori professionali teatrali veneti (Pptv), raggruppamento di artisti che ha autonomamente deciso di convertire parte dei propri finanziamenti regionali nella realizzazione dell’annuale festival Sguardi – e altre accentrando nei propri percorsi produttivi opportunità di relazione che mettono in rapporto le realtà locali con enti (non solo teatrali) fuori regione. Intanto OperaEstate lavora sempre più sull’affinamento della progettualità che porta a interagire gli artisti (non solo locali) con la dimensione internazionale: nel solo 2012 è presente in ben 4 progetti del Programma Cultura dell’Unione Europea. Ma, a guardarci bene, c’è di più: uno di questi progetti (Act your age) si concentra sul dialogo inter-generazionale. La strada del teatro community sembra concretizzarsi sempre di più per il festival bassanese, che, nell’edizione 2012 di B.Motion (segmento di OperaEstate dedicato alla performatività emergente), ha presentato due lavori – di Babilonia Teatri e Fagarazzi e Zuffellato – che si inseriscono in questo contesto. Ed è di questi giorni la notizia che il Teatro Fondamenta Nuove, per il versante teatrale, presenta una rassegna dedicata alle questioni di genere (con le Moire, Kronoteatro e Teatri di Vita) e sviluppata con l’assessorato alla cultura delle differenze del Comune di Venezia. Strade che sembrano aprire a un originale recupero della lunga tradizione, negli ultimi anni forse un po’ emarginata dal teatro di ricerca, di ampia aspirazione socio-culturale del fare performativo; e a interrogarsi – forse a rivedere – profondamente il ruolo che il teatro può avere rispetto alla propria comunità.

Tempi di crisi. Il Veneto, almeno per quanto riguarda la cultura performativa, sembra rispondere in modi diversi. Ma, poste le specificità morfologiche di questi orientamenti, l’atteggiamento sembra dimostrarsi unitario nei suoi presupposti, che partono tutti da una attenzione riveduta rispetto alle esigenze dei territori: laddove manca un coordinamento centrale, artisti e operatori si impegnano in autonomia nel sviluppare interazioni di respiro internazionale, incrementare la dimensione della rete, rivedere profondamente le relazioni fra la produzione culturale e il ruolo che può assumere nei confronti delle necessità – non solo estetiche – dei cittadini.

 

 

Roberta Ferraresi (Il tamburo di Kattrin)

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