Roma e il “respiro” dell’Appennino / Ricette immateriali. Amatriciana

28 Novembre 2018

Amatrice è nome e suono che inevitabilmente riporta al terribile terremoto del 2016. Nei giorni successivi a quella prima scossa del 24 Agosto, dopo le vittime e dopo le macerie e poi ancora dopo la polvere delle rovine e quella delle inefficienze, tra le innumerevoli parole ascoltate, molti inaspettatamente, impararono a conoscere che uno degli alimenti tipici dell’identità romana aveva avuto origine tra quei monti, lì ad Amatrice.

 

L’Amatriciana per chi la conosce può infatti essere quasi come un’eco di Roma, un suo sinonimo non troppo lontano. 

Inevitabile: dire Amatriciana è creare anche un’associazione di senso, è recuperare un’esperienza che dal gusto e dalle papille sale alla memoria dei luoghi, alla consapevolezza della conoscenza lungo i percorsi emotivi e i “riconoscimenti” che gli alimenti di una comunità sempre rivelano. Perché il cibo della tradizione è sempre “un gusto e un sapere” di tutti... non ci sono chef nella tradizione alimentare, la quale poggia su basi spesso secolari: sono solo il tempo e i luoghi... questi gli ingredienti nascosti e irrinunciabili di ogni tradizione che sia tale.

 

E poi qui siamo di fronte a uno dei pilastri della cucina romana e laziale, e, almeno da un punto di vista simbolico, inevitabilmente anche della cucina italiana, della sua identità, qualità, della sua capacità di seduzione.

Una pasta di grossa o media pezzatura, ma anche spaghetti e un sugo che appunto è all’amatriciana; sugo rosso di pomodoro, il pecorino e il guanciale di maiale, il pepe, varianti permettendo. Un piatto tipico delle trattorie romane e dei suoi quartieri più caratteristici e famosi; “comparsa” in innumerevoli racconti e romanzi, film, serie televisive.

 

Eppure tale identità è in fondo recente, figlia del Novecento. Questa ricetta, come altre altrettanto importanti e famose – pasta alla Gricia , Cacio e pepe – sono infatti di quasi certa origine appenninica, soprattutto abruzzese. Una origine ai più sconosciuta tanto è forte la capacità simbolica di Roma di appropriarsi delle identità limitrofe. È la capacità di attrazione delle grandi città, in merci e persone alla quale non sfuggono i territori circostanti, catturati dalle forze di gravità economiche e demografiche. Figli dell’attrazione di queste forze sono stati i flussi delle popolazioni degli Appennini verso la città – specie nel Novecento – e sempre e ancor prima dei suoi prodotti. Le transumanze invernali verso la pianura laziale portavano insieme ai pastori i loro condimenti e i loro companatici: il pecorino e il guanciale erano l’uno e l’altro e le contaminazioni “dietro l’angolo”. Poi, in origine, prima della Amatriciana è stata la “Gricia”, variante antica dello stesso piatto perché senza pomodoro, alimento americano arrivato a diffondersi nelle mense nostrane a tardo Settecento e ancor meglio Ottocento. 

Amatrice il cui nome rimanda all’ origine geografica della ricetta è ancora per poco Lazio. Sulla stessa catena montuosa e a pochi chilometri, l’Appennino è già quello marchigiano e quello di Abruzzo e Amatrice fino al 1927, anno di istituzione della provincia di Rieti, era in Abruzzo, come Grisciano, una frazione del comune di Accumuli, e patria possibile della “Gricia”. 

 

Comunque siano state le vicende dei confini politici e regionali, si tratta di una storia e di un’origine sconosciuta ai più ma soprattutto anche testimonianza indifferente della presenza della cultura alimentare appenninica a Roma e più in generale nel cibo italiano. 

Gli Appennini e la loro gente transumante, per secoli nel nostro paese sono stati una sorta “respiro”, un’osmosi umana e culturale verso altri luoghi e altra gente. Di quelle transumanze e di quel respiro, il cibo, forse più di ogni altro elemento, ha lasciato i segni delle conoscenze, depositato tracce della cultura dei monti.

 

Il terribile terremoto dell’Agosto 2016 e poi le “infinite” scosse seguenti portarono all’attenzione degli Italiani il dramma di territori come Amatrice e Accumuli, quasi cancellati. Mesi dopo, negli infiniti discorsi che seguirono, tra speranze e delusioni, tra le attenzioni dei media e le successive assuefazioni, tra le minute conseguenze di un evento così tragico, sarebbe emerso nella consapevolezza di molti anche l’origine di una ricetta che credevamo Romana.

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