Un documentario / Visioni: idee da un presente sostenibile

26 Marzo 2022

A volte accadono miracoli” mi dice Maurizio Corrado in una calda giornata d’estate mentre chiedo indicazioni preliminari al “ciak”: stiamo per girare la parte relativa al Nutrire il corpo nutrire la mente, sul cibo e l’alimentazione in Italia.

Il “miracolo” del quale Corrado parla è quello di un’attenzione da oltreoceano per il suo lavoro e per gli articoli a sua firma qui, su Doppiozero: così, solo sul riconoscimento dell’originalità di uno sguardo e di specifiche competenze. Fatto sta che Angelo Gioè, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Melbourne (Elm Tree House, 233 Domain Road South Yarra VIC 3141 Australia) lo ha contattato per un progetto che avesse come tema l’ambiente e l’ecologia in Italia oggi nelle diverse declinazioni del vivere che l’ecologia comprende. 

Le piante e noi; Nutrire il corpo nutrire la mente; La mano, la terra, la casa; Spazio celeste, spazio terrestre; Nextcity i titoli per altrettanti capitoli del documentario testimonianza Visioni che Maurizio Corrado – architetto e saggista – ha proposto e curato.

 

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Il tema ecologia è peraltro di assoluta e stringente attualità vuoi verso una sensibilità collettiva ormai consapevole di “un mondo che cade a pezzi” – citando una nota canzonetta – vuoi soprattutto verso la responsabilità dei giorni in cui tutti operiamo e siamo immersi.

Se c’è consapevolezza dell’essere ormai sull’orlo di drammatici cambiamenti epocali non altrettanta certezza c’è nelle risposte e nella direzione, anzi nelle direzioni da seguire, se è vero che il nostro è ancora e di gran lunga un mondo fondato sui consumi e sui consumatori.

Perché la domanda che conta alla fine, per tutti e nella quale ancora in parte annaspiamo, è dunque “Che fare”?

 

Su questo punto non si vede ancora linearità di un’azione globale che coniughi le “urgenze del vivere” quotidiano con le strategie presenti e future, e questo talvolta neanche a livello di massime istituzioni. Ecco che da Melbourne devono essersi chiesti quale potesse essere la sensibilità italiana su questo punto cruciale e sui modi in cui le urgenze del vivere possono coniugarsi con un altro elemento che la tradizione culturale italiana ben frequenta, vale a dire la qualità della vita e la “bellezza del vivere”.

 

Perché punto centrale nell’incertezza di fondo che tutti percepiamo è tra il mondo che stiamo lasciando e quello nuovo, fondato su un diverso modo di produrre e consumare, il mondo che andremo a costruire.

Per certi versi sembra di poter associare questa nostra epoca di transizione a qualcosa del Seicento al culmine del periodo barocco quando il mondo poteva essere percepito come il migliore tra quelli possibili ma già gli scricchiolii erano evidenti; pochi decenni e alla centralità della tradizione, delle verità intoccabili della Bibbia e delle celebrazioni (cos’è il Barocco se non una celebrazione delle forme, della bellezza di quel mondo e di quel presente?) si sarebbe sostituita la centralità dell’uomo e della ragione.

Anche oggi come allora, ma naturalmente ben lontani da quel sentimento di perfezione, sembriamo alla ricerca di un nuovo portolano in grado di illuminare un’età nuova, non sappiamo ancora quale, in grado di condurci fuori dalle secche, in grado cioè di farci legare economia ed ecologia, tradizione e innovazione, ricchezza materiale e spirituale, sogni e realtà…

Almeno in Occidente c’è consapevolezza di stare su un orlo instabile e su quell’orlo continuiamo quotidianamente a ballare cercando una musica nuova che si avverte solo indistintamente 

 

 

Ecco che allora Visioni esprime bene questo “sentimento” così come l’attuale ricerca sull’ecologia e sull’ecologia del vivere. E lo fa attraverso la regia di chi per mestiere – l’architetto – ha sguardi e studia la relazione tra il corpo individuale e quello sociale con l’ambiente, studia le diverse forme del vivere tra il muoversi e il restare. Lo fa poi soprattutto attraverso le testimonianze di esperti, studiosi e ricercatori afferenti ai temi trattati nelle diverse puntate. 

Due gli elementi, la trama comune alle diverse tematiche e alle diverse puntate.

 

Il primo è l’idea del tempo profondo, vale a dire le azioni umane sull’ambiente e le azioni di questo su di noi viste per un tempo che vada oltre la civiltà dell’agricoltura, oltre la rivoluzione neolitica, giù nelle centinaia di migliaia di anni in cui i nostri geni si sono evoluti e hanno dialogato con l’ambiente. È un tema che condivido con Corrado e su cui egli ha recentemente pubblicato il bel Architetture del dopo, costruire con le piante, Deriveapprodi, Roma 2020 (vedi la recensione). 

In Visioni, questo tema è espresso come una sensibilità sottesa; qualunque ambiente, stile di vita, città, cibo andremo a immaginare questi non potranno più essere pensati solo entro gli schemi cultuali, le abitudini della società agraria e urbana prima, industriale e urbana poi; non solo, almeno. Per comprendere l’Antropocene e trarre rimedio ai suoi errori occorrono sguardi più lontani e più profondi.

 

Altro elemento al centro di tutte le puntate di cui si compone Visioni è l’idea di comunità e del sapere collettivo come risorsa essenziale per poter immaginare un qualunque percorso innovativo e sostenibile. Un leitmotiv, una trama così presente tra tutti gli interventi – indipendentemente dal tema – da risultare quasi una conferma inconscia della sua necessità, in qualche modo una verità necessaria.

E potrebbe essere allora questa la chiave principale, la precondizione per costruire, tra tutte le idee e possibilità oggi intraviste, un presente e un futuro sostenibile?

Forse… almeno se questo tratto comune sembra suggerire che qualunque siano i percorsi innovativi che riusciranno a promuovere comportamenti virtuosi e una nuova interazione con l’ambiente ciò sarà solo attraverso la condivisone delle idee e dei progetti, solo riscoprendo la dimensione legata al nostro corpo collettivo, sociale. 

 

Sarebbe un mutamento a suo modo epocale e insieme una rivoluzione culturale, quando, direttamente o indirettamente, bisogna prendere atto che ormai le generazioni viventi, vale a dire tutti noi, nati nel “paese dei balocchi”, siamo tutti figli della società dei consumi, cresciuti nell’orizzonte esistenziale del consumatore e dei suoi egoismi, dei suoi bisogni e dei suoi piaceri individuali.

Perché oggi i veri paesi “in via di sviluppo” non possiamo che essere noi, vale a dire tutti i paesi ad alto reddito, che, più o meno felicemente, hanno abbracciato il mondo dei consumi a partire dal boom economico del secolo scorso, nient’altro che l’eredità estrema della società agraria e urbana prima, industriale e urbana poi.

Buone Visioni.

 

La serie sarà disponibile da maggio fino a tutto il 2022 sul sito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

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