Il corpo nudo di Pasolini
Da Fregene a Sabaudia e a Chia
Dino Pedriali ha raccontato più volte d’aver incontrato Pier Paolo Pasolini nel mese di agosto del 1975 a Fregene, sul litorale laziale. Sosteneva di averlo incrociato altre volte, anche se non sappiamo bene in quali occasioni. Di certo frequentava il mondo dei giovani borgatari, cui lo scrittore e poeta era legato. All’epoca Dino aveva ventiquattro anni. L’occasione in quella estate del ’75 gli fu offerta dal gallerista Luciano Anselmino per cui Pederiali lavorava. In quei giorni Anselmino ospitava Man Ray. Pasolini invece stava finendo di realizzare il suo ultimo lavoro Salò-Sade, e voleva chiedere a Man Ray di utilizzare un suo ritratto del marchese De Sade per il manifesto del film. Dino conosceva dal 1972 Man Ray, cui aveva già scattato alcune foto. In questa occasione Pedriali chiede a Pasolini di poterlo ritrarre. La risposta è positiva, ragione per cui, come ha raccontato lo stesso Dino, il regista lo invita a presentarsi nella sala dove sta montando il film. La risposta del giovane è perentoria: vorrei ritrarla non come regista ma come scrittore. Del resto, e come ha raccontato lui stesso, Pedriali ha detto di aver portato con sé a Fregene una copia di Ragazzi di vita per farla autografare da Pasolini, un segno tangibile della sua ammirazione per quella specifica opera, ma anche un’indicazione di appartenenza ideale: il mondo dei giovani descritto dallo scrittore in quel romanzo che gli aveva dato la prima notorietà fuori dall’ambiente letterario e cinematografico, e insieme un motivo di scandalo così da trasformarlo in un personaggio presente nelle cronache mondane e persino giudiziarie.
All’epoca Pederiali aveva già scattato foto ad altri personaggi celebri come Andy Warhol a New York, oltre ad alcuni ritratti appunto di Man Ray nel suo studio, sempre nell’ambito dei suoi contatti con Anselmino e la sua galleria torinese “Il Fauno”. Nel corso degli anni Sessanta Anselmino era stato presente anche a Roma e a Milano con varie esposizioni; aveva trentatré anni ed era il mercante, oltre che di Man Ray, di Max Ernst, Allen Jones, Leonor Fini, Carol Rama e altri artisti italiani e stranieri. Morirà in circostanze misteriose quattro anni dopo quell’incontro, nella sua casa milanese di via Manzoni 12. In quel momento il gallerista stava preparando una mostra di Warhol, aperta a Milano nel 1976 con il titolo di Ladies and Gentlemen: una serie di serigrafie dedicate ai travestiti newyorkesi. La medesima mostra, esposta poi a Ferrara, sarà presentata da Pasolini: è uno dei testi più interessanti nell’ultimo periodo della sua vita, apparso postumo.
Su quell’incontro a Fregene si sono scritte diverse cose e alcuni dettagli avanzati da un biografo di Pasolini sono stati smentiti da Pedriali. È abbastanza probabile che lo scrittore abbia visto nel giovane fotografo una persona che apparteneva al mondo che proprio in quei mesi andava descrivendo con molto dolore e grande malinconia nell’articolo famoso detto “delle lucciole”. In un passo di quel pezzo, apparso sul “Corriere della Sera”, non a caso messo tra parentesi come un pensiero personale, intimo, Pasolini alludeva al cambiamento che aveva subito il paesaggio umano da lui tanto amato: “(Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta)”. Si definisce “anziano”, anche se all’epoca aveva 52 anni. Le lucciole cancellate dall’inquinamento dell’aria e dei fiumi non erano solo gli insetti così affascinanti della sua giovinezza, ma anche i giovani sottoproletari amati da Pier Paolo negli anni passati, da quando, nel 1949, s’era trasferito a Roma da Casarsa in Friuli a causa del processo per atti osceni in luogo pubblico.
Questa è forse la ragione per cui lo scrittore può aver accettato la proposta del giovane fotografo, ma anche perché l’aveva incontrato in quel circolo di persone, Man Ray, Warhol, e naturalmente Anselmino. Nelle quattro cartelle sui travestiti di New York, che Pasolini consegnerà al gallerista, le prime righe raccontano proprio lo scambio d’idee con Man Ray, l’incomprensione nata tra lui e l’artista surrealista a proposito di Salò e la fine del Fascismo. Nel testo si parla poi di Warhol, ma senza fare alcun riferimento all’incontro di Fregene dove PPP conobbe, o forse riconobbe, Dino Pedriali.
In una testimonianza resa molti anni dopo, il fotografo ricorda un dettaglio del servizio che fece a Sabaudia in compagnia di Pier Paolo una settimana dopo. Una frase sconsolata pronunciata dallo scrittore e molto vicina all’articolo sulle lucciole. Rivolto a Dino aveva detto: “Non c’è più posto nel mondo per me, neanche nel Terzo Mondo”; e poi un breve scambio in cui Pasolini gli aveva chiesto se si interessasse di politica, cui Pedriali aveva risposto: no. “Male – era stata la replica di Pasolini – un giovane si deve interessare di politica”. Qualche giorno dopo, ricordava Pedriali, lo scrittore gli aveva telefonato e gli aveva chiesto di raggiungerlo a un incontro di football tra lui e alcuni suoi amici. Dino si era recato sul luogo portando con sé la macchina fotografica e aveva scattato alcune immagini. A Pasolini, che successivamente gli aveva chiesto come erano venuti gli scatti, Dino aveva risposto: non molto bene. Qualche giorno dopo Pasolini lo invitava a passare da lui, in via Eufrate. È probabile che il viaggio a Sabaudia sia avvenuto quel giorno stesso, nel pomeriggio. La prima meta che i due raggiungono con l’auto dello scrittore è la casa che Pier Paolo condivide con Moravia e Dacia Maraini. Sono scatti che lo ritraggono al lavoro. E si fermano lì a dormire.
Il mattino seguente vanno a Sabaudia, nella città edificata dal Fascismo. Dino invita Pasolini a scendere dalla macchina per fargli qualche scatto. Nel testo in cui ricorderà a distanza di tempo quel giorno Pedriali, riferendosi alla vettura, ha scritto: “Questa macchina è mitica, la guidano tutti, dal principe al coatto”. Nessuno di loro due sa che proprio quella vettura, così osannata da Dino, sarà uno degli strumenti della morte del suo proprietario. Pasolini è ritratto mentre passeggia per la città, tra le architetture razionaliste. In uno slancio di nostalgia, quasi ripetendo quello che ha scritto il poeta riguardo alle lucciole, Pedriali ricorda di aver fatto fermare l’auto e di aver chiesto allo scrittore di salire sul marciapiede e di guardare in direzione del promontorio del Circeo, dove poco tempo prima era avvenuto un efferato delitto che coinvolgeva dei giovani della Roma bene e delle ragazze: “(C’era un sole bellissimo, sta tramontando, ma è ancora molto luminoso; sono impegnato a trovare la giusta inquadratura)”. Il tema che Dino solleva in quelle poche pagine è quello dell’amicizia, anche se si percepisce che c’è un aspetto erotico sottotraccia, parte, anche questo, dell’ammirazione e dell’attrazione che prova verso quest’uomo famoso e più grande di lui.
I biografi di PPP, in particolare Barth David Schwartz, autore di un corposo libro, sostengono che quell’erotismo si sia trasformato in un contatto sessuale tra i due, ma non c’è nessuna prova che questo sia accaduto. Dal canto suo Pedriali l’ha sempre negato con decisione. Forse già dal primo incontro a Fregene Pasolini deve aver iniziato a pensare che avrebbe potuto coinvolgere Pedriali in un set fotografico diverso da quello che voleva realizzare. Pian piano nella testa di PPP deve essere nato il progetto che poi Pedriali realizzerà a Chia. Oppure, al contrario, è accaduto tutto in modo istintivo e diretto: sottoporre Dino a una prova, vedere come si comporta, quello che fa e dice durante il servizio. È molto improbabile che Pasolini abbia potuto vedere le foto scattate a Sabaudia. Ma prima di passare al racconto di cosa è successo a Chia, dove PPP possedeva una casa-rifugio, vale la pena dire ancora qualcosa delle fotografie scattate per le vie della città edificata dal Fascismo.
Qui è l’occhio di Pedriali a dominare la scena, a organizzarla. Così ha raccontato, e non è difficile credergli. In fondo Dino ha tirato fuori da Pasolini quello che già c’era: la solitudine, il confronto con il Fascismo per le strade della città costruita dagli architetti del Duce, la disperazione che sembra svuotarlo, anche se, come sempre, il regista, poeta e scrittore è iperattivo, propositivo, pieno d’energia. Eppure è solo, solo contro tutti, come scrive sui giornali cui collabora in una specie di diario in pubblico, che redige giorno dopo giorno. Solo e abbandonato dal destino, che forse intuisce infausto, almeno dal punto di vista della sua vita, che è la cosa che probabilmente più gli importa – vita e opera in lui coincidono e si sovrappongono.
Rispondendo in quelle settimane a Calvino, in quel duello a distanza sulle pagine dei quotidiani fatto di ammirazione e sconcerto, Pasolini s’è paragonato al dottor Jekyll e a Mister Hyde: è due in uno. Parlando della sua vita l’ha descritta come divisa a metà, tra il giorno e la notte, tra l’intellettuale conosciuto e colui che nottetempo raggiunge i luoghi dove stazionano i ragazzi di vita che si offrono per denaro. Lo scrittore Nico Naldini, suo cugino, anche lui omosessuale, l’ha raccontato in una sua breve biografia in modo magistrale, e anche pietoso; ha descritto la doppia identità di Pier Paolo, la divisione che attraversa le sue ore tra il chiaro e l’oscuro. Sono tutte metafore per indicare la sua condizione duale, ma certo la sua duplicità è evidente a chi lo conosce meglio, e a chi, come Nico, gli vuol bene. Guardando le foto che gli ha scattato Pedriali tra Sabaudia e Chia, ci si domanda a quale parte del suo sé appartengano quegli scatti diventati dopo la
sua scomparsa così famosi, quelli in cui compare l’intellettuale, lo scrittore, l’autore notissimo, e quelli invece che lo mostrano nudo dentro le stanze del suo rifugio.
Ma andiamo con ordine. Nel loro girovagare con l’auto di Pier Paolo hanno anche tempo di andare a cena. Dino ha raccontato di averlo accompagnato a Nettuno, dove Pasolini ha un appuntamento con alcuni ragazzi. Arrivano però in ritardo per un guasto della macchina, perciò rientrano a Roma. Passa una settimana prima che si rivedano di nuovo. Prendono un appuntamento per andare a Chia, in provincia di Viterbo, dove Pasolini ha acquistato un vecchio rudere, resti di un antico castello.
È un luogo magico. C’è una torre alta e sottile, e poi la casa, un buen retiro per lo scrittore, che l’ha fatto sistemare da un architetto realizzando una serie di stanze che possiedono una parte vetrata, uno spazio esposto alla luce del giorno. È un luogo privato, appartato. Da dentro, dalle stanze si guarda fuori, verso il giardino, e nel medesimo tempo si è guardati. Probabilmente è stato Pasolini a suggerire questa soluzione architettonica o forse era giocoforza procedere così, appoggiando i nuovi manufatti delle stanze ai vecchi muri; la soluzione trovata dall’architetto Ninfo Burruano lega insieme i ruderi del castello e la necessità di conferire un senso d’intimità al nuovo costruito. Pasolini è arrivato lì, a quel luogo, nel 1960 mentre girava il film Il Vangelo secondo Matteo. Vicino ai resti dell’antico castello c’è il cosiddetto Fosso Castello con le sue cascate; lì il regista ha girato la scena del battesimo di Gesù. Si tratta di un luogo remoto, arcaico, uno spazio perfetto per ambientare l’episodio per via delle forre, dei massi nel torrente e le discese d’acqua. Pasolini se ne era innamorato.

Pedriali ha raccontato cosa è accaduto quel giorno a Chia, seppure mescolando la storia degli eventi ai suoi stati d’animo, quelli che ha provato allora in quei momenti e quelli successivi nel ricordo. Con il tempo, questi ultimi hanno preso il sopravvento su tutto. Quando i due arrivano a Chia incontrano Claudio, un ragazzo del luogo che Pasolini ha preso sotto la propria ala protettrice. Il ragazzo gli ricorda i tratti fisici di Ninetto Davoli quando aveva la sua età. Insieme vanno al ristorante. Pasolini non mangia quasi mai in casa, per lui il ristorante è da tempo uno spazio usuale, per gli incontri con gli amici, luogo di convivialità; l’ultimo incontro, quello fatale della sera del 1° novembre con il giovane conosciuto da poco, Giuseppe Pelosi, detto il Rana, il suo assassino, comporterà un indispensabile passaggio al ristorante. Riaccompagnano Claudio a casa. Restano Pier Paolo e Dino. Il racconto è stato reso da Pedriali a varie persone, a partire al biografo Schwartz; successivamente Dino lo ha anche redatto in forma scritta.
Si siedono nella stanza del camino. Pasolini comunica a Dino il progetto a cui sta lavorando da tempo. Prima di farlo gli chiede che tutto questo rimanga un segreto tra loro due. Gli chiede di fotografarlo nudo, ma non in posa, bensì come se lo cogliesse di sorpresa, all’improvviso – viene in mente al riguardo il modo in cui i paparazzi per anni hanno fotografato Pasolini e come questi scatti “rubati” siano poi comparsi sui rotocalchi alimentando la sua fama. Chiede al giovane fotografo di coglierlo così, mentre lui cercherà di assumere la postura di uno che è inconsapevole di chi c’è là fuori nel buio: da dentro la stanza illuminata cercherà di scorgere chi lo sta guardando. Il tutto è molto diverso da quanto è accaduto nelle fotografie della settimana prima. Un dettaglio: PPP dice a Pedriali che è libero di decidere come guardarlo. Dopo, una volta sviluppati gli scatti, vedranno insieme il risultato, e sceglieranno le immagini per il suo progetto. Prima di queste fotografie, lo scrittore si fa ritrarre in altre pose nel parco di Chia, in casa e all’intorno. Lo scatto famoso, quello con la mano destra chiusa posta davanti alla bocca, appartiene a questa serie di ritratti. Pedriali l’osserva mentre disegna, chino a terra; sta tracciando un ritratto di Longhi, suo maestro all’università. Longhi è scomparso da anni. Quindi dice a Dino: sei pronto? Si toglie i vestiti ed entra nella camera da letto. Pedriali si sposta all’esterno. Impugna una Nikon F e schiaccia diciotto volte il pulsante dell’otturatore. Schwartz riporta una considerazione del fotografo sulla “innocenza” di Pasolini. Si tratta di uno degli aspetti che probabilmente Pedriali sente di condividere con lo scrittore, una sorta di purezza, qualcosa di incontaminato cui ha sempre aspirato, non solo come uomo, ma anche come artista.
Guardando le opere che Pedriali ha poi realizzato, dopo la morte di Pasolini, nel corso degli anni Ottanta, in particolare i nudi, si può forse comprendere quello che sto cercando di dire. L’innocenza che Dino proietta su Pasolini è qualcosa che non si distingue molto dall’elemento sessuale che c’è nei ritratti di amici e ragazzi che Pedriali realizza successivamente. E questa innocenza è anche una componente essenziale di quello stato di grazia che gli pare di cogliere nello scrittore. Questo è il modo a cui tende come artista. Dino Pedriali aspira a diventare così e percepisce che l’incontro con Pasolini gli può conferire quello stigma che sente di dover avere per essere un fotografo.
Pasolini ha spiegato a Dino che le foto che lui gli scatterà riguardano un libro che sta scrivendo. Gli dice anche il titolo: Vas. È quello che ha scritto sul faldone di fogli a cui lavora da tempo, almeno dal 1972. Conosceremo questo libro non finito solo molto tempo dopo, nel 1992, quando sarà pubblicato con il titolo Petrolio da Einaudi. Nelle dichiarazioni che Pedriali ha reso in seguito, lo scrittore gli avrebbe detto che il libro si apriva con un rapporto omosessuale narrato in modo realistico. Questo dettaglio offre la possibilità a Dino di confidare a Pier Paolo che anche lui ama i ragazzi. Dice che non gli basta avere con loro un rapporto fisico, vuole avere un rapporto maturo con un uomo: vuole “fare l’amore”. Pasolini sarebbe rimasto in silenzio davanti alla dichiarazione del giovane fotografo. Anni dopo Pedriali ha poi smentito di aver pronunciato questa frase.
A questo punto, Dino ha già le fotografie che gli ha chiesto Pasolini. Quindi il giorno dopo torna a Roma. Ha con sé le 40 foto scattate a Sabaudia e le 70 di Chia. I ritratti dei nudi sono 36, dirà – riguardo ai numeri non c’è una certezza –, mentre ci sono altri scatti che ritraggono il poeta mente dipinge, e anche il luogo. Va a Torino, sviluppa i negativi e prepara le stampe per farle vedere a Pasolini. Siamo arrivati al 2 novembre 1975, il giorno in cui viene scoperto il corpo martoriato di Pasolini a Ostia. Mentre fa colazione in un bar, Pedriali scopre la notizia della morte del poeta.
Solo anni dopo dirà a una giovane studiosa, Patricia Hill, che le foto coi nudi erano state scattate per essere inserite in Petrolio come un testo visivo, parte integrante del romanzo. La storia del legame tra questi scatti e Petrolio è un corposo capitolo a sé, il cui racconto è stato fatto da diversi interpreti, divisi tra chi sostiene che questo era effettivamente il progetto di Pasolini e chi invece ritiene che gli scatti non avessero questa destinazione. La mia convinzione è che fossero destinati a quello scopo; per cui rinvio a quanto ho già scritto anni fa al riguardo. Il punto centrale della questione è il fatto che lo scrittore voleva entrare con il suo corpo, seppur in immagine, nel romanzo. Una sorta di coincidenza tra l’opera scritta e la fisicità della sua persona: l’opera stessa diventava un corpo, il suo, come ho già scritto altrove anni fa.
Come lo guarda dunque Pedriali attraverso il mirino della macchina fotografica? È uscito fuori e ha osservato Pier Paolo come se fosse un voyeur; l’ha fatto attraverso l’occhio di vetro della macchina fotografica. Si è comportato come un paparazzo? Era questo che voleva Pier Paolo da Dino? L’ha scelto perché, come lui, Dino è omosessuale? O perché è un giovane? Perché ha inteso che in lui, nel suo modo di essere, e quindi di fotografare, c’è qualcosa che gli interessa profondamente? Sono tutte domande a cui non abbiamo una risposta esauriente e definitiva. Solo il campo di una interpretazione mutevole.
C’è nell’arte di Pasolini una disposizione all’inatteso, al casuale, una capacità di cogliere le occasioni e di farle sue, davvero rara. Un’abilità da artigiano, prima ancora che da artista, per quanto dell’artista possieda proprio il guizzo dell’improvvisazione, dell’inaspettato a proprio vantaggio, qualcosa che ben pochi possiedono tra gli scrittori della sua stessa generazione. La forza che contiene ogni punto della sua opera – dalla poesia al saggio, dal romanzo al cinema – riguarda proprio questa abilità, meglio: questa maestria di trasformare tutto in una forma con un proprio senso, qualcosa che gli appartiene e che è intimamente suo e riguarda il modo stesso in cui Pasolini vive ogni cosa con un’intensità e una determinazione costante e assoluta. Anche la poesia meno bella, il passaggio saggistico quasi incomprensibile, o insignificante, possiede una propria icasticità e insieme una forma definita. Si tratta di una facoltà che, per dirla con il mito, gli dèi donano a pochi. Si tratta di un dono anche pericoloso e rischioso, ma che lo scrittore ha fatto proprio e usato a piene mani.
Nota
Il libro realizzato da Pedriali nel 2011 s’intitola Pier Paolo Pasolini. Fotografie di Dino Pedriali, Johan & Levi; contiene il testo del fotografo più volte citato. Riguardo il dibattito sulla possibile inclusione delle immagini dei nudi in Petrolio rinvio a due miei libri: Pasolini in salsa piccante, Guanda, 2010; e Pasolini e il suo doppio, Guanda, 2022. Il romanzo inedito di PPP ha avuto successive edizioni dopo la prima a cura di Maria Careri e Graziella Chiarcossi da Einaudi nel 1992, che contengono ulteriori specifiche riguardo ai modi e ai tempi della compilazione: a cura di Silvia De Laude, Oscar Mondadori, 2005 e a cura di Maria Careri e Walter Siti, Garzanti, 2022. L’intervista di Maria Luisa Agnese è apparsa su “Panorama” del 14 marzo 1978. Si rinvia anche al volume compreso nell’edizione delle opere di PPP: Romanzi e racconti 1962-1975, Meridiani Mondadori, 1998. Il volume fotografico di Pedriali è Nudi e ritratti. Fotografie 1974-2003, a cura di P. Weiermair, Skira, 2004. Questo testo attinge anche ad alcune conversazioni avute con Dino Pedriali.
Questo testo è apparso nel catalogo della mostra Pier Paolo Pasolini (1922-1975). Fotografie dei Dino Pedriali, a cura di M. Belpoliti presso METRO Kinokulturhaus di Vienna, organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Vienna, dalla Fondazione Rovati di Milano e dal FilmarchivAustria, aperta dal 4 ottobre al 2 novembre 2025; stampato in 500 copie fuori commercio, comprende una ulteriore parte riferita alle fotografie esposte qui non riprodotta, e un testo di Peter Kammer, Appunti sulla ricezione di Pasolini nell’area germanofona; ringrazio Nicola Locatelli e Monica Loffredo per aver consentito di riprodurlo in questa sede.
Leggi anche:
Alfabeto Pasolini
Speciale Pasolini PPP
Pasolini ritratto da Dino Pedriali