Martin Kippenberger a Berlino

15 Aprile 2013

Martin Kippenberger è un artista spettacolare. Il mio non è un giudizio di gusto, ma una semplice constatazione pratica, se un museo grande e famoso, come Hamburger Bahnhof di Berlino, volesse costruire una mostra di sicuro impatto, una di quelle esposizioni destinate ad attrarre i visitatori come il miele le mosche, Kippi sarebbe l’uomo giusto. E dato che le idee semplici sono condivise da molti ecco Kippenberger in mostra a Berlino: fino al 18 Agosto 2013 Hamburger Bahnhof, il principale museo d’arte contemporanea della capitale tedesca, mette in scena Martin Kippenberger: Sehr Gut | Very Good, retrospettiva dal sapore nostalgico e dal sicuro impatto scenico, che concede, a chi sappia coglierla, una lettura critica più profonda dell’opera di un artista apparentemente dedito alla sola superficialità.

 

Martin Kippenberger, Uno di voi, un tedesco a Firenze, courtesy Galerie Gisela Capitain, Estate Martin Kippenberger.



Tra le innumerevoli dichiarazioni più o meno serie rilasciate da Kippenberger nella sua breve vita da personaggio famoso, tra le infinite battute e frasette scritte di suo pugno su uno dei centinaia di testi da lui editi e pubblicati, o registrate in qualche intervista, i curatori Udo Kittelmann and Britta Schmitz scelgono, quale frase d’apertura del percorso espositivo, la seguente dichiarazione:
“Quel che conta è se la gente continuerà o no a parlare di me… E quello su cui sto lavorando è far sì che le persone dicano: Kippenberger era veramente divertente!”.

 

Divertente lo era Kippenberger, e voleva esserlo, divertito forse no. Il suo comportamento sregolato, il suo eterno vagabondare spinto dal più totale rifiuto di chiamare un singolo luogo “casa”, fanno pensare a un poco allegro Zeno Cosini in versione post-moderna, un eterno insoddisfatto che fa centro sempre nel bersaglio a cui non sta mirando, un uomo condannato a non trovare totale pienezza neanche nel fallimento. A differenza di Zeno, Martin conserva un naturale istinto alla fuga, eppure il suo girovagare sembra quello di un cane legato alla sua cuccia da una corda molto lunga, che lo costringe a tornare inevitabilmente sui suoi passi. E così la produzione artistica di Kippenberger è una collezione di temi, spunti e suggerimenti che ritornano a distanza di anni, come tante ricerche iniziate e mai concluse, frasi sospese a metà che non conosceranno mai la completezza di un punto.

 

Sehr Gut | Very Gut è una grande personale dell’opera dell’artista tedesco, apparentemente non dissimile da quelle organizzate negli scorsi anni dal MoMA di New York (nel 2009) e dalla Tate Modern di Londra (nel 2006), che lascia però trasparire un intento di fondo diverso. L’operazione portata avanti a Berlino trova la sua specificità nella città stessa, infatti a essere sottolineata in particolare è la fase iniziale della carriera artistica di Kippenberger, i suoi pochi anni berlinesi (Kippenberger ha vissuto a Berlino, in modo molto poco stabile, tra il 1978 e il 1981). A Berlino Kippenberger elabora il suo personaggio più riuscito, quello dell’artista, pur lavorando al contempo su altre possibilità di carriera, come quella di musicista punk, suonando con la band Luxus, e di direttore di club underground, gestendo il famoso SO36 di Kreuzberg.

 

Martin Kippenberger, Senza titolo, dalla serie Lieber Maler, male mir

 

Durante i suoi primi anni berlinesi Kippenberger produce pochissime opere d’arte vere e proprie, qualche quadro, nessuna scultura, nessuna installazione, piuttosto si preoccupa di promuovere se stesso quale giovane artista emergente, riuscendo in pochi mesi a diventare figura centrale del panorama artistico berlinese fine anni ‘70. A Berlino Kippenberger performa l’idea che ha di sé, o meglio l’idea che vuole restituire al mondo di se stesso: un edonista, con una passione per l’alcol e i bagordi d’ogni tipo, un leader carismatico per la massa di creativi che popola la città. Ma Kippenberger è anche dedito a un duro e costante lavoro di definizione identitaria, cui fa seguito l’esagerata esplosione di questa identità tanto faticosamente afferrata.

 

Camminando tra i lavori presenti in mostra, sapientemente confusi con le molteplici testimonianze visive della vita (mai totalmente) privata dell’artista, foto di famiglia, cartoline, lettere, piccoli oggetti conservati e accumulati, il visitatore intuirà a stento un filo conduttore. Alla maniera di un flusso di coscienza si susseguono forme e colori, immagini e parole, molte parole, come quelle racchiuse nelle decine di citazioni incise sulle pareti bianche della galleria, che servono a evocare direttamente la voce dell’artista, che amava mantenere il volume alto, nella musica quanto nelle chiacchiere.

 

Martin Kippenberger, Zuerst die Füße

 

I dipinti in bianco e nero del ciclo Uno di Voi: Un tedesco a Firenze (1976-1977) sono accostati ai tantissimi poster elaborati dall’artista durante tutta la sua carriera, i celebri lampioni deformati dialogano con le rane crocifisse, i quadri su commissione di Lieber Maler, male mir (1981) incontrano le canzoni stonate suonate con le band Luxus e Grugas. Tutto scorre senza soluzione di continuità, quale rappresentazione, in forma di confusionaria giustapposizione di detriti, della vita di un uomo coinvolto in un eterno tentativo d’essere, e non solo diventare, un artista iconico.

 

Nulla manca nel flusso di citazioni: dalla primissima opera dell’artista, un collage di fotografie che fungeva da passerella per una sfilata della stilista berlinese Claudia Skoda, nel 1976, fino all’ultimissimo progetto, iniziato e mai concluso, dedicato alla Zattera della Medusa. Kippenberger aveva intenzione di realizzare un’opera omaggio al dipinto di Théodore Gericault, ma il lavoro non venne mai completato, e del progetto sopravvivono solo i primi schizzi e le foto preparatorie. In queste immagini un Kippenberger appesantito dagli eccessi, non ancora vecchio, e tristemente destinato a non diventarlo mai, posa per la macchina fotografica, impersonando ciascuno dei personaggi raffigurati nel dipinto ottocentesco. Una drammatica rappresentazione della propria particolare condizione umana, e al contempo un tentativo di prestare il corpo all’opera d’arte, fino a confondere del tutto i limiti tra realtà biografica e artificio.

 

Foto preparatorie per La Zattera della Medusa

 

Nel più recente dei suoi lavori si sente ancora chiara l’eco degli albori, del momento in cui Martin Kippenberger, ragazzo di buona famiglia di Dortmund, arriva a Berlino e decide di diventare Kippi l’artista, di fondere definitivamente persona e personaggio. Nella scelta di puntare i riflettori sul periodo berlinese giace la chiave di lettura critica dell’intera mostra.

 

Martin Kippenberger, Zuerst die Füße

 

E se non bastasse, ecco un ultimo tassello a completare l’assetto curatoriale: a conclusione del percorso espositivo è posta la registrazione video della performance Art Must Hang (2001), dell’americana Andrea Fraser, che consiste nella fedele riproduzione, da parte della più giovane artista, del discorso fatto da un Kippenberger visibilmente ubriaco in occasione dell’apertura di una delle sue ultime mostre personali. Fraser indossa i vestiti di Martin, fa propria la sua lingua, il suo modo di parlare, il suo alcolismo, impersona Kippenberger, e al contempo recita la sua parte. L’operazione di Fraser funziona proprio perché lo stesso Martin Kippenberger ha dedicato la sua vita a un’operazione del tutto analoga, ossia performare la condizione d’artista e incarnarla al tempo stesso, ma sempre mantenendo alta l’attenzione su quello che per lui contava di più: sembrare (se non essere) veramente divertente. Very good, Herr Kippenberger.

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