5 per mille

La milonga di Atahualpa Yupanqui e Paolo Conte

21 Giugno 2025

Fra gli invitati della settima edizione del Premio Tenco, nell’agosto del 1980, c’era anche Paolo Conte. La targa quell’anno fu assegnata al cantautore e poeta argentino Atahualpa Yupanqui con questa motivazione: “per l’alto magistero poetico col quale ha incarnato per tante generazioni la cultura e lo spirito di riscossa del suo paese e dell’intera America latina, richiamandone la complessa tradizione culturale nel quadro di una autentica rifondazione dei suoi caratteri autonomi e originali”. Quando Atahualpa Yupanqui (all’anagrafe Héctor Robert Chavero Aramburu), o più semplicemente Don Ata, salì sul palco dell’Ariston, attaccò una milonga. Avrebbe potuto essere una zamba o una chacarera, non certo un tango, che apparteneva ai vicoli di Buenos Aires e rimandava a una sregolatezza che gli era estranea; Atahualpa era la voce di un’altra Argentina, quella rurale, di provincia, l’Argentina dei contadini e dei gauchos, un’Argentina fatta di pietre e di uomini in cammino (piedra y camino es mi destino, recita una delle sue canzoni più amate). Ciò non toglie che la milonga sia un genere associato sia ai postriboli che alla pampa, può essere scostumata o severa, persino sventata nella sua indolenza, e nel caso di Atahualpa è come se riuscisse, almeno parzialmente, a sfumare l’austerità congenita dell’interprete, trasformandola nella chiave d’accesso al cuore di un popolo:

Una musica tan criolla
No se pierde así nomás
Mientras haya una guitarra
Argentina u Oriental*

Tal vez ha cambiado un poco
Pero es la misma nomás
Atardecida en La Pampa
Trasnochada en la ciudad
(Una musica tanto creola / Non si perde così facilmente / Finché c'è una chitarra / Argentina o Orientale / Forse è cambiata un po'/ Ma è sempre la stessa / Al tramonto nella Pampa / A tarda notte in città) – da Milonga perdida

*con il termine oriental, nella regione del Rio de la Plata, s’indica l’area che oggi comprende l’Uruguay

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Atahualpa Yupanqui.

Si ritiene che la milonga provenga dal candombe africano (fra i primi lo attestò l’uruguaiano Vicente Rossi in Cosas de negros, un libro molto amato e molto citato da Jorge Luis Borges), e che abbia assunto una forma moderna nei sobborghi di Buenos Aires. Nel libro Il tango il poeta Horacio Salas dal canto suo scrive: “la payada, poesia spontanea della campagna dell’Uruguay e della provincia di Buenos Aires, arrivando al sobborgo si era trasformata in milonga”. La parola milonga, segnala da par suo José Gobello, citato sempre da Salas, “è una voce della lingua quimbunda, plurale di mulonga, che significa parola: la parola dei payadores”, ovvero dei cantanti popolari, dei cantastorie che, accompagnandosi alla chitarra, cantano i fatti della quotidianità. Atahualpa fin da ragazzo si innamorò di questi cantori e delle loro schiette storie di vita pampeana raccontate ai margini della città. Vi ritrovò un mondo e un modo di stare al mondo verso il quale sentiva profonda vicinanza. Una poetica delle piccole cose unita a uno stile di vita semplice e vagabondo. “Questo è il mio paesaggio: la pietra, l'albero, il fiume, a volte un condor, e la solitudine, lontano da ogni centro”, scriverà anni dopo Atahualpa.

Alle prese con una verde milonga di Paolo Conte nasce dunque in occasione della settima edizione del Premio Tenco, di fronte al magistero di quell’indio dall’aria imperturbabile e meticcia, ascoltando la sua chitarra che ricamava con dolcezza le melodie della pampa argentina (qualcosa che fu fissato in quanto stile pampeano da Abel Fleury, uno dei padri della musica criolla argentina). Misura e statura di Atahualpa Yupanqui potrebbero in fondo essere consegnate all’elenco dei sei vincitori stranieri del Premio Tenco che l’avevano preceduto: Leo Ferré (1974), Vinicius de Moraes (1975), Georges Brassens (1976), Jacques Brel (1977), Leonard Cohen (1978) e il catalano Lluis Llach (1979). Atahualpa appartiene di diritto al novero dei più importanti cantautori o, se preferite, dei più importanti poeti in canzone, del secondo Novecento.

La milonga, stando a Sabatino Alfonso Annechiarico, autore di Tango Tano. I migranti italiani nel tango argentino (ed. Mimesis), si trasformò da pampeana in cittadina grazie a un compositore di origini piemontesi, tale Sebastián Piana, e grazie al testo del paroliere, poeta e politico Homero Manzi, pure lui di origini italiane, e ancor più in particolare grazie alla loro celebre Milonga sentimental, composta nel 1931, dove si fa cantare all’interprete:

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Atahualpa Yupanqui.

Milonga pa’ recordarte,
milonga sentimental
Otros se quejan llorando
Yo canto por no llorar.

(Milonga per ricordarti / milonga sentimentale / Altri si lamentano piangendo / io canto per non piangere).

Gli altri cui si fa riferimento nella canzone sono i gauchos della Pampa, visti dagli italo-bonaerensi Piana e Manzi come gente piagnucolosa. Che la milonga dovesse cantare anziché piangere, sostiene Annechiarico, rappresenta il punto di svolta del genere, il passaggio alla sua dimensione urbana e, sostanzialmente, moderna: “Piana provoca la svolta culturale nella storia della milonga: mettendo alla berlina con quel otros, gli altri, ossia i gauchos della Pampa, separa definitivamente le due culture della milonga argentina: quella dei gauchos della Pampa, da quella dei Porteños di Buenos Aires”. La storia si ripete, i cittadini evoluti che si fanno beffe dei provinciali. Come non riandare, in proposito, all’ironia e al disincanto di Paolo Conte quando a sua volta vestì i panni del provinciale:

Con quella faccia un così,
quell’espressione un po’ così,
che abbiamo noi,
prima di andare a Genova.

Ancora bisognerebbe però chiarire se la provocazione di Piana e Manzi corrisponda al vero, e cioè se i gauchos siano effettivamente gente piagnucolosa e lamentosa. Ascoltando le canzoni di Atahualpa Yupanqui si sarebbe portati a credere altrimenti, laddove lamento e infelicità, piuttosto che delle attitudini risibili, nobiltà minore rispetto al sentimentalismo urbano, quello sì, debole se considerato dal punto di vista della morale virile del tempo, paiono richiamare ben altra condizione dello spirito. Il gaucho, a differenza del cittadino, non teme le lacrime. Non usa il canto per dissimulare un dolore, ma per esaltarlo, poetandolo.

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Raduno di gauchos nella Pampa, di Emilio Daireaux.

A ben vedere l’avevamo già a portata di mano, la musica del mondo, ma allora la si ascoltava in modo diverso, o più semplicemente la si ascoltava in quanto folklore argentino e non come l’impasto globale che sarebbe poi passato sotto il nome di world music. La nostra fortuna è che Atahualpa sia arrivato prima, in un’epoca in cui un cantante poteva ancora dichiarare: “il meglio del mio canto resta dentro di me”. In questa frase c’è tutto Atahualpa, o quanto meno il suo pudore, che è poi il pudore della povera gente e di una provincia che si reputa tale senza presunzione ma soprattutto senza vergogna, il pudore di un cantante che avrebbe circumnavigato l’amore senza mai esplicitarlo veramente, direi senza quasi nominarlo. In una sua poesia Yupanqui scrive:

Siempre digo que el amor
es la consigna secreta.
Aquello que no se nombra
para que nunca se pierda.

El amor vive en el alma
como el airampo en la piedra.
Si muchas veces lo nombran
cualquier viento se lo lleva.

(Dico sempre che l'amore / è la parola d'ordine segreta. / Ciò che non si nomina / affinché non si perda. / L'amore vive nell'anima / come l’airampoa nella pietra. / Se lo nomini spesso / un vento qualunque se lo porterà via).

La magia di quell’incontro fra un indio soggiogato dalla Pampa e un astigiano che guardò a Genova come altri guardavano a Parigi o New York, consiste proprio nell’aver proiettato il pudore dell’uno in quello dell’altro. Conte lo sublimò, quel pudore, in una canzone-capolavoro. Nel repertorio del canzoniere italiano non c’è probabilmente una canzone che esprima in modo tanto circospetto e partecipe le lusinghe che anticipano l’amplesso. Conte, attraverso la musica e le parole della canzone, riesce non solo a evocare ma a rendere tangibile l’erotismo consegnandolo a puro accenno, preliminare o poco più, un amplesso perennemente “in potenza”, da inseguire sempre, da inseguire ancora, fino ai laghi bianchi del silenzio. È possibile che Atuahalpa sarebbe ammutolito di fronte a una canzone del genere. Ma come, una verde frontiera tra il suonare e l'amare? Certo, diremmo noi innamorati insieme di Atahualpa e di Conte, che altro è una milonga, se non precisamente questo?

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Un pajador, Argentina 1922 (sconosciuto).

Nel presentarla dal vivo, nei primi anni, Paolo Conte era solito spiegare come la canzone fosse nata, e raccontava di quell’incontro con Atahualpa al Premio Tenco, della fascinazione sua di fronte a quell’uomo antico avvinto alla chitarra mentre, come in un cerimoniale amoroso, attaccava una milonga. Riporto qui le parole dello stesso Conte durante un concerto tenuto a Lugano nel 1982: “ebbene io ho conosciuto, in occasione del penultimo Premio Tenco per la canzone d’autore, un personaggio che si chiama Atahualpa Yupanqui. Atahualpa Yupanqui è un vecchio, grande artista indio, ed è l’ultimo difensore, gran sacerdote, di una danza, di una musica della pampa che si chiama milonga. La milonga è una corrente musicale che, come il jazz, ha avuto una vita doppia, cioè una vita sacra nelle campagne e una vita profana nelle città, rimanendo sempre una corrente quanto mai coinvolgente e intrigante. Io ho visto Atahualpa vivere sul palcoscenico, e mi è sempre sembrato che l’incontro tra un musicista di quel tipo e la canzone che deve interpretare sia un incontro molto simile a un incontro galante, d’amore, che vede il musicista arrivare a questo appuntamento vestito come meglio può e meglio sa, con le scarpe lustrate a dovere. Presentarsi come un essere antichissimo di fronte a una creatura che sta per nascere sotto le sue dita. Da qui il titolo Alle prese con una verde milonga. Poi se qualcuno nella parola milonga ci vuole anche intravedere qualche altro significato, lo può fare…”.

Non capita spesso che due figure tanto lontane trovino, nel reciproco pudore, il modo di inquadrare la vita, prima ancora che un sentimento o un’emozione. Paolo Conte porta in verità la milonga pampeana percepita in Atahualpa nei pressi di una soglia invalicabile. Ma lo fa con una discrezione e una delicatezza che lascia ammirati. Atahualpa, l’indio che non fu mai frivolo, se non di una frivolezza che probabilmente sfugge all’uomo moderno, della milonga non aveva un’idea come quella che potremmo avere noi, oppure un argentino cresciuto in città. La milonga di Atahualpa era incatenata non solo alla Pampa, ma allo sforzo e alla fatica dello stare al mondo, era un lamento che non avrebbe mai potuto immaginarsi nei termini in cui Paolo Conte riuscì a reinventare non tanto quel lamento, quanto una fantasticheria mossa da quel lamento, dentro l’ammaliante profumo esotico che è la cifra di tante sue canzoni. Permeata di una sensualità insieme flagrante e sfuggente, svogliata ma vigile, come in prossimità di un passo falso o di un’ebbrezza, Alle prese con una verde milonga ha il potere di insinuare nell’ascoltatore un che di implacabile e di euforico, qualcosa che proietta in una dimensione di vaghezza senza preoccupazioni. È un miraggio, la riproduzione di ciò che la milonga suggerisce a un osservatore ispirato e attento, ma pur sempre estraneo alla misura esistenziale del gaucho.

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Ghiacciaio Perito Moreno.

Lo sappiamo bene, le canzoni andrebbero avvicinate con cautela, mai spiegate. Bastano le emozioni che suscitano. Al pensiero della morte, cui alcuni credono alluda il verso fino ai laghi bianchi del silenzio nella canzone di Conte, io ho sempre preferito qualcosa di più incerto e rasserenante. Il momento in cui la frenesia si placa, il quieto stupore che segue l’incontro amoroso, la meraviglia di sentirsi, dopo tanto anelare, in pace e in armonia col mondo. Un’armonia ben esemplificata dal contegno del gaucho che attraversa la Pampa, o anche, perché no, dalla fierezza con cui il danzatore di malambo affronta il suo numero e l’estenuazione a fine esercizio, come a dire: così si tiene testa alla vita. La milonga è un perdurante stato di estasi, tanto misterioso quanto rappacificante. Il tango può essere scontro, anche cruento; la milonga no, per come la vedo io è soltanto abbandono. Destini diversi, quelli di Atahualpa Yupanqui e di Paolo Conte, ma una comune percezione, del divino come dell’umano.

Por más que la dicha busco
Vivo penando
Y cuando debo quedarme, viday
Me voy andando

A veces, soy como el río
Llego cantando
Y sin que nadie lo sepa, viday
Me voy llorando

(Per quanto io cerchi la felicità / Vivo nel dolore / E quando dovrei restare, vita mia / Prendo e me ne vado. / A volte sono come il fiume / Arrivo cantando / E senza che nessuno lo sappia, vita mia / Me ne vado piangendo) – da Piedra y camino

Paolo Conte, Alle prese con una verde milonga (dal vivo al Festival del jazz di Montreux, 9 luglio 1989).

In copertina Paolo Conte.

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