Fiona Tan a Amsterdam

23 Ottobre 2022

“Dearest Fiona …”: così esordisce il padre in ognuna delle lettere regolarmente inviate alla figlia lontana: una giovane Fiona Tan che ha da poco lasciato l’Australia in cui è cresciuta per affrontare gli studi di arte nei Paesi Bassi. Siamo a fine degli anni Ottanta del Novecento. Le lettere, in cui notizie personali ed eventi mondiali come la caduta del muro di Berlino o le proteste di piazza Tienanmen si snodano senza soluzione di continuità, sono state ritrovate a distanza di decenni da Fiona Tan stessa. Ora, lette da una voce femminile, costituiscono una traccia del film Footsteps: novantasette minuti di intima poesia che l’artista ha realizzato su invito dell’Eye Filmmuseum di Amsterdam e che ora espone nel museo stesso, nell’ambito della mostra personale Mountains and Molehills.

L’altra traccia, che nel film corre parallela alla prima, è rappresentata da una serie di filmati muti degli albori – i Dutch Types – trovati da Fiona Tan presso l’archivio del museo.

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Fiona Tan, Footsteps, 2022, exhibition Fiona Tan, Mountains and Molehills, Eye Filmmuseum Amsterdam, 2022 Photo- Studio Hans Wilschut Courtesy Frith Street Gallery, London.

Dotate di una forte valenza storica ed etnografica, queste tracce contengono qualche scena urbana e molte relative alla vita rurale: piccoli villaggi con tanta acqua, mulini a vento, carri trainati da cani e reti da pesca calate in mare. Ma a vedersi sono soprattutto le persone, di ogni genere e di ogni età, con alti stivali o grandi zoccoli di legno, impegnate in pesanti lavori fisici sul porto o nelle fabbriche, nelle campagne, tra i canali.

Così l’artista a proposito di una parte dei Dutch Types: “vi si vedono, riprese da una barca, le chiuse di un canale che si aprono e la torre della chiesa di Veere, mentre un gruppo di bambini visti da dietro sta in piedi sulla riva. Una fila di bambini cammina lungo una strada stretta, allontanandosi dalla camera. Tornando a posare per la camera facendo ciò che il cameraman richiede, i paesani stanno fermi in una strada; le gonne delle ragazze sono state colorate in rosso, verde e giallo ocra. E infine i bambini si muovono obbedienti verso la fine del passaggio sull’acqua, un mulino a vento ruota sullo sfondo. Ognuna di queste scene dura pochi secondi, ma le trovo affascinanti, e anche idilliache”.

Footsteps non si affida a un andamento narrativo. Nell’intreccio tra le immagini trovate e le parole del padre, riemerse entrambe dal passato, nella loro connessione sottile ma stringente, le scene si succedono manifestando una qualità evocativa. L’impressione è di vivere un viaggio nello spazio e nel tempo; un viaggio in profondità, che non prevede la fretta, che richiede di potersi abbandonare al suo ritmo lento, ma contemporaneamente invita all’attenzione, e quindi impegna, stimolando una risposta critica.

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Fiona Tan, Footsteps, 2022.

Da sempre Tan realizza opere in cui si avverte il senso di una ricerca che è, anzitutto, ricerca di sé. I temi su cui lavora, però, vanno ben oltre l’autoreferenzialità biografica: il carattere collettivo e insieme individuale della memoria, lo spaesamento e il viaggio, gli slittamenti di senso sono interpretati non solo come paradigmi esistenziali, ma come opportunità di ripensare continuamente definizioni e confini della realtà vissuta. Un’opportunità che per l’artista riveste un valore politico. Lo testimoniano in modo esplicito opere come Nellie, un video del 2003 che trova un punto di partenza nei pochi frammenti biografici residui relativi alla vita di una donna, Cornelia van Rijn, figlia illegittima di Rembrandt, emigrata all'età di 15 anni dai Paesi Bassi a Batavia, odierna Giacarta, nell’Indonesia allora soggetta all’Olanda.

La giovane figura campeggia sullo sfondo di una parete decorata a motivi vegetali tipicamente coloniali di una lussuosa dimora storica. L’elaborato abito d'epoca riprende il medesimo disegno generando una forma di mimetismo, di fatto la sparizione di questa figura, effettivamente dimenticata, in un inquietante insieme di ornamentale bellezza. Così nel breve video si condensano le riflessioni di Tan sull'identità e sulla memoria, sulle storie sospese e sulle vicende rimosse, sulle relazioni coloniali e postcoloniali tra Occidente e Oriente e sulla problematica tendenza a costruire un Estremo Oriente esotico sul quale proiettare un immaginario che stenta a esaurirsi.

Un’altra costruzione fantastica è quella di A Lapse of Memory in cui Tan inscrive l’esistenza solitaria di una figura immaginaria all’interno del Royal Pavilion di Brighton: un ambiente ottocentesco nella cui decorazione si fondono reminiscenze cinesi e giapponesi, fantasie estetizzanti, attrazione per l’esotico, in una fusione che non ha alcun riscontro nella realtà. Così l’artista addita le mistificazioni dovute a una percezione inautentica dell’Altro, ma dà anche forma sensibile all’impressione di vivere a cavallo tra confini e tra ambiti culturali, né dentro né fuori, o dentro e fuori al contempo: in una sorta di gigantesco diorama originato dall’immaginario coloniale.

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Fiona Tan, Gray Glass, 2020, exhibition Fiona Tan, Mountains and Molehills, Eye Filmmuseum Amsterdam, 2022 Photo- Studio Hans Wilschut Courtesy Frith Street Gallery, London.

L’Eye Filmmuseum, per la mostra, ha invece individuato come tema conduttore il paesaggio come elemento emblematico della relazione tra l’individuo e il contesto e come manifestazione spaziale di idee e sensazioni, di temi ricorrenti. 

All’interno del vastissimo spazio privo di pareti divisorie che ospita Mountains and Molehills convivono nella penombra numerose installazioni, afferenti a momenti diversi. Dall’insieme emerge l’ampiezza della ricerca di Tan. Affascinata dalla questione di come percepiamo il mondo intorno a noi e di come lo possiamo catturare e restituire, le sue opere nascono in risposta a stimoli provenienti da ambiti diversi: lo scavo all’interno di un archivio o le memorie di famiglia, o una scoperta, un’invenzione dimenticata, un mito, un paesaggio emozionalmente carico. In tutte, però, ritmo, durata, l’alternarsi di sguardi o di frammenti di realtà trascinano il riguardante in una dimensione di profondità psichica.

Così per esempio Downside Up, del 2002, riprende la coreografia di ombre generata dai passanti su una strada urbana. Per realizzare il video l’artista non ha fatto che rovesciare le immagini. In tal modo le ombre, labili ed effimere, acquistano una preminenza rispetto alle figure vere e proprie dei passanti, e attivano una riflessione sull’immagine e sulla sua rappresentazione.

L’isola svedese di Gotland, il cui desolato e austero paesaggio è continuamente spazzato dal vento, è invece l’oggetto di una serie di fotografie e del film in bianco e nero Island in cui le immagini dei pochi alberi presenti, contorti e piegati dagli agenti atmosferici, sono accompagnate dalla voce di una donna, forse l’unica abitante del luogo. Tutto è pervaso da un senso di sospensione e il concetto stesso di isola, soggetto di questa come di altre opere di Tan, evoca l’idea di una lontananza nel tempo tanto quanto nello spazio.

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Fiona Tan, Inventory, 2012, exhibition Fiona Tan, Mountains and Molehills, Eye Filmmuseum Amsterdam, 2022 Photo- Studio Hans Wilschut Courtesy Frith Street Gallery, London.

Gray Glass, 2020, fa riferimento a uno strumento ottico dimenticato, una sorta di specchio concavo in uso un tempo tra i pittori in quanto in grado di riflettere i panorami tridimensionali come immagini piatte. Rappresenta il viaggio tra le Alpi di un uomo che porta sulla schiena una di queste lenti, così che a ogni suo passo in avanti lo specchio coglie frammenti di ciò che lui si lascia indietro; riflette insomma il passato. Il cammino lo porta sino al candido interno di un ghiacciaio: se la sua figura evoca immagini di epoca romantica, la caverna, vastissima e atemporale, rappresenta l’interiorità assoluta e appare a tratti astratta, in altri momenti organica: corpo del ghiacciaio, caverna della mente. Ne emerge una riflessione sulle connessioni tra paesaggio, ambiente e umanità, e tra immagine, creatore e spettatore. Come sempre Tan osserva le forme della percezione e della rappresentazione; il tempo, il viaggio e la distanza sono mezzi e veicoli di un messaggio poetico, ma critico, riguardante l’impossibilità di cogliere la realtà se non indirettamente, nei suoi riflessi.

L’alternanza di scala e di formato che caratterizza le opere dell’artista, e che la struttura spaziale della mostra accentua, denota la scelta di instaurare con chi guarda un dialogo su diversi piani; scelta che corrisponde alla volontà di evidenziare la diversità dell’esperienza e la prismatica complessità del reale. Il continuo passaggio dal micro al macro, dal molto vicino al lontano indica la resistenza a identificarsi in una postura univoca e l’impossibilità di aderire a un codice di lettura della realtà predefinito, identificabile, tracciabile; a favore di uno sguardo concentrato e attento, ma mobile, capace di rinnovarsi continuamente e quindi di cogliere una realtà a sua volta fluida e in costante trasformazione, seppur immancabilmente impregnata di passato. 

Fiona Tan, Island, 2008, exhibition Fiona Tan, Mountains and Molehills, Eye Filmmuseum Amsterdam, 2022 Photo- Studio Hans Wilschut Courtesy Frith Street Gallery, London.

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