Testa o croce? Buffalo Bill nella Tuscia

6 Novembre 2025

Negli anni in cui il giornalista Kurt Andersen stava scrivendo Fantasyland: How America Went Haywire, un saggio sul pluricentenario rapporto degli statunitensi con la realtà e le menzogne, gli capitò un colpo di fortuna: Donald Trump si candidò alle elezioni presidenziali del 2016, che poi vinse. Trump rappresentava il punto d’arrivo perfetto della sua analisi della storia americana, il risultato di tutto quanto descritto in precedenza: un uomo diventato Presidente degli Stati Uniti per la sua abilità nel far accettare ai suoi connazionali un miscuglio inestricabile di realtà e finzione, in gran parte grazie al potere della fama acquisita nel mondo dello spettacolo e dell'imprenditoria ben prima che in quello della politica. Anche se gli ultimi dieci anni, con i tre cicli elettorali di cui è stato protagonista, sono sembrati folli e imprevedibili, Andersen evidenzia che si è trattato di un percorso nato da lontano. Tra i predecessori di Trump, indica anche un personaggio iconico – soldato, cacciatore, soprattutto uomo di spettacolo, mai attratto dalla carriera politica che tuttavia altri cercarono di fargli intraprendere – come William Frederick Cody, che per gran parte della sua vita si fece chiamare Buffalo Bill: “Trump ha sempre interpretato il personaggio di Trump nella maniera in cui William Cody interpretava il personaggio di Buffalo Bill, ma in modo più assoluto, perché ora non esiste più un dietro le quinte”.

k
 William “Buffalo Bill” Cody con la sua troupe a Roma nel 1890.

Cody, ovverosia Buffalo Bill, sul finire dell'Ottocento era uno dei personaggi più famosi degli Stati Uniti e uno degli statunitensi più noti nel resto del mondo. Il suo spettacolo Buffalo Bill's Wild West è responsabile di avere creato l'immaginario che ha nutrito il cinema western: come solo Barnum prima di lui, trasformò la cronaca in spettacolo, in modo da poterla modificare a suo piacimento; trasformò la sua persona in una versione romanzata di sé stesso, cancellando il confine biografico tra finzione e realtà. In Testa o croce?, quarta collaborazione dei registi Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, il Buffalo Bill interpretato da John C. Reilly non è ancora un personaggio controverso, e viene anzi introdotto come un simpatico imbonitore affabile e sicuro di sé. Ad aprire il film è la ricostruzione di una delle sue esibizioni per il pubblico romano nel corso di una tournée italiana, che poi si aggancia a un fatto storico: una sfida di destrezza tra i cowboy ingaggiati da Cody e i butteri dell'Agro Pontino, dove i mandriani nostrani rappresentavano simbolicamente la tradizione di prossimità a una cultura e un territorio anziché il mito della frontiera da immaginare e conquistare.

Delle sfide tra le diverse tecniche nel sellare e montare cavalli selvaggi, tenutesi in due occasioni nel marzo 1890, ci sono varie testimonianze scritte ma non vincitori certi, a giudicare dalle contraddittorie cronache dell'epoca; la sfida che i due registi mettono in scena è solo uno spunto narrativo, un modo per collocare Buffalo Bill in Italia e fargli accettare l'incarico dal potente signorotto locale Rupè di andare alla ricerca del buttero Santino (Alessandro Borghi), che al termine della sfida pare abbia ucciso suo figlio Ercole Rupè e rapito la nuora francese Rosa (Nadia Tereszkiewicz). Il valoroso americano è riluttante all’idea di doversi sporcare le mani con una faccenda concreta, ma accetta perché la stampa italiana lo accusa di essere un cialtrone e Rupè gli promette di intervenire: non sono i soldi e nemmeno la gloria, ma la pubblicità, a convincere l’avventuriero americano ad arrischiarsi in un territorio che dovrebbe essergli estraneo.

k
John C. Reilly nei panni di Buffalo Bill.

La voce narrante (e cantante) di Cody compone una splendida avventura in cui lui stesso è il paladino che inevitabilmente porterà a termine trionfalmente il compito assegnato; ma è una storia completamente falsa, pigramente inventata a partire da stereotipi di genere e indizi fasulli. Ercole Rupè è stato ucciso da un colpo di pistola sparato dalla moglie Rosa; il buttero Santino non è né un assassino né un rapitore, ma un poveraccio che sconta la colpa di essere stato orgoglioso, di avere voluto dare una lezione agli arroganti cowboy e al suo padrone Ercole Rupè, e poi avere aiutato nella fuga una giovane donna in difficoltà. Cody confonde buoni e cattivi secondo preconcetti codificati (in parte da lui stesso), immagina eventi che non hanno riscontro nella realtà perché così è abituato a fare, e trasforma il suo incarico in un’avventura da Far West come se non ci fosse nessuna differenza con quanto trova nell'Agro Pontino e nella Maremma.

L'espediente di adattare gli stilemi del genere western alle particolarità di certi territori italiani aveva già stuzzicato la fantasia di Rigo de Righi e Zoppis dalla loro prima collaborazione nata nel luogo che più di tutti ha nutrito il loro cinema: una casina di caccia nella zona di Vejano, nella Tuscia viterbese. I racconti dei cacciatori, che pur di tirare fuori una bella storia decidono sempre di soprassedere sulla sua plausibilità, sono stati lo spunto del cortometraggio Belva nera del 2013: storia di un vecchio cowboy (all'americana, perché l'immaginario è sempre quello) alla ricerca di una pantera, forse avvistata o forse solo sognata, animale fuori luogo nella geografia fisica ma non in quella mentale di chi è disposto a vedere anche ciò che non esiste.

Era più apertamente legato al genere mockumentary. Il solengo del 2015: sempre gli stessi cacciatori tiravano fuori aneddoti di ogni tipo su un altro personaggio da western, un eremita di quelle parti, figura misteriosa e solitaria perfettamente cinematografica sulla quale era impossibile avere certezze perché i racconti su di lui erano contraddittori, fattualmente incoerenti, forse palesemente falsi eppure talmente affascinanti da essersi imposti come verità da tramandare. Con Re Granchio del 2021, i cacciatori passavano a storie di cui non erano stati testimoni diretti: quella del protagonista Luciano, un antieroe dei due mondi fuggito dalla Tuscia e approdato nella Terra del Fuoco, era una leggenda della fine dell’Ottocento che aveva permesso ai due registi di spingersi molto più a distanza, sempre lavorando sulla ricostruzione visiva di un folklore orale legato al legame perduto col proprio paese e alla scoperta forzata di territori sconosciuti.

Testa o croce?, l'opera del salto di qualità produttivo e artistico attestato dall'invito al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e al Locarno Film Festival nella sezione Piazza Grande, segue coerentemente lo stesso percorso di ricerca storica su eventi reali, partendo dalla citata sfida tra i butteri e i cowboy, per poi reinventare il modello di West che Buffalo Bill incarnava nei suoi spettacoli, affondandolo nel fango di una Tuscia che non era territorio vuoto da conquistare, ma comunque da modernizzare; e infatti non manca il tema ricorrente, ma ribaltato, della ferrovia in costruzione, che negli Stati Uniti era un modo per allontanarsi verso i limiti estremi, mentre nell'Italia unita ancora solo abbozzata era un modo per avvicinare il paese.

Sono ripensati anche tutti i personaggi da western, nessuno dei quali rappresenta una verità credibile, a partire dalla figura femminile protagonista che ribalta l'impressione data inizialmente: vedere al cinema una donna che spara non rappresenta più una novità, ma la forza di Rosa è nel voler esprimere la sua identità senza lasciare il controllo della narrazione a chi la inquadra esclusivamente come figura debole e sottomessa. In questo è opposta a Santino, uomo semplice e frainteso che perde del tutto il controllo della propria immagine, ma ne è lusingato; braccato come delinquente o celebrato come eroe, non sapendo come gestire la fama, perde la testa.

k
Nadia Tereszkiewicz e Alessandro Borghi.

Quando si imbattono in un rivoluzionario argentino che guida una rivolta squinternata contro il nuovo potere centrale, quella figura sembra più un omaggio concettuale alle vecchie coproduzioni internazionali degli spaghetti western (con l'attore argentino Peter Lanzani ad arricchire il cast) anziché un vero snodo narrativo, e infatti la lotta armata non offre nessuna soluzione politica se non un caos fine a sé stesso. Infine c'è Cody, la cui voce fuori campo concepisce un resoconto lirico smentito dalle immagini e che, quando compare personalmente in scena, sembra muoversi all'interno di una favola mentre usa le sue tecniche da perlustratore per vedere nel terreno ciò che nessun altro può vedere e ascoltare direttamente dagli animali ciò che nessun altro può ascoltare.

Cody opera volutamente un rifiuto della verità perché cerca ingredienti per ulteriori leggende da raccontare o mettere in scena. Rosa invece non è altrettanto consapevole: reinventa la sua storia come arma di difesa psicologica, cerca rifugio temporaneo nel mondo dei sogni, immagina a occhi aperti cose impossibili che trasportano la vicenda in territori surreali; usa la menzogna, nei confronti di sé e degli altri, come forma di difesa da calunnie e crudeltà altrui; vagheggia, assieme a Santino, il mito del West che confonde realtà e finzione, come imposto dal modello di Buffalo Bill. Ma infine decide di venire a patti con le sue vicissitudini, affrontando con fermezza e cognizione di causa le espressioni del potere diverso ma complementare rappresentato prima da Cody e poi da Rupè: perché di fronte a quanti si rafforzano nella menzogna, riconoscere la realtà è un atto politico.

Da quest’anno tutte le donazioni a favore di doppiozero sono deducibili o detraibili. SOSTIENI DOPPIOZERO (e clicca qui per saperne di più).