Il regista come critico: Guadagnino e After the Hunt

13 Novembre 2025

È chiaro, ormai, che la riconoscibilità del cinema di Luca Guadagnino passi anzitutto dal processo creativo attraverso cui costruisce i suoi film, più che da una continuità di motivi e di generi. Regista multiforme, in grado di passare con disinvoltura dall’horror (Suspiria) al road movie (Bones and all), dalla commedia sportiva (Challengers) al melodramma (Queer), ciò che accomuna i suoi film sembra essere l’eredità teorica post-nouvellevaguiana che prevede di partire dalle forme del cinema per esplorare la realtà. Non è un caso che Roberto Silvestri abbia parlato di critofilm per analizzare i film di Guadagnino: questa categoria può essere ancora il punto di partenza per parlare di After the Hunt, presentato all’ultimo Festival di Venezia e ora nelle sale italiane.

Ancora oltre, per After the Hunt si potrebbe parlare quasi di riscrittura vera e propria – anche questa, una pratica non proprio estranea al modus operandi del regista – dato che il film è anche più che un omaggio a Un’altra donna di Woody Allen. I caratteri del quartetto Alma (Julia Roberts) – Maggie (Ayo Edebiri) – Hank (Andrew Garfield) – Frederik (Michael Sthulbarg) hanno una forte affinità con i personaggi del film di Allen, così come le atmosfere e i dilemmi esistenziali di Un’altra donna riecheggiano in quelli morali ed etici di After the Hunt. Questa “postura alleniana” non è poi così nascosta: se Roberts si fa quasi controfigura di Rowlands (soprattutto nelle sequenze girate nell’appartamento sul molo), ancora più eclatante è la scelta di utilizzare il classico font dei film di Woody Allen per i titoli di testa e di coda del film.

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Luca Guadagnino con Ayo Edebiri e Julia Roberts sul set del film.

Ma – come di consueto quando parliamo di Guadagnino – il riferimento principale è solo il più evidente in una rete costruita da una pluralità di testi che lo sostengono e che non agiscono soltanto sulle scelte di messa in scena. Un esempio per tutti: è alle musiche di Trent Reznor e Atticus Ross che viene affidato il compito di mettere in moto la memoria cinefila dello spettatore. Quando il confronto tra i personaggi di Julia Roberts e Ayo Edebiri prende il sopravvento, le sonorità ci riportano a Persona di Bergman (la protagonista di questo After the Hunt, non a caso, si chiama “Alma”), a sua volta tra i modelli di Un’altra donna. Le note finali che chiudono uno dei principali temi musicali del film, però, sono evidentissima memoria del Gyorgy Ligeti utilizzato da Stanley Kubrick in Eyes Wide Shut, film con cui After the Hunt ricerca una consonanza. È un gioco creativo, quello di Luca Guadagnino, ma certo non fine a se stesso. Attraverso il filtro della cinefilia, la riscrittura diventa uno degli approcci prediletti dal regista, che scrive il proprio cinema su modello di alcuni film del passato, ma crea contemporaneamente un discorso cinematografico nel (e sul) contemporaneo.

Maggie, dottoranda di filosofia a Yale, accusa il suo professore, Hank, di averla molestata dopo la festa a casa di Alma, che a sua volta (insieme a Hank) ha in ballo una grossa promozione accademica e uno scomodo segreto del passato che rischia di riemergere. Alma viene chiamata a prendere posizione sulla questione, ma qual è la verità? L’accusa innesca il precipitare degli eventi e la moltiplicazione delle ambiguità dei personaggi, ognuno alle prese con il proprio ruolo e il rapporto di forza che ne deriva. Allora Hank – cisgender, bianco, consapevole dello squilibrio di potere nei confronti di Maggie – ha davvero fatto quello di cui è accusato? E Maggie – attivista nera, femminista, bisessuale, ma anche figlia di uno dei maggiori finanziatori dell’università – è davvero in una posizione di debolezza o strumentalizza le istanze progressiste per ottenere un’esposizione mediatica? Da un lato, dunque, la postura compiaciuta di quelle élite culturali di cui Alma è la massima espressione (tanto da indurre il marito a insinuare che si circondi più di adulatori che di studenti brillanti); dall’altra il lato oscuro di una generazione incapace di comprendere un testo complesso (e, quindi, di comprendere la realtà stessa, come si vede in una delle scene più intense del film), irresponsabile al punto da aver desiderato e ottenuto “un mondo dagli angoli smussati”, insofferente alle critiche e agli ostacoli. Questo scontro generazionale, inoltre, è calato nel dipartimento di filosofia di una delle più prestigiose istituzioni universitarie al mondo, dove entrambe le parti citano con allarmante superficialità autori come Agamben, Adorno e Foucault, smarrendone sensi e significati.

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Julia Roberts con Andrew Garfield.

E forse è proprio là dove vorrebbe sottolineare lo scarto tra una forma di sapere e il suo tradimento, tra il concetto filosofico (si parla, tra gli altri, del panopticon di Foucault) e la sua strumentalizzazione, che After the Hunt potrebbe essere più incisivo. Una mancanza d’incisività che si percepisce già nella sequenza di apertura, dopo i titoli di testa, costruita con dialoghi volutamente inconsistenti, ma che potrebbero invece sottolineare con risolutezza le diverse posizioni in campo nel salotto di Alma, prefigurando ciò che seguirà. Un limite di scrittura che non contribuisce a rendere questo After the Hunt una delle prove migliori di Luca Guadagnino, ma che comunque conferma la cifra autoriale del regista, con una novità. Se finora, infatti, la dimensione etica e morale del suo cinema era sotterraneamente inglobata in quella politica (dal reaganismo di Bones and All alla lotta armata dietro Suspiria), qui viene per la prima volta esplicitata: un drama-thriller sull’inconsistenza della verità nell’epoca del consenso sui social, uno scontro tra fazioni che si predicano opposte ma dalla retorica pericolosamente simile. Non sembra un rilievo di poco conto se pensiamo che Guadagnino ha appena terminato le riprese di Artificial, un film che segue il controverso licenziamento (e la immediata riassunzione) di Sam Altman, fondatore di OpenAi, a seguito delle segnalazioni di un utilizzo illegittimo dell’intelligenza artificiale. La dimensione morale ed etica sembra essere centrale anche nel prossimo film, quasi a costruire una potenziale riflessione di più ampio respiro di cui After the Hunt potrebbe essere solo il primo tassello.

Partendo da qui, a Guadagnino non interessa risolvere il dilemma né giudicare l’atteggiamento dei suoi personaggi ma, al contrario, rafforzare le ambiguità dei caratteri e creare una dialettica, una tensione in grado di restituire alla realtà la propria irrisolutezza. Questa strategia apre al dibattito e crea discorso, ma parte sempre dalle forme del cinema precedente. Il regista italiano continua così – anche quando inciampa in qualche sbavatura – a tenere viva la sua eccentrica via nel cinema contemporaneo, sospesa tra un’anima sperimentale e una commerciale, tra la cinefilia e la lettura del presente, in attesa di una vera “grande prova”, di un film che renda il suo lavoro, finalmente, compiuto.

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