Günther Anders, filosofo ‘scortese’

22 Marzo 2023

“Diventa ciò che non sei”. Oppure, “sii ciò che diverrai” e mai, invece: “diventa ciò che sei”. Perché importante, per Günther Anders, come scrive in uno dei suoi stenogrammi, è aprirsi al nuovo, uscire dai sentieri già tracciati e pre-determinati da altri; quindi il suo essere in cammino essendo diventato il suo essere a casa significa essere “sempre alla ricerca di un senso, di una spiegazione, spinto dall’esigenza di oltrepassare ogni limite, ogni determinismo, ogni soggezione idolatrica”, come scrive Sergio Fabian. Ovvero, per Anders: “il filosofo è fondamentalmente un tipo scortese: egli contesta, è ostinato, ha principi. Dare forme urbane a questa scortesia appare una prospettiva piena di contraddizioni. Che, ciò nonostante, sia possibile avvicinarsi a questo obiettivo e senza fare compromessi, lo dimostrano Socrate e Kant”.

E ancora: “Ci sono scaglie di sapone solo perché c’è della biancheria sporca. Principi morali solo perché esiste una vita immorale, o meglio, extra-morale”. E quindi: “sii morale”, per un dover essere fondato su una responsabilità comune, un dover essere certo non facile ma ancora più attuale oggi in tempi di immoralità e di violenza globale e di irresponsabilità compulsiva (aggiungiamo) del tecno-capitalismo verso la biosfera e le generazioni future. E chissà cosa avrebbe pensato oggi – ma possiamo immaginarlo – Günther Anders (1902-1992), uno dei massimi filosofi della tecnica del ‘900, a proposito dell’intelligenza artificiale di ChatGpt, capace di superare i test di ingresso a Medicina, di scrivere tesi e articoli, di darci la risposta esatta (una sola, esatta perché basata sul calcolo matematico) alle nostre domande, liberandoci finalmente dalla fatica di dover pensare – forse la più pesante per l’uomo e quindi sempre allontanata e rimossa, oggi delegata appunto alle macchine, sperando domani di avere le risposte prima ancora di avere fatto le domande.

Di Anders – ma il suo vero cognome era Stern; Anders, ovvero Altro, Diverso lo assunse come pseudonimo, scelta giornalistica ma anche esistenziale per l’irrompere in Germania del nazismo e insieme programmatica, lui filosofo diverso anche nel suo generare non sistemi di pensiero ma filosofia d’occasione (“un ibrido incontro tra metafisica e giornalismo […] che ha per oggetto la situazione odierna”) – di Anders torniamo a scrivere per tre ragioni. La prima – anche questa d’occasione – è la recente uscita dei suoi Stenogrammi filosofici, pubblicati nel 1965 e ora ripresi da Bollati Boringhieri (pag. 158, € 16,50), con la splendida cura e traduzione e la Prefazione preziosa di Sergio Fabian e con una partecipata Postfazione di Rosalba Maletta. La seconda ragione è quella di ricordare l’impegno pacifista di Anders e soprattutto contro la diffusione dell’arma atomica (“Mentre le armi atomiche sono letteralmente apocalittiche, i lager furono o sono apocalittici solo in senso metaforico” – e ampia fu anche la riflessione di Anders su Auschwitz e l’Olocausto). Problema atomico tornato di stretta attualità dopo l’invasione dell’Ucraina, Putin minacciando anche l’uso di quella bomba che rappresenta la totale subordinazione del mondo e dell’uomo alla potenza della tecnica. Cui oggi si aggiunge la nuova minaccia di annichilimento totale data dalla crisi climatica e ambientale, anch’essa prodotta dalla totale subordinazione dell’uomo alla potenza nichilista ed ecocida di quello che chiamiamo tecno-capitalismo (la tecnica associata e funzionale al capitale e viceversa), cioè della (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale

La terza – la più importante per noi che ci occupiamo di sociologia della tecnica – è appunto la sua fondamentale riflessione sulle macchine, racchiusa soprattutto nei due volumi di L’uomo è antiquato (sempre Bollati Boringhieri). Antiquato rispetto alla (onni o plus) potenza della tecnica e che ha fatto dell’uomo non più il soggetto della storia (quando ha potuto e voluto esserlo), ma l’oggetto di una storia fatta oggi soprattutto dalla tecnica (e dal capitalismo). 

Un’era della tecnica dove l’uomo – ancora Fabian – “si crede un gigante, ma è solo un nano costretto dentro paradigmi sistemici, chiuso tra i binari di angustie economicistiche che hanno eletto a divinità la ragione calcolante, un essere impietrito dallo sguardo meduseo di un progresso che non prevede soste e irride come irrazionale ogni possibile decrescita, ogni indugio lungo il sentiero dritto”. Perché produrre e consumare sono strettamente funzionali l’uno all’altro (Anders lo ha definito principio di riproduzione del sistema) e il consumo – cioè l’uccisione sempre più veloce delle cose prodotte – è il vero mezzo di produzione (soprattutto di profitto/plusvalore); con tutti noi messi al lavoro alla catena di montaggio (oggi diventata digitale), perché nulla è cambiato nella legge ferrea e sempre uguale della divisione e poi totalizzazione industriale del lavoro e degli uomini, a parte il digitale). Cioè “il taylorismo è diventato il principio della storia” scriveva nel secondo volume di L’uomo è antiquato – e il lavoro in fabbrica alla catena di montaggio Anders lo aveva vissuto in prima persona nell’esilio americano, un’esperienza simile a quella di Simone Weil. Un taylorismo oggi anch’esso digitalizzato nell’Industria 4.0 e nel capitalismo delle piattaforme.

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Dunque, gli Stenogrammi filosofici – che leggiamo prendendoci tutta la responsabilità della loro scelta, parziale e arbitraria a nostro gusto e piacere. Partiamo dal concetto di ordine: “Quando sento la parola ordine mi si drizzano i capelli perché allora sento lo sferragliare verso Auschwitz dei convogli in orario di Eichmann che, con la formula tutto in ordine erano pronti a partire. È la parola più rivoltante che conosca. È la perifrasi del mostruoso. Scaturisce direttamente dalla bocca della macchina. […] mira esclusivamente a coprire la mancanza di scrupoli; […] a paralizzare il nostro interesse per gli effetti di ciò a cui partecipiamo; in breve: a persuaderci che dobbiamo fidarci dello scorrere liscio della macchina perché scorre in modo liscio”. E oggi l’ordine è quello dato dagli algoritmi, dalla esattezza (presunta) del calcolo e del calcolare e ordinare ogni cosa. Algoritmi che scorrono in modo liscio ma ancora più silenzioso delle vecchie macchine e con cui quindi familiarizziamo ancor più facilmente e arrendevolmente – e sulla familiarizzazione dell’uomo con la tecnica, Anders ha scritto pagine memorabili – gli algoritmi mettendoci ancor più in ordine, le macchine facendoci funzionare in modo standardizzato (un sinonimo di ordine), quindi prevedibile (pensiamo agli algoritmi predittivi) e quindi appunto ordinato – ed è la produzione industriale di conformismo, altro tema centrale delle riflessioni andersiane.

Davanti al nostro conformarci/ordinarci (per essere utili e docili al sistema, direbbe Foucault), dovremmo invece esagerare, scrive Anders, “perché l’esagerazione è un atto politico. Definisce una azione di libertà […]. E pertanto, esagerare produce la liberazione dell’uomo: in direzione della verità”. Ma ne siamo ancora capaci? E soprattutto, siamo capaci di compiere un atto politico di rivendicazione della libertà nei confronti della tecnica, di quel totalitarismo degli apparecchi di cui scriveva appunto Anders, posto che la tecnica non si muove in direzione della libertà dell’uomo, ma del suo asservimento alla tecnica? Siamo capaci di compiere un atto politico di esagerazione, cioè di dissidenza e di scarto rispetto al conforme, al congruo con il sistema, al pensiero unico positivista? Oppure siamo ormai così ben ordinati dal sistema che viviamo felicemente come macchine e scorriamo anche noi in modo liscio e silenzioso, credendo che la tecnica sia libertà e autonomia?

E ancora: se il nostro dovere è consumare “così come respiriamo”, allora “non c’è nulla che non diventi un atto di consumo e ininterrottamente mastichiamo il chewing gum, ininterrottamente ascoltiamo la radio”, così come oggi stiamo ininterrottamente sui social e chinati su uno smartphone. Siamo cioè in una ordinata condizione di animali da allevamento, anzi “la più triviale, la condizione del pollo, del perennemente beccante”, cioè consumante. 

E dunque, la tecnica. La cui essenza è fatta di accrescimento infinito (“si deve fare tutto ciò che tecnicamente si può fare”), quindi non è neutra come ingenuamente crediamo che invece sia (il come usarla non dipende più dall’uomo, ma appunto dalla impiegabilità della tecnica); essenza cui si accompagna il non accettare limiti etici o democratici, in questo agendo analogamente al capitale. Ma di questa essenza della tecnica siamo del tutto inconsapevoli, soprattutto quanto più essa sembra facile e smart. Ma non essere consapevoli di ciò entro cui si è integrati e sussunti (appunto, il sistema tecnico e capitalistico) è la forma massima di alienazione; che però viene ben mascherata dallo stesso apparato tecnico (e capitalistico) attraverso la produzione del nostro credere che la tecnica sia sinonimo di libertà, mentre ne è la negazione. 

Ma soprattutto (e riprendiamo Anders), le forme tecniche diventano forme sociali, cioè la forma della società – e il come la società è organizzata, comandata e sorvegliata – è prodotta dalla tecnica, con una logica che è appunto, in sé e per sé, totalitaria (standardizzare, soprattutto integrare/convergere di uomini e macchine, omologare, automatizzare anche gli uomini). Perché (sempre Anders, sempre in L’uomo è antiquato) non esistono più macchine singole, ma esiste un principio di convergenza delle macchine (e degli uomini) in mega-macchine sempre più grandi e che sempre più sono automatiche e imparano da sole. Quindi è appunto la tecnica ad essere diventata il vero soggetto della storia, gli uomini “riducendosi a proletari, se non a qualcosa di molto peggio”.

Che fare, dunque, davanti a questa condizione esistenziale totalmente alienata? Leggere gli Stenogrammi filosofici di Anders – filosofo scortese e quindi indispensabile come Socrate e Kant – può essere un buon inizio. Per passare però poi a L’uomo è antiquato. E arrivare infine – esagerando sempre di più (e forzando un po’ il pensiero di Anders) – a produrre atti politici di autentica emancipazione e di riappropriazione di quella capacità e possibilità umana di immaginazione e di ricerca della verità che abbiamo invece delegato alle macchine e al capitale. 

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