Prima qua e poi là / Il progresso chi lo fa, chi lo paga

22 Settembre 2019

Dapprincipio, stufo di bacche, radici e carogne, l’uomo si inoltrò nei boschi per veder di acciuffare polli e tacchini, per parte loro ancora selvatici: e così l’uomo cacciatore fu. Tornato in caverna, li cucinava al girarrosto perché il fuoco era già stato addomesticato, da un milione di anni, se non prima, da qualche uomo-scimmiotto, chiamato ominide per eufemismo. Si sa dai tempi dell’antica Grecia che la colpa di quei succulenti arrosti era da addebitare a un complotto della ong “Prometeus”, molto invisa all’Olimpo, di propensione vegana a giudicare dal raffinato e tradizionale menù di nettare e ambrosia.


Centotrentacinquemila anni fa, se non prima, all’uomo cacciatore, tormentato anche dai lupi che lo seguivano e cercavano sempre di scappare con le prede che aveva catturato, venne in mente di addomesticarli, e i lupi si trasformarono in “I migliori amici dell’uomo”. Quelle bestiole sono oggi: cani poliziotto, cani da valanga, cani da spiaggia, cani per ciechi, cani di compagnia, cani da stelle, come la povera Laika, ancora in orbita a gloria eterna dell’URSS…


È da un bel po’ che va avanti questa storia della domesticazione delle cose, dei vegetali e degli animali: le pietre son diventate prima schiaccianoci, poi pugnali, le frane dighe degli antichi Imperi idraulici e poi trincee, il grano non può campare se non lo aiuta la fatica dell’uomo, e nemmeno l’uomo se gli manca il grano da mangiare. Infatti la domesticazione è reciproca, seppur con varianti: al cinquanta per cento per ciascuna specie (uomo e cereali), si contrappone la vittoria, quasi al cento per cento, del gatto che è rimasto pressappoco com’era, ma ha addomesticato lui, noi, propalando fandonie come lo sterminio dei topi nelle Piramidi.


E si va avanti con la trasformazione progressiva della natura fino ad arrivare agli ultimi anni del XVIII secolo, quando agli inglesi gli saltò in mente di addomesticare il vapore, e fu l’avvento dell’era industriale: lotte di classe, mefistofeliche locomotive del Carducci, speranza che la classe dirigente del futuro sarebbe stata il proletariato, foreste di ciminiere fumanti nelle pianure… Amazon era in agguato, gli addetti avrebbero confezionato a macchina pacchetti di roba che nemmeno sapevano cosa fosse per spedirli a miliardi di sconosciuti: sapevano tutto i computer. Il computer era stato inventato da un inglese negli anni Quaranta del XX secolo allo scopo di spiare meglio il III Reich.


Si sarà già compreso che in questo comizio si chiama domesticazione anche quella che oggi va sotto il nome di tecnologia, ingiustamente sempre più diffamata come frutto del capitalismo. In questa arringa si è avuta l’accortezza di anticipare quanto possibile le trasformazioni dell’uomo nei confronti della natura e evidenziarne la reciprocità della natura sull’uomo. Se l’uomo ha trasformato il lupo in cagnolino, qualche cosa di misterioso si è riverberato sull’uomo: homo homini lupus?


Nella seconda metà del XX secolo sono stati addomesticati gli elettroni, particelle che invece di girare attorno ai nuclei degli atomi come facevano sempre prima dell’avvento dell’elettricità, si sono adattate a far di conto per noi: 10000110010000011100…


Con gli elettroni ce la siamo cavata alla grande, molto male invece per ora ci è andata con i nuclei atomici, dai quali sono scaturite tragedie come Hiroshima, Nagasaki e le sgangherate centrali di Chernobyl e Fukushima. Del resto non sapremo mai quanti sono morti per cercare invano di addomesticare le tigri, che possono essere, al massimo, individualmente, pericolosamente e per breve tempo ammaestrate. A pensarci bene, anche il fuoco, quando torna selvatico, se ne sbatte dei pompieri con i loro idranti.
Non è affatto vero che siamo in pericolo solo da adesso: lo siamo stati fin dal principio per la nostra propensione al rischio, e adesso ce la passiamo proprio brutta, quasi come all’inizio della funesta età del Ferro. Abbiamo trasformato il mondo un po’ in bene e un po’ in male, ma sempre in modo irreversibile: all’epoca di Shakespeare la foresta di Birnan non assediava più Macbeth e se n’era andata per sempre, mentre la “selva selvaggia e aspra e forte” di Dante costituiva oramai una mera metafora del Peccato Mortale…
Le foreste sono diventate tetti a capriate, navi, carri, mobili, legname da ardere e, nell’Australia di oggi, nessuno vi crede se affermate che in Europa non ci sono più foreste primigenie, ma solo boschi coltivati.
Il progresso chi lo fa lo paga, prima qua e poi là.


Nel XIX secolo vivono in Inghilterra due importanti coetanei: Charles Dickens e Charles Darwin. Dickens narra le spaventevoli condizioni della classe operaia e dei poveri, e l’orrore della mefitica industrializzazione che allora inquinava in una misura tale che noi ora nemmeno ce la possiamo sognare. La metropolitana di Londra andava a carbone e a carbone il grande scrittore pensava sarebbe rimasta. Invece divenne elettrica, elegante e luccicante, pronta per i micidiali attentati dell’ultimo quarto del XX secolo.
Charles Darwin inizia la sua grande avventura scientifica con una crociera intorno al mondo e descrive le differenze delle innumerevoli specie, le loro parentele, i loro passati in: L’origine delle specie per selezione naturale. Questo capolavoro è ancor vivo oggi dopo che la scoperta del DNA ha affratellato tutti gli esseri sul Pianeta: dal microbo al dinosauro, dalla sequoia ad Albert Einstein.


“…per selezione naturale” significa che non esiste alcun agente che possa operare miglioramenti finalizzati: ogni specie, se non è adatta all’ambiente, si estingue e viene sostituita da altre. Darwin stesso precisa che lui considera non essere utili alla scienza gli allevamenti di vegetali e animali. In natura nessuno perfeziona nulla, ed è per questo che Darwin, pur non professando l’ateismo, di ateismo viene accusato. Darwin, Lamarck, Spencer, Malthus… tutti inglesi, grandi ricercatori su strade dissimili e diverse discipline. Tutti innocenti di quel che sarebbe poi accaduto anche in loro nome, ma tutti coevi della deflagrazione della rivoluzione borghese, di quella industriale e del colonialismo.
L’umanità è una flotta che viaggia di conserva verso l’orizzonte con le bandierine agitate dai segnalatori per scambiarsi informazioni da un veliero all’altro: se c’è tempesta, è tempesta per tutti, se c’è bonaccia, è bonaccia per tutti…


Questa metafora non chiarisce del tutto la complessità dei fenomeni umani. Forse può servire l’avventura di uno psichiatra francese che si recò a Parigi, “la capitale del XIX secolo”, allo scopo di meglio investigare sulle malattie mentali. Seduto in un bistrò sul marciapiede, osservava la folla di milioni di persone che percorrevano davanti a lui i nuovi boulevard. Dopo giorni e giorni di inesausta attenzione, individuò una malattia neurologica rara che in suo nome si chiama “Sindrome di Tourette”: il malato che non sa di esserlo è scosso da continui tic che si originano nel suo cervello e che malauguratamente, con pericolo per lui, gli fanno inconsapevolmente imitare quelli che guarda e che spesso possono sentirsi beffati. E senza Tourette, ma anche senza i bistrò e le loro vetrine, senza i boulevard, senza la nuova folla che prima non esisteva, la malattia non sarebbe mai stata scoperta.


Adesso la metafora della flotta comincia a funzionare, nevvero?
I progressi nella psichiatria e nelle neuroscienze del XX e XXI secolo sono davvero impressionanti, tuttavia siamo ancora lontani dalla cura delle malattie psichiatriche individuali e, per quanto riguarda le malattie psichiatriche collettive mi sembra che si preferisca, per adesso, parlarne assai poco. È stata applicata solo una scoperta: la cura di emergenza della “maniglia antipanico”; si possono azzardare solo alcune previsioni di eventuali sperate maniglie di sicurezza del futuro.


Per intanto è successo il peggio: molte teorie umane hanno finito per dimenticare la selezione naturale o esserne addirittura terrorizzate. Cosicché l’aumento esponenziale del razzismo ( forse dovuto, oltre che al colonialismo, a qualche sindrome derivata da fattori psichici infettivi provenienti dalla millenaria pratica degli allevamenti) ha prodotto la catastrofe del XX secolo. Bisognava dunque optare, non per le classi sociali in lotta, non per le Nazioni né per i vecchi Imperi, ma nel nome di una nuova diabolica uguaglianza, per la razza migliore: non quella realmente esistente, ma quella sperata, bionda, longilinea e con gli occhi blu, e estinguere dall’allevamento le razze e gli individui inquinanti: ebrei, rom, handicappati fisici e mentali. In Se questo è un uomo Primo Levi definisce Auschwitz un immenso esperimento sociale: nell’immediato dopoguerra i morti accatastati ignudi non erano più gli appestati delle antiche epidemie, ma questa volta le vittime dell’esperimento nazional-socialista condotto dagli appestati paranoici dal fanatismo indotto da loro stessi.


Quando le epidemie di peste si portavano via intere popolazioni, non se ne conoscevano le cause, gli agenti, come adesso non si conoscono quelli delle epidemie psichiche.
Esistono dunque epidemie di paranoia che, come le antiche epidemie microbiche, dilagano sulle popolazioni? È un discorso forse avventuroso, ma dopo gli indubbi ma non esaustivi risultati di storici, filosofi, sociologi nel giustificare gli attacchi paranoici collettivi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, che cominciarono nel 1914 con le revolverate di Gavrilo Princip e cessarono d’incanto nel 1945 con il suicidio di Adolph Hitler, si deve ancora cercar di capire che cosa è frullato nei cervelli dell’umanità, che cosa c’è nella parentesi tra il Ballo Excelsior e il Piano Marshall.
Si potrà dimostrare perché la guerra del Vietnam durò così tanto tempo e finì per condurre a una lieta convivenza, con scambio di turisti, fra USA e Vietnam dopo milioni e milioni di morti? C’è qualcuno in grado di dimostrare come mai i musulmani i se copi fra lori (in triestino), come fecero a loro tempo gli europei nella guerra di religione dei 30 anni (milioni di morti) in nome della Trinità, dell’autorità del Vescovo di Roma, dell’assoluzione a pagamento dalle pene del Purgatorio dei defunti?


Mi auguro che scienziati e filosofi si impegnino a cercare l’eventuale agente non microbico delle epidemie psichiche collettive: nella grammatica generativa trasformazionale (forse), nelle ancestrali domesticazioni e ammaestramenti (forse), nell’effetto che fa ai bagnanti d’agosto la vista di una cinquantina di migranti neri esausti che sbarcano sulla spiaggia di Finale Ligure (forse). Servirà anche qualche entomologo per capire bene per quali motivi le formiche si facciano guerra da milioni di anni fra un nido e l’altro della stessa specie. E infine si dovranno studiare le cause dei suicidi collettivi.

Questo articolo è la libera trascrizione di gran parte del mio discorso riassuntivo pronunciato al Municipio di Cuneo a conclusione della “XII International Conference on Italian Jewish Literature – Letteratura ebraica in Piemonte da Guido Artom ad Aldo Zargani, Cuneo, 26-28 giugno 2019.

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