Le montagne della libertà

25 Aprile 2023

La ristampa dei Giorni veri di Giovanna Zangrandi è una bella notizia per l’etica civile del nostro Paese. L’ha pubblicata Ponte alle Grazie, in collaborazione con il CAI, e l’edizione è impreziosita da una prefazione di Benedetta Tobagi. 

I giorni veri era uscito nel 1963, edito da Mondadori. La forma del diario non era una novità nella letteratura resistenziale, basti pensare a Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese di Dante Livio Bianco, alla seconda parte di La guerra dei poveri di Nuto Revelli e al Diario Partigiano di Ada Gobetti. Il libro della Zangrandi però è diverso. È rigoroso nel rievocare i giorni più drammatici della Resistenza in Cadore, nel Bellunese, al tempo stesso è narrato con vivacità impressionistica, permette di cogliere i timori e la tensione, ma anche il senso di libertà di quei giorni veri, tra montagne e valichi di rara bellezza. L’utilizzo del tempo presente e i precisi riferimenti a luoghi e date rendono incalzante e vera la narrazione degli avvenimenti, come per i libri di Revelli e della Gobetti. L’originalità stilistica, la capacità di introspezione e l’abilità nel descrivere paesaggi ed emozioni, permettono di andare oltre la diaristica resistenziale e di accostare questo libro a I piccoli maestri di Luigi Meneghello e a Una questione privata di Beppe Fenoglio. Per singolare ma significativa coincidenza, I giorni veri esce lo stesso anno di Una questione privata e un anno prima di I piccoli maestri.

Alma Bevilacqua, questo il suo vero nome, era nata a Galliera, in provincia di Bologna, il 13 giugno 1910. Cresce in campagna, alternando le prime letture ai giochi all’aperto. Un’infanzia felice, almeno sino alla malattia del padre, un veterinario la cui scomparsa improvvisa – si suicida quando lei ha 13 anni – le lascerà un dolore e un rammarico mai sopiti del tutto. Gli studi universitari a Bologna le permettono di laurearsi in Chimica, nel 1933, anche se la sua passione è la Geologia. Si innamora delle montagne durante delle brevi vacanze con la madre nel Cadore e alla prima occasione, un incarico da insegnante di scienze a Cortina e a Pieve di Cadore, si trasferisce in Ampezzo. Una scelta di vita da cui non tornerà mai indietro, troppo forte l’amore per le montagne, sia quelle dell’avventura alpinistica e sciistica sia quelle della lotta quotidiana per sopravvivere. 

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A Cortina inizia per la prima volta a scrivere, racconti e soprattutto articoli, pubblicati nei giornali locali. Durante la guerra Alma segue con crescente orrore la catastrofe nella quale sta scivolando il nostro Paese. Dopo l’8 settembre sceglie di stare dalla parte della libertà. Inizia a collaborare in modo sempre più assiduo, e anche pericoloso, con chi si oppone ai tedeschi e alla dittatura. Inizia a fare la staffetta per recapitare messaggi, mappe (che spesso realizza lei stessa) e armi ai partigiani. Nei primi di luglio del 1944 entra a far parte delle formazioni partigiane che si muovono tra le montagne del Cadore, nome di battaglia Anna. Sono giorni veri, di paura e di uccisioni, in combattimento o davanti a un muro, di corse e salite senza fine per recapitare un ordine, ma anche di speranze di liberazione dall’oppressione e di un vivere più serio e civile. Durante gli spostamenti, e anche per sfuggire a un rastrellamento, ammira un luogo bellissimo, in un valico a ridosso del monte Tranego, da dove si possono ammirare l’Antelao e montagne più lontane, come il Civetta, le Marmarole e gli Spalti di Toro. Insieme all’uomo di cui è innamorata, il comandante partigiano Severino Rizzardi, immagina di costruire lì, dopo la guerra, un rifugio alpino e vivere di quello. «[…] una baracchetta chiusa, calda, con una stufa vera, accesa; finita la guerra forse arrivo ad averla sul valico delle Vedrette dove il prato è verde e deserto, protetto solo da pareti e da ghiacciai. Mi basterebbe tre metri per tre, ma chiuso, con un mastelletto di acqua calda per lavarsi e al mattino caffè vero. Avrò dei libri da leggere, tanti, da far passare il tempo delle bufere». Così racconta in I giorni veri; Severino purtroppo viene ucciso proprio negli ultimi giorni di guerra. Il rifugio però Giovanna lo realizzerà davvero, tra il 1946 e il 1947, insieme ad alcuni muratori e falegnami. Immagina di chiamarlo Ai Ghiacciai di Antelao, pensando ai possenti ghiacciai di quella montagna, ma poi sceglie il nome Rifugio “Antelao”.  È ancora oggi lassù, non molto diverso da allora, e la culmina sotto il tetto porta ancora le iniziali di chi lo eresse. Alla costruzione del rifugio, ceduto al CAI nel 1950, la Zangrandi dedicherà il libro Il campo rosso: cronaca di un’estate, 1946, pubblicato da Ceschina nel 1959 e ristampato pochi mesi fa dal CAI.

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Lasciato il rifugio, va a vivere in una casetta di Borca di Cadore, e inizia una vita difficile, dove lavori di fatica per sopravvivere si affiancano al mestiere di scrivere, articoli ma anche testi narrativi. Ottiene un successo inaspettato con il romanzo I Brusaz, pubblicato da Mondadori nel 1954, che vince il premio Deledda. 

Anche il dattiloscritto di I giorni veri ottiene attenzione da parte della casa editrice. La corrispondenza con la Mondadori, con Vittorio Sereni, direttore letterario, e soprattutto con Niccolò Gallo, direttore della collana Il tornasole, è consultabile presso l’archivio Giovanna Zangrandi di Pieve di Cadore, curato da Roberta Fornasier, e consente di capire la cura con la quale l’opera viene più volte rifinita, sino alla stesura finale

È il suo libro di maggior successo, sarà ristampato una prima volta nel 1998, con la prefazione di Mario Rigoni Stern, che coglie uno degli aspetti più importanti della personalità della Zangrandi e del contesto dove sceglie di vivere: “Questa vita raccontata così è poi quella della nostra gente di montagna che è buona e cattiva, felice e disperata, fantastica  e concreta, inserita da sempre in un ambiente dove da sempre è duro e difficile esistere; ambiente che la Zangrandi, donna libera, ha scelto un tempo ormai lontano e una volta per sempre”.

Una donna che ha amato e ha avuto grandi amicizie, ma che ha sempre combattuto per la sua indipendenza, ritrovandosi spesso sola, spesso sconfitta, ricominciando ogni volta da capo. Tante le passioni di Giovanna Zangrandi: per le letture – in archivio sono rimasti anche i suoi tanti libri –, per la libertà e la democrazia, senza mai intrupparsi in un partito politico, per l’ambiente naturale, vissuto pienamente e descritto in pagine memorabili, specie quando ricorda la selletta di Padronego, i boschi del Cadore e d’Ampezzo, i cieli stellati di certe notti chiare passate tra le montagne, tra paure e speranze. 

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Una delle prime immagini del Rifugio Antelao.

I giorni veri non è solo una storia di Resistenza, è anche denso di paesaggi e di natura. E il rimpianto per quelle speranze di libertà e di rinascita civile andate perdute si fonde con il rimpianto per i ghiacciai dell’Antelao, ridotti ormai a poca cosa, e per la magnifica faggeta di Rizzios, sconvolta pochi anni fa da una mulattiera silvo-pastorale camionabile. Le terre alte, tra i boschi e le ampie cime rocciose, sono ancora lì, per chi vuole ripercorrere i sentieri di Giovanna Zangrandi. Il libro merita di essere letto tenendo vicina una mappa dei luoghi, del Cadore e d’Ampezzo, così da vederla salire di notte l’aspro sentiero che costeggia la Croda da Lago sino a Forcella Ambrizzola, immaginare le sue corse tra Pelmo e Antelao, capire le lunghe attese negli alti anfratti di La Memora, sopra Calalzo di Cadore. L’amore per la conoscenza della natura appare evidente anche visitando il suo archivio, aprendo il piccolo manuale di geologia della Hoepli che ha sempre tenuto con sé, e scorrendo la grande enciclopedia naturale di Alfred Edmund Brehm, appartenuta a suo padre e mai abbandonata. Anni fa, nella preziosa collana Einaudi per le scuole medie, alcuni libri - Diario partigiano di Ada Gobetti, La Tregua di Primo Levi, Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, e altri – furono corredati di mappe dei luoghi raccontati. Sarebbe bello riprendere quell’intelligente e sensibile abitudine editoriale. 

Quando I giorni veri esce, nel 1963, per Giovanna è già iniziato il periodo più crudele della propria vita, a causa di una malattia degenerativa che le impedisce le attività che ama di più, scrivere e camminare per le montagne. Dopo il primo intervento, all’amico Adolfo Balliano del GISM (Gruppo italiano scrittori di montagna), a cui non può inviare un racconto di montagna come lui le chiedeva, manda un nastro con registrato un commosso addio alla vita attiva, e alle montagne: «…ora so che in montagna non andrò più, che con gli sci non andrò più, che quello che una volta era un corpo di atleta non servirà più. È rimasta la testa, e una spietata lucidità. […] Nella mia vita ho sempre guardato in faccia la realtà: l’ho misurata quando potevo andare in roccia, misuravo gli appigli e le distanze, e quella scuola mi ha insegnato a guardare in faccia anche altre misure e altre distanze, anche quelle dei vuoti che si aprivano davanti a noi». Gli confida che, nonostante tutto non ha perso «la sua inguaribile malattia di guardare l’avvenire e di non innamorami del passato».

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Una recente immagine del Rifugio Antelao, sullo sfondo le Marmarole. foto di Giuseppe Mendicino.

Padroneggiare mani e gambe le diviene sempre più difficile. Non si perde mai d’animo, reagisce alla malattia che le impedisce di scrivere, dettando articoli e racconti a chi ha voglia di aiutarla. Negli anni Settanta però non riesce nemmeno più a parlare. Solo con l’amico di sempre, Arturo Fornasier, l’ex partigiano Volpe, riesce a farsi capire quando emette a fatica parole e suoni indecifrabili per gli altri. Lui ha sempre ricordato con ammirazione il sangue freddo di Giovanna durante il rastrellamento dei tedeschi. 

«Perdere il danaro è male, perdere l’onore è maggior male; ma perdere il coraggio è peggio della morte», così ripete Tolfo, uno dei personaggi di Il campo rosso, e Giovanna Zangrandi il coraggio e l’orgoglio di essere libera non lo perse mai.

Bibliografia:

I Brusaz, Mondadori, 1954 (Premio Deledda).
Orsola nelle stagioni, Mondadori, 1957.  
Il campo rosso: cronaca di un’estate, 1946,
Ceschina, 1959 (ristampa CAI, 2023, a cura e con la prefazione di Giuseppe Mendicino).
I giorni veri: 1943-1945, Mondadori, 1963 (ristampa Le Mani, nel 1998, prefazione di Mario Rigoni Stern; ristampa ISBN edizioni, 2012, con uno scritto di Marina Zancan e una nota biografica di Myriam Trevisan; Ponte alle Grazie-CAI 2023, prefazione di Benedetta Tobagi).
Anni con Attila, Mondadori, 1966 (Premio Puccini-Senigallia)
Il diario di Chiara, Mursia, 1972.
Racconti partigiani, Nuovi sentieri, 1975 (prefazione di Mario Rigoni Stern).
Gente della Palua, Nuovi sentieri, 1976.
Racconti partigiani e no, La Tarantola, 1981 (prefazione di Mario Rigoni Stern).
Non voglio comandi, non voglio consigli. Racconti di una vita libera, Monterosa, 2023 (prefazione di Giuseppe Mendicino).

È attesa in autunno la pubblicazione di un’accurata biografia di Giovanna Zangrandi, scritta da Anna Lina Molteni per le edizioni Monterosa. 

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