Sogno di volare. Se la scuola riparte dal teatro

10 Giugno 2022

Cala il buio nella cavea del Teatro Grande di Pompei, riempita da un pubblico misto e di ogni età. La prima sera lo spettacolo è sold out e lo sarà anche i due giorni successivi. Il suono vibrante di un corno è il segnale di inizio. Il rumore di piccoli passi nella ghiaia accompagna l’arrivo di figure scure che muovono le braccia soavemente, come in un sogno. Sono ragazzi, e bambini: uccelli. Sono emozionati, poetici: sono come animali liberi e non addomesticati. La schiera, sempre più nutrita, riempie quasi completamente lo spazio dell’orchestra. A guardarla dall’alto sembra un quadro di Caravaggio.

La luce gialla e delicata curata da Vincent Longuemare fa l’effetto di tanti piccoli fuochi accesi: i corpi come fiammelle oscillano nel centro dell’antico spazio a forma di ferro di cavallo, in una cornice umana di centinaia di volti e corpi protesi a osservarle nel buio. Sullo sfondo, la scenografia naturale dei Monti Lattari imprime un senso di pace e bellezza ritrovata: nei lavori in scena al Teatro Grande di Pompei, raramente viene usato lo spazio dell’orchestra, mentre lo sfondo naturale del teatro romano viene spesso coperto da schermi per video proiezioni.

Il maestro Ambrogio Sparagna e i Solisti dell’Orchestra Popolare Italiana Erasmo Treglia e Clara Graziano con special guest Antonio Matrone “o’ Lione” accompagnano la danza prima lenta e poi velocissima al suono ritmico di organetto, tammorra e ciaramella. All’incalzare della musica, la schiera accelera in un turbine dionisiaco di corpi sinuosi a spiccare il volo, fino a quando dal coro non si stacca Carmela, 17 anni, che sale su un gradone e urla: “E basta mo! Mi so scucciata! Me ne voglio andare da qua! Ca fa schifo tutt’ cos’. A’ gente ti punta sempre il dito addosso, tutti ti giudicano. Qua non si può mai vivere in pace”. 

Uccelli
Gli Uccelli, Teatro Grande di Pompei, foto Mario Spada

Inizia così il prologo di questa dirompente versione di Gli Uccelli di Aristofane che Marco Martinelli ha adattato con e per 60 adolescenti del Liceo coreutico Ernesto Pascal di Pompei, l’IISSS Eugenio Pantaleo di Torre del Greco e un piccolo gruppo tra bambini della scuola napoletana “Dalla Parte dei Bambini” e ragazzi di Arrevuoto, sopraggiunto poco prima del debutto il 27 maggio. La forza di questo lavoro, che nel finale si trasforma in un’anarchica corale festa multigenerazionale, viene da lontano. I semi gettati in questi mesi di laboratorio, tra titubanze, difficoltà a vedersi causa covid, la magia del primissimo incontro tra le due scuole dopo Pasqua, sono germogliati.

È successo qualcosa di importante e visibile al termine di un percorso che ha letteralmente messo le ali ai protagonisti di questa storia: oggi, dopo sette mesi, a guardarsi indietro quasi non si riconoscono. “All’inizio eravamo 3, ora siamo 60. Non ci saremmo mai aspettati di arrivare a oggi”, confessa Stefania che assieme alle sue amiche Silvana e Martina del Liceo Coreutico di Pompei fu tra le prime a presentarsi all’auditorium del parco in quel piovoso pomeriggio di novembre. Durante la scena corale della costruzione del muro a difesa della nuova città degli uccelli, è lei la prima dei “seccatori” a irrompere sul palco. Abita i panni di un’autoritaria camorrista in doppiopetto che esige la mazzetta dagli uccelli. “Ho iniziato questo progetto soprattutto per me: sono una persona timida. Arrivare a fare la parte della mafiosa davanti a un pubblico di mille persone era qualcosa di impensabile. Questo percorso mi è stato molto d’aiuto. Lo dicono anche le mie amiche e i miei genitori: ogni volta che torno a casa dalle prove mi vedono più felice, spensierata. Fare teatro è stato anche una valvola di sfogo dallo stress della scuola, un riscattarsi: dopo due anni di pandemia stare insieme e abbracciarsi non è per niente scontato”. 

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Gli Uccelli, Teatro Grande di Pompei, foto Mario Spada

Marco Martinelli ci tiene – se ancora ce ne fosse bisogno – a precisare che il suo non è un teatro sociale “ma un teatro che cerca bellezza, armonia: per questo c’è un incrocio tra professionisti del teatro che, come Ambrogio Sparagna alle musiche, si mettono in una relazione viva, profonda con tutta la bellezza e la turbolenza che può dare la vita in questo caso incarnata dagli adolescenti e dalle loro storie”.

Confessa che questo “ritorno” in Campania è stato molto emozionante anche per lui. “Pompei vuol dire Napoli, riprendere il lavoro con gli adolescenti e il filo di un percorso nato più di 15 anni fa quando insieme al Teatro Mercadante e Maurizio Braucci fondammo Arrevuoto, un’esperienza molto significativa per l’epoca. Mettiamo in scena una bellissima favola che non ha perso nulla del suo smalto: dopo 2500 anni riesce a raccontare il nostro presente. I due eroi vogliono andarsene dalla loro Atene perché è piena di corruzione, guerre, pestilenze: siamo noi”.

Sulla modernità di quest’opera ragioniamo anche col direttore del parco Gabriel Zuchtriegel che de Gli Uccelli si è occupato in un testo per la Cambridge University Press su colonizzazione e subalternità nella Grecia classica. “È uno dei pochissimi casi in cui emerge una voce critica – già nell’antichità – nei confronti di una società fortemente colonizzatrice che era appunto quella ateniese. Alla base c’era l’opposizione tra l’uomo greco e il barbaro, l’impero che si deve espandere, creare nuove città. Questo nuovo inizio avviene spesso ai danni di chi – in quel caso sono gli uccelli – vive già in questi luoghi che non erano mai una ‘chora eremos’, ovvero una terra vuota come vuole l’ideologia, ma vi abitavano già delle popolazioni. Più che di fondazione si tratta di una riorganizzazione”. Nel nostro contemporaneo questi concetti risuonano tragicamente vicini. È scelta precisa del regista far terminare lo spettacolo con una pace segnata da una festa gioiosa e travolgente. 

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Gabriel Zuchtriegel e Marco Martinelli, foto Francesca De Paolis.

Il testo di Aristofane parla al presente. E rivive nelle istanze delle ragazze e dei ragazzi di Pompei, Scafati, Torre del Greco, come Nunzio, 18 anni, barba rossa e una comicità innata e spiazzante, scelto per il ruolo di co-protagonista. Pisetero ed Evelpide, che in questa versione diventano “Augusto” e “Pin Pin”, sono alla ricerca di un luogo per costruire una nuova città, lontana dalla Atene del V secolo a.C. che li disgusta. “Come dico nel finale, Aristofane aveva la nostra età quando ha iniziato a scrivere per il teatro: voglio dirgli grazie perché con questo spettacolo ci ha dato voce”.

Nunzio non ha mai perso un incontro, nonostante abbia già un lavoro e tante cose “da adulto” a cui pensare. “In questi mesi siamo tutti cambiati. Prima pensavo che il teatro fosse “una scemità”. Alle medie hanno provato a farmi fare uno spettacolo, Aggiungi un posto a tavola. Non mi piaceva, mi sentivo giudicato. La sera del debutto a Pompei, quando sono uscito di scena, sono andato da Valeria e le ho detto: “Ma allora il teatro è questo! Mi ha gasato, mi ha riempito, è stato bellissimo. Il mio personaggio mi piace perché non è simile a me però ha quel po’ di dittatoriale che mi fa sentire potente”. La possibilità di urlare quello che non va del presente ritorna in tutte le chiacchierate con i ragazzi: “È stato importante poter riscrivere il testo, trovo bellissimo che questa storia sia stata affidata a noi giovani.

Più di tutto mi è piaciuto poter parlare dei problemi della nostra società: ci siamo sentiti liberi di esprimerci, più di quanto io mi senta libera di farlo in famiglia, a scuola o addirittura con i miei amici. E questo non succede quasi mai”, dice ancora Stefania. La pensa così anche Simone, 17 anni, altro “Augusto” e coreuta col piglio da carismatico “leader”: nel prologo aizza il coro a lottare contro lo sfruttamento e il lavoro sottopagato a cui gran parte dei giovanissimi abitanti della zona vesuviana deve sottostare. “Mi aspettavo di ricevere un copione e seguire il volere del regista. E invece questo spettacolo l’abbiamo costruito sedendoci in cerchio e parlando dei nostri problemi. Come glielo diciamo alle persone che alcune cose non ci vanno bene? Possiamo dircelo tra di noi, ma resta un vocio; invece, così lo diciamo con forza e ci devono ascoltare. Inoltre, ho imparato ad apprezzare qualcosa che non conoscevo, come la mitologia greco romana. Agli scavi di Pompei, lo confesso, non c’ero mai venuto. Ogni volta che ci torno, mi piace sempre di più. Ho deciso che ci andrò almeno una volta all’anno”. 

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Gli Uccelli, Teatro Grande di Pompei, foto Francesca De Paolis

Prima di entrare in scena ogni sera facciamo “il rito”. È un momento scaramantico che cementifica l’unione. Del rito non si può scrivere, si deve fare. Il rito serve a far stare tutti “dentro”. Dentro un tutto, uno stare collettivo. La sera del debutto Marco tranquillizza i giovani uccelli: “Stasera no ansia, ma solo felicità e orgoglio. È il nostro abbraccio che si allarga. Il pubblico non è una bestia nera ma nostro complice. Anche gli spettatori partecipano allo spettacolo”.

Al rito ci siamo tutti. Insegnanti, musici, anche Gabriel Zuchtriegel che porta con sé la moglie e i due figli. Ecco, di nuovo, un grande cerchio di ragazzi, bambini, adulti che si guardano negli occhi e si tengono per mano. La parola teatro contiene la radice del verbo id/orao, guardare, appunto. Ed è un guardarsi dentro e fuori, reciproco. È un guardare insieme. Respirare insieme. E se non è così, non è teatro. Del carattere comunitario di quest’operazione parlo a più riprese con Franco Masotti, direttore artistico di Ravenna Festival, braccio produttivo ed esecutivo del progetto assieme al Parco Archeologico di Pompei, lo Stabile di Napoli, il Giffoni Film Festival. “Si è messo in moto un processo di persone che lascerà una traccia importante. È una storia che nasce da collaborazioni sul territorio che danno frutti che dopo anni crescono. Qualcosa di anomalo nel nostro paese”.

Penso all’esperienza di Marco con Arrevuoto e il Mercadante, alla formazione di ragazzi che oggi sono cresciuti come Gianni Vastarella, Valeria Pollice, Vincenzo Salzano che a loro volta si trovano a rivivere quell’esperienza da adulti con altri adolescenti. Penso a enti del territorio che dialogano tra loro in maniera costruttiva, senza farsi le scarpe a vicenda ma lavorando per la costruzione di progetti che abbiano un senso, una direzione, una continuità: un’eccezione anche nel deserto creativo e umano che la riforma dei teatri stabili si lascia dietro. Ravenna Festival, racconta, ha sempre organizzato i “concerti dell’amicizia”: Siria, Armenia, Kenya, New York post 9/11. In questi concerti si univano realtà locali, cori, musicisti. “Tutto iniziò nel ’97 in una Sarajevo con le macerie della guerra ancora fumanti.

Portammo la Filarmonica della Scala con Muti che si unì ai sopravvissuti dell’orchestra della città. C’è sempre questo elemento della partecipazione, dell’incontro. Gli abitanti del luogo diventano protagonisti. Il lavoro a Pompei è una novità assoluta: è la prima volta che succede in un sito archeologico, con uno spettacolo teatrale”. Il rapporto con Zuchtriegel risale a quando era direttore del Parco di Paestum e fu organizzato un concerto sinfonico con il maestro Muti. Quando divenne direttore di Pompei, si rivolse a noi per realizzare una grande opera che potesse coinvolgere gli abitanti, soprattutto i giovani. “Marco Martinelli è la persona che fa per te”, gli dissero Masotti ed Emilio Vita del Ravenna Festival. La bellissima notizia è che Sogno di volare, dopo questa prima edizione pilota, proseguirà anche il prossimo anno proprio per non disperdere la bellezza e la forza di quello che in questi mesi si è creato. 

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Gli Uccelli, Teatro Alighieri di Ravenna, foto Marco Parollo

“Uccelli al governo!”, dice Zuchtriegel durante un brindisi dopo l’esplosiva tappa del 3 giugno al Ravenna Festival, dove il lavoro è stato riadattato da Martinelli nello spazio del teatro Alighieri. Il contatto ravvicinato con il pubblico ha infiammato i ragazzi che alla quarta replica ci hanno preso gusto. E si vede. “Fondiamo un partito che si chiami così”, scherza il direttore dopo lo spettacolo, “la prima legge che proporremo sarà inserire la pratica del teatro in tutte le scuole di ordine e grado e per tutte le età”. Durante questi mesi, la sua è stata una presenza costante.

Ha anche condotto personalmente una piccola visita ad hoc con i ragazzi: alcuni di loro non avevano mai visitato gli scavi. L’entusiasmo e la spontaneità con cui interagisce con il gruppo è qualcosa che non ti aspetti. “Quando, come prima missione come direttore andai a Ravenna, qualcuno scuoteva la testa dicendo: ‘ma che vai a fa?’. L’idea mi venne una sera all’inizio del mio incarico a Pompei, mentre tornavo a casa. Pensai: il teatro è la chiave per rendere i ragazzi protagonisti. Come parco, abbiamo già la forte collaborazione con Pompei Theatrum Mundi e lo Stabile di Napoli che fa capire come questo luogo si presti. Si trattava di estendere questa considerazione ai giovani”. Quando gli chiedo del suo rapporto col teatro, scovo familiari similitudini: “Nella nostra scuola, in un piccolo paese della Germania del sud, facevamo un laboratorio di teatro. Era su base volontaria.

Ricordo la grande emozione, la possibilità di esprimerci, oltre ad essere un momento di incontro con gli altri. A scuola era sempre tutto un esercizio. Imparavi per un qualche futuro, quando queste conoscenze sarebbero tornate utili. Il teatro invece era in qualche modo un lavoro. C’era questo momento che doveva funzionare, ne sentivamo la responsabilità. All’epoca lo facevamo nella piccola aula della scuola, certo non nel Teatro Grande di Pompei…”. Il teatro, nella sua espressione più pura, funziona da connettore di energie ma non solo: è una pratica che vivifica i processi culturali e di apprendimento in un sistema di formazione e pubblica istruzione sistematicamente distrutto e svuotato, sempre più in ostaggio di crediti, certificazioni, dad. “Io ho due figli – continua Zuchtriegel – vedo quello che forse manca. Ringrazio i presidi che mi hanno dato il consenso, si sono messi in ascolto e resi conto che si tratta di un’esperienza che può davvero aggiungere qualcosa al percorso formativo.

A scuola ci sono dei programmi molto ben strutturati, ma è fondamentale anche lo spazio per la creatività. Pensiamo troppo ai contenuti, nell’insegnamento e nella cultura in generale: li trasmettiamo a questi ragazzi come se fossero dei contenitori che dobbiamo riempire il più possibile. In verità tutto è fluido e se hai lo strumento per processare, dialogare, puoi assimilare questi contenuti in maniera più profonda, non è semplicemente un dato che impari a memoria e poi dimentichi”. Aristofane sarebbe d’accordo. Prossima tappa all’Arena del Sole di Bologna nell'autunno 2022.

L’ultima foto, di Francesca de Paolis, ritrae Martinelli durante le prove al Parco Archeologico di Pompei.

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