Speciale

Digitalizzare il vivente

28 Luglio 2015

Guido Ucelli, fondatore a Milano del Museo nazionale della scienza e della tecnologia, era un ingegnere immerso nel proprio secolo. Conclusi gli studi politecnici, impiegatosi nel 1909 per l'impresa meccanica Riva, lottò per portare in Italia la cultura scientifico-tecnica appresa durante i viaggi europei. Ucelli conobbe e frequentò Guglielmo Marconi mentre la crisi del 1929 tracimava nel vecchio continente. Secondo quest'ultimo – che ne scrisse nel 1932 sulla neonata rivista del Consiglio nazionale delle ricerche – la crisi in corso era «una delle più grandi che la storia ricordi» le cui cause, certo complesse, «le possiamo far dipendere in massima parte dagli errori degli uomini stessi, in preda ad un pessimismo senza limiti e in gran parte ad un egoismo senza precedenti. Come può la scienza – si chiedeva – spingere l’umanità ad uscire da questa grave situazione?». Se le risorse scientifiche per assisterci nella vita quotidiana sono infinite, «forse non sarà lontano il giorno in cui l’uomo riuscirà a governare nuove forze della natura a lui ancora ignote e insospettate». 

 

Era il tema centrale, cui l’autorevolezza del fisico conferiva un peso particolare nell’Italia del tempo. Basti ricordare le citazioni ironiche di Leonardo Sciascia sui «favoleggiamenti» circolanti nel 1938 (un anno dopo la morte di Marconi) secondo i quali egli avrebbe lasciato incompiuto un «raggio della morte», non senza averlo sperimentato, da Roma, per fulminare una vacca nei pressi di Addis Abeba. L’aneddoto, trascritto ne La scomparsa di Majorana, ci accosta alla dimensione più drammatica del Physikerdrama, coniato dalla letteratura tedesca per affrontare il problema dello scienziato di fronte ai limiti impostigli dalla coscienza. Nella ricostruzione di Sciascia – romanzesca ma assai ben documentata – la volontaria scomparsa del fisico italiano Ettore Majorana si dovette alla sua ossessione per l’idea «schiacciante» che le pionieristiche ricerche sull’atomo, di cui era testimone privilegiato, sfociassero in forze incontrollabili, «[...] e ancor più nell’intravedere quel peso di morte che sentiva di portare oggettivarsi nella particolare ricerca e scoperta di un segreto della natura: depositarsi, crescere, diffondersi nella vita umana come polvere mortale». Majorana, nel desiderio di restare «uomo solo» o di non esserci più, prefigurava – scrive l’autore siciliano – «un mito: il mito del rifiuto della scienza».

 

 

A distanza di quasi un secolo, la riflessione sul primato della sfera tecnoscientifica e sulle sue implicazioni è il movente di Bridging, l'articolo di Paolo Perulli pubblicato da Doppiozero. Perulli si riferisce alla «tecnologia che tutti connette». Gli algoritmi che legano i motori di ricerca globali alle bacheche dei social networks, capillarmente alimentate da miliardi di persone, sono l'infrastruttura digitale, il «primo sigillo di un governo esercitato attraverso gli automatismi, piuttosto che da sempre più contestate autorità statuali». Quelli che ha battezzato automatismi irresponsabili sono tali perché impersonali. 

Il riferimento ai connotati più intimi dell'individuo – il nostro DNA – è probabilmente un buon banco di prova per tale analisi degli automatismi, considerati irresponsabili in quanto impersonali. Al genoma, tratto distintivo dell’unicità, possiamo oggi guardare con lenti del tutto nuove e storicamente inedite: è lo sguardo molecolare descritto da Nowotny e Testa in Geni a nudo. Ripensare l’uomo nel XXI secolo. Consentito dallo sviluppo delle tecnologie digitali, lo sguardo molecolare coincide con la possibilità di intervenire sulla materia vivente a una scala, ripetiamolo, finora ignota. La doppia elica ha mobilitato negli ultimi lustri capitali rilevantissimi, provenissero essi da portafogli privati o pubblici; evocati dallo stesso Testa attraverso la fotografia di Bill Clinton ritratto tra Francis Collins – organizzatore del progetto Genoma, cui lavorava da dieci anni al momento dello scatto – e Craig Venter, biologo imprenditore che sfidò Collins dimostrando di poter raggiungere in tre anni, con soli fondi privati, risultati equiparabili. 

 

Questo tragitto scientifico e tecnologico – una sorta di via Francigena, strade intricate e diverse lungo un'unica direttrice storica – ha implicazioni e applicazioni vastissime. Nel suo libro Il Dna incontra Facebook Sergio Pistoi, genetista passato alla divulgazione scientifica, racconta in prima persona il social networking genetico: «una dimensione nuova della genomica personale, un mondo dove le informazioni sul DNA sono un vero e proprio contenuto digitale da cui partire per realizzare reti sociali». L’esperienza di Pistoi inizia da quello che è diventato una sorta di mito fondativo del discorso pubblico sulla genetica “digitalizzata” : l’incontro con il sito di 23andMe (23 è il corredo aploide di cromosomi), prima impresa a offrire test genetici direttamente a domicilio.

 

A New York 23andMe si diffonde con la moda dei “party dello sputo”, nei quali alla distribuzione di provette ai convenuti segue l'attesa di quattro settimane per ricevere a casa il risultato del test genetico effettuato a partire dalla saliva. Strettissimi i rapporti della company con Google: «Legami economici, perché Google è il maggior investitore della compagnia; legami geografici, perché le sedi delle due aziende si trovano nello stesso isolato di Mountain View, California; infine legami familiari, dato che Anne Wojcicki, cofondatrice di 23andMe, è la moglie di Sergey Brin, inventore insieme a Larry Page, del motore di ricerca più grande del mondo». Chi ha effettuato il test con 23andMe alimenta un database che consente agli utenti accomunati da somiglianze del genoma di collegarsi, riproducendo la logica dei più noti social networks. Una piattaforma che coinvolge migliaia di persone, progettata per stimolare la creazione di legami, reti e scambio delle informazioni su un minimo comune denominatore: il codice genetico.

 

Come ha rilevato Margherita Fronte recensendo il volume di Pistoi, l'innovazione biotecnologica – e in particolare la genomica personalizzata che nasce dallo sguardo digitale – ha incontrato il web, vale a dire l'altro vettore di trasformazione sociale protagonista dell’ultimo decennio. Che si tratti, condividendo parti del DNA, di dedurre la predisposizione a determinate patologie, di rintracciare lontane ascendenze o il proprio padre biologico, o ancora di contribuire all'avanzamento della ricerca, la genomica personalizzata e di massa (evidente l’ossimoro, ma di questo si tratta) ci avvicina ai due corni del problema con il quale abbiamo iniziato l’articolo. 

 

La digitalizzazione sposta su una scala diversa – che grossolanamente potremmo definire planetaria (basta contare gli utenti di Facebook) – il rapporto tra i singoli individui e le collettività soggette ad automatismi; non necessariamente, dunque, protagoniste, né coscienti, né responsabili. Al contempo, digitalizzare lo sguardo, rivolgerlo all’infinitamente piccolo, scoprirlo “molecolare”, rende il corredo genetico di ciascuno materia da condividere nello stesso mare, il social network: «I dati genetici saranno un valido aiuto per prevedere e curare le malattie, ma anche un potenziale strumento di discriminazione e di marketing aggressivo. [...]. Come individui, e come società, sarà nostro dovere valutare i pro e i contro della genomica di massa e reagire ai pericoli che, come tutte le innovazioni, anch'essa comporterà».

 

Se l'innovazione si ha solo quando all'accrescimento di sapere che è implicito in ogni scoperta si combina un'aggiunta di potere attuativo (capitale o tecnologia) che lo implementa, la biologia molecolare “immersa” nella realtà digitale ci riporta all'interrogativo primo dell'indagine bioetica: se sia lecito fare, da un punto di vista etico e morale, tutto ciò che è anche tecnicamente possibile compiere. Eppure essa incorpora, anche in virtù dei nuovi strumenti a disposizione dei "grappoli umani” (quelle reti orizzontali che Perulli ha richiamato nel suo testo) un potenziale emancipatorio difficile da trascurare; tale, per esempio, da includere soggetti non annoverabili nelle cerchie degli “scienziati” al processo stesso della ricerca. Come accade alle associazioni dei malati, protagonisti di sempre più ricche esperienze di "condivisione della salute". 

 

 

Cosa leggere per saperne di più:

 

Nowotny Helga, Testa Giuseppe, Geni a nudo. Ripensare l’uomo nel XXI secolo, Codice Edizioni 2012

Pistoi Sergio, Il DNA incontra Facebook. Viaggio nel supermarket della genetica, Marsilio 2012

Guido Ucelli di Nemi. Industriale, umanista, innovatore, Ulrico Hoepli editore 2011

Bassetti Piero, Nuova scienza e nuova politica, in "Scienza e tecnologia al di là dello specchio", collana La Nuova Scienza, a cura di Umberto Colombo e Giuseppe Lanzavecchia, Libri Scheiwiller 2004

Fronte Margherita, Il DNA diventa social

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