Speciale

Carteggi amorosi / Hölderlin e Gontard, Lettere d’amore

“Il nostro animo già si conosceva ancor prima che ci vedessimo”

 

Johanna Susette Bruguier nasce ad Amburgo il 9 febbraio 1769. Rimasta orfana di padre a otto anni, viene descritta come una giovane e brillante studiosa di letteratura, lingue e musica. Nel 1786 viene data in sposa al banchiere francofortese Jakob Friedrich Gontard. e fra il 1787 e il 1791 partorisce 4 figli. Lo scultore Landelin Ohnmacht ne scolpisce un busto in alabastro dove la donna, i capelli raccolti all’indietro e la testa girata di tre quarti, rivolge uno sguardo enigmatico verso un punto indefinito. Il banchiere Ludwig Weerleder resta abbagliato dalla presenza di Susette, che considera la “donna perfetta”. Discute spesso con lei di arte e di letteratura. Tornato a Berna, si imbatte nel Frammento di Hyperion di Hölderlin, lo trascrive e ne invia una copia di suo pugno proprio a Susette. Prima ancora di conoscere il poeta, Susette legge così la sua opera in fieri, l’embrione dell’Hyperion.

 

Nel giugno del 1795 Johann Gottfried Ebel conosce Hölderlin a Heidelberg e lo raccomanda ai Gontard come precettore del figlio Henry. Il poeta accetta con entusiasmo il nuovo lavoro. Ospite del grande palazzo del Cervo bianco, adempie ai suoi obblighi di educatore e lavora costantemente all’Hyperion, discutendone con Susette. I due giovani si innamorano perdutamente ma tengono la loro relazione segreta, consapevoli della precarietà di un rapporto clandestino che potrebbe compromettere soprattutto l’amata. Nel 1798, dopo una lettera all’amico Neuffer a cui rivela il suo insopprimibile sentimento amoroso, il poeta lascerà Francoforte per Homburg ma continuerà a frequentare Susette in incontri segreti.

 

Nel 1799, consegnandole il dattiloscritto definitivo dell’Hyperion, scriverà una lettera reale a Susette (solo questa e una seconda lettera del poeta sopravvivranno, le altre saranno tutte distrutte dalla famiglia di lei negli anni venti del Novecento): «Ecco il nostro Hyperion, cara! Ti darà pure un fuoco di gioia, questo frutto dei nostri giorni pieno del calore dell’anima. Perdonami che Diotima muoia. Ricorda che è un punto che non ci ha visti del tutto unanimi, allora. l’ho creduto necessario per come il romanzo era impostato. Carissima! Tutto ciò che qui e là è detto di lei e di noi, della vita della nostra vita, prendilo come un ringraziamento, spesso tanto più vero quanto più goffamente si esprime… Cos’è meglio, dimmi, che tacciamo ciò che è nei nostri cuori, o che lo diciamo? – Sempre per risparmiarTi ho fatto la parte del bambino – ho sempre finto di potermi adattare a tutto, come se fossi una palla da gioco nelle mani degli uomini e delle circostanze e non avessi in me un cuore saldo, che batte fedele e libero nel suo diritto al meglio, vita mia carissima! Spesso mi sono negato il mio amore più caro, i pensieri a Te, vi ho rinunciato solo per vivere più dolcemente possibile, per amor Tuo, questo destino, – anche Tu, Tu che sei la pace! Hai sempre lottato per aver quiete, hai sopportato con forza da eroe e taciuto quel che non si può mutare, hai nascosto e sepolto in Te la scena eterna del Tuo cuore… Ho già pensato che potremmo vivere anche di rinuncia, che forse anche questo ci renderebbe forti, dire risolutamente addio alla speranza» (LA, p. 80).

 

In Il romanzo di Iperione Hölderlin alterna le lettere all’amata Diotima e all’amico Bellarmino. Così dice in una lettera tratta dal “Libro secondo. Parte prima”: «E allora addio, dolce fanciulla! Addio! Vorrei dirti: va’ ovunque senti mormorare le fonti della vita. Vorrei indicarti una terra ricca di anima e di bellezza e dirti: rifugiati là. Ma cielo! Se potessi farlo, allora sarei anch’io un altro e non dovrei separarmi da te – Separarmi? Ah! Non so più quel che faccio. Credevo di essere così padrone di me, così risoluto. Sono preso da vertigini e il mio cuore si dibatte come un malato impaziente. Sia maledetto! Distruggo la mia ultima gioia. Ma così deve essere ed è inutile qui il lamento della Natura.

 

Ti sono debitore, io, nato per rimanere senza patria e senza asilo: Terra! Stelle! Troverò infine una dimora? Vorrei ritrovarmi sul tuo senso, ovunque ti trovi! Occhi eterei, potessi rivedervi almeno una volta! Pendere dalle tue labbra, mia amata, ineffabile! E bere la sacra, inebriante dolcezza della tua vita...» (PTL, p. 155). Sempre, anche nella finzione letteraria, incombe la necessità della separazione. In Libriccino per signore colte dell’anno 1799 una poesia ha come titolo L’imperdonabile: «Se dimenticate gli amici, se irridete l’artista, / e involgarite lo spirito più profondo, / Dio vi perdoni, purché mai turbiate / degli amanti la pace». Hölderlin e Susette mantengono segreto il loro amore purché la pace continui. Non è improbabile che quella comune scelta di rinuncia assoluta, all’interno di un amore impossibile dove anche il sogno appare distruttivo nella sua potenza amorosa, abbia, negli anni seguenti, minato lo spirito del poeta, condannandolo a un perturbamento psichico senza ritorno.

 

 

Per Susette Gontard, invece, non ci sono né romanzi né fughe, e neppure il riparo di una futura follia. Lei resta nella sua casa, soffre, scrive, o viaggia nei luoghi dove sa che lui è stato. Tutte le sue lettere all’amato Friedrich sono state conservate. «Devo proprio scriverti, mio caro! Il cuore non regge più il silenzio verso di te, lascia che ti dica soltanto ancora una volta cosa provo e poi, se lo preferisci, accetterò di tacere, lo farò, credimi, lo farò. Da quando sei andato via, tutto qui intorno e dentro di me sembra vuoto e deserto, è come se la vita avesse perso significato, solo nel dolore ne trovo ancora…» (LA. p. 5). «Ho letto tutte le tue care poesie con una gioia inesprimibile. Ho messo insieme le tue lettere raccogliendole tutte come se fossero un libro, e se mi dovesse capitare di non avere tue notizie a lungo, lo rileggerò pensando che sia ancora così! Fa’ anche tu lo stesso e confida che nella profondità più intima della vita rimane, finché esistiamo, ciò che ci avvince l’un l’altra; io non riesco ad abbandonare la convinzione che ci ritroveremo in questo mondo e potremo ancora condividere la gioia. Sii dunque ancora felice (come noi lo intendiamo) e sappi che qualsiasi cosa tu intraprenda, se ci riesci, per me andrà bene.

 

Purché tu non scelga qualcosa di inadeguato per te. Se potessi sentire con quanta intensità e frequenza la tua immagine più bella sboccia dentro di me, allora sentiresti anche come tutto, ma proprio tutto, quello che mi circonda, le ceda il posto, e come ogni più tenue sentimento non risvegli in me altro che l’unico e grande per te in una dedizione assoluta! – Per questo non temere il tuo cuore e confida come faccio io che siamo per sempre nostri e soltanto nostri» (LA, p. 62). Allucina Hölderlin, lo evoca, lo vuole complice nelle decisioni che li riguardano. «Mi smarrisco nei miei pensieri, per questo dimmi cosa pensi anche tu e non lasciare che il peso della decisione gravi tutto su di me; quel che riterrai giusto sarà la mia volontà, e se tu pensi che in realtà sarebbe un bene separarsi definitivamente non ti giudicherò male per questo, le relazioni invisibili durano comunque e la vita è breve» (LA, p. 39).

 

Come Susette ha imparato ad amare Friedrich attraverso i suoi scritti, così Hölderlin non smette di amarla scrivendo indirettamente di lei. Nelle Poesie dedicate a Schiller (1795-1797) dice: «Trionferà il nostro cielo, / unito da vincoli insondabili, / il nostro animo già si conosceva / ancor prima che ci vedessimo» (TL, p. 601). E in Diotima rinforza il carattere sacro del loro incontro: «Risplendi come un tempo, / giorno dorato? E ancora / germogliano per te i fiori / del mio canto, in un soffio di vita? / Come tutto è mutato! / Ciò che evitai nella tristezza / ora s’intona in lieti accordi / nel canto della mia gioia: / e ad ogni ora che passa / mi sovvengono, meravigliosi, / i quieti giorni della fanciullezza / quando lei, l’Unica, ho trovato» (TL, p. 183).

Nel 1802 Isaac Sinclair scrive a Hölderlin: «...il 22 di questo mese è morta la G. di rosolia, il decimo giorno del suo male. I suoi figli l’avevano avuta anche loro e l’hanno felicemente superata. Lo scorso inverno lei ha avuto una tosse perniciosa che ha fiaccato i suoi polmoni. Fino all’ultimo è rimasta la stessa. La sua morte è stata come la sua vita» (LA, pp. 70-71).

 

Trascorsi cinque anni, dopo un ennesimo accesso di schizofrenia, il poeta viene internato in ospedale e poi affidato al falegname Zimmer che si curerà di lui alloggiandolo nella torre di Tubinga sul Neckar: da quella torre il poeta uscirà solo alla fine della sua vita, nel 1843. Susette è forse ancora presente nei suoi pensieri se, in una tarda poesia, La primavera, firmata con lo pseudonimo Skardanelli e datata apocrifamente 3 marzo 1648. Hölderlin scrive: «Discende il giorno da remote altezze, / e l’alba, che tra oscurità si desta, / sorride all’uomo con le sue bellezze, / l’umanità gioisce in dolce festa. // Nuova vita al futuro vuol svelarsi, / Di mille fiori, segno di gaiezza, / Terra e valle paiono adornarsi, / Lontana in primavera è ogni amarezza» (TL, p. 1273). Forse la lunga lotta per “aver quiete”, quella lotta che Susette e Friedrich, complici, hanno intrapreso fin dal primo istante della loro relazione, è qui evocata come un lampo primaverile nella mente del poeta: folle poeta, sì, ma mai del tutto ottenebrato nel cuore e nella ragione, se fino all’ultimo, in mezzo ai suoi fantasmi, manterrà vivo un pensiero amoroso verso qualche possibile futuro. Come scriveva, oltre 40 anni prima, alla sua unica Susette: «Ma una natura come la tua, dove tutto è unito in intimo, indistruttibile, vivo legame, è la perla dell’epoca e chi l’ha conosciuta, e sa che la sua felicità è celestialmente innata, è anche la sua infelicità più profonda, quegli è serenamente felice ed eternamente infelice» (LA, p. 78).

 

Se la follia di Hölderlin è sempre stata quel nucleo emotivo potente che ha generato teorie, riflessioni e interrogazioni sull’arte, se ogni autentico poeta non ha mai potuto fare a meno di confrontarsi con la sua malattia che lo isolò per oltre trent’anni nella torre di Tubinga, venerato e rispettato da generazioni diverse di scrittori, da Waiblinger a Goethe, questo libro Friedrich Hölderlin e Susette Gontard. Lettere d’amore (LA) ci distoglie da quello sguardo obbligato e ci riporta a un tempo antecedente. Leggendo le lettere reali dei due amanti non viviamo la tragica dissociazione del poeta recluso ma l’imminenza viva e perturbata delle emozioni reciproche fra due giovani innamorati. L’amore fra Susette e Friedrich si sviluppa nelle intermittenze del sentimento e non si blocca nella morte fisica o nella follia conclamata.

 

Libri consultati

 

Friedrich Hölderlin, Susette Gontard, Lettere d’amore, a cura di L. Reitani, Milano, Mondadori, 2021 (LA).

Friedrich Hölderlin, Tutte le liriche, Milano, a cura di L. Reitani, I Meridiani Mondadori, 2001 (TL).

Friedrich Hölderlin, Prose, teatro e lettere, a cura di L. Reitani, Milano, I Meridiani Mondadori, 2019 (PTL).

 

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