Ibsen a Taranto

26 Aprile 2013

Lavoro e salute. Maggioranza e libertà di coscienza degli individui. Inquinamento. Archivio Zeta recupera uno dei testi più importanti di Henrik Ibsen, Un nemico del popolo (1882), portandolo verso i conflitti di oggi e i contrasti violenti della tragedia greca. Lo asciuga (già nel titolo diventa Nemico del popolo), lo innerva con parti tratte dalle perizie per la magistratura di Taranto che hanno dimostrato in maniera inoppugnabile, l’anno scorso, la distruzione dell’ambiente e il pericolo per la salute umana rappresentata dello stabilimento siderurgico dell’Ilva. Lo trasforma in una tesa lotta tra l’individuo che vuole testimoniare la verità e la società che si richiude intorno ai propri interessi, in uno spettacolo di grande fascino, in cui la recitazione è rallentata a incidere le parole, a sottolineare le opinioni,  a rivelare le intenzioni nascoste, a evidenziare le forze in tensione, e i corpi, illuminati in modo frontale, dal basso, si trasformano in incombenti ombre espressioniste.

 

 

Nei due nudi ambienti di cemento dello Spazio Tebe, nell’Appennino tra Imola, Bologna e Firenze, nel paesaggio mozzafiato di Firenzuola, il paese della pietra serena, tutto l’apparato borghese del dramma di Ibsen viene tagliato e la storia del conflitto tra il dottor Stockmann e il fratello, sindaco di una città che si aspetta un incremento della propria ricchezza dalla recente istituzione delle terme, è ambientato in una nudità scenica essenziale. La maggior parte del dramma si svolgerà nel capannone più ampio, con il pubblico seduto lungo tre bordi della sala a rievocare la cavea semicircolare del teatro antico. Della casa del dottore e della redazione del giornale rimane poco: una scrivania, due sedie, un attaccapanni; poi un tavolo per la composizione tipografica. Così dalla storia scompaiono i familiari del dottore e altre figure che rappresentano il mondo borghese della cittadina: rimangono solo quattro personaggi, a incarnare in modo radicale i conflitti e le loro sfumature.

 

 

Il testo è asciugato e le parole diventano idee forti come pietre. Non si trasformano mai in tesi astratte, ma si impersonano negli attori, nei rallentamenti del loro parlare, nelle posizioni (di attesa, di sfida, di fiducia, di tradimento…) che assumono nello spazio, negli studiati scatti improvvisi. Di spalle l’uno all’altro, di fianco, tirando via con violenza la scrivania o trascinando i faldoni con le perizie sulla nocività dell’impianto termale; insomma abitando con acume l’austero spazio, sotto musiche stridenti, colature di acque che alludono alle terme, con evocazioni di atmosfere e sospensioni, gli scontri diventano materia umana, conflitti, ipocrisie, veri e propri tentativi di occultare la verità o di affermarla nonostante tutto, andando avanti in modo coerente, idealistico, e alla fine perdente.

 

 

Il dottore diventa una dottoressa, interpretata da Enrica Sangiovanni, misurata e esaltata allo stesso tempo, nella ricerca di quella verità che la lascerà sconfitta, tra decine di provette di acque trasparenti disseminate dappertutto che nascondono batteri micidiali e invisibili, e una vocazione al martirio che la fa somigliare, in certi momenti, a una Giovanna D’Arco. Gianluca Guidotti è il fratello, il sindaco: insinuante, autoritario, ricattatorio o violento, capace di operare sottotraccia, nel buio, per muovere l’opinione pubblica a proprio favore e isolare la sorella, trasformando le verità scientifiche che propugna (le terme inquinano, avvelenano) in menzogne nocive economicamente per la comunità e lei in nemico del popolo.

 

 

Tra grida e sussurri, e altri rapporti che si sviluppano sotto quello principale (rivalità, diffidenze, odi tra congiunti), con l’ambiente che fa rimbombare in modo suggestivo la voce, con la musica distorta che introduce in atmosfere sinistre, si dimostra a poco a poco che l’inquinamento è principalmente avvelenamento delle coscienze. Il battagliero capo redattore del giornale locale “La voce del popolo”, interpretato da Alfredo Puccetti, pronto in un primo tempo a sostenere le battaglie della dottoressa, e il capo dei piccoli proprietari nonché tipografo (Luciano Ardiccioni), di fronte al ricatto dei costi degli aggiustamenti degli impianti, che farebbero in sovrappiù fermare le terme e bloccherebbero il flusso di turisti forse per sempre, non esitano a trasformarsi in avversari feroci della dottoressa. L’articolo di denuncia della donna, già quasi impaginato in caratteri di piombo, viene disfatto e il viso di lei è incorniciato dalla cornice di un menabò vuoto di lettere.

 

Le parole più pesanti sono solo quelle della maggioranza. Quelle che in un processo e in una finta votazione, nell’altra sala dello Spazio Tebe, tra luci chiare, decreteranno che il dottore è un nemico del popolo, perché va contro gli interessi della città. Quello che gli spettatori, spostati su panche in quell’altro spazio e invitati a una finta votazione, perché tutti i voti sono già nell’urna, avranno tra le mani è un foglio stampato che celebra le terme e dichiara calunniose le voci diffuse dalla dottoressa.

 

 

Vale poco il grido dell’eroina che il peggior nemico della verità è la maggioranza: la gogna è pronta. L’ultima scena, di nuovo nel primo ambiente, devastato, con le sedie rovesciate e tante lettere sparse in terra a indicare un’esplosione delle parole, delle ragioni, mostrerà un ultimo tentativo di riassorbire la ribelle e la conclusione che nulla si può contro la maggioranza.

Mentre le musiche di Patrizio Barontini cedono il posto alla desolata emozione dello Stabat Mater di Pergolesi e la sala viene avvolta dalla luce del tramonto esterno.

 

Questo spettacolo, incisivo in modo fenomenale, rende palpitante, con intelligenza, un classico. Merita, inoltre, un viaggio alla scoperta di un luogo bellissimo, tra i monti, in cui Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, dopo essersi formati con il teatro analitico di Luca Ronconi e con il cinema e il teatro essenziale e politico di Jean-Marie Straub, hanno installato il loro teatro stabile, indipendente (sono finanziati solo dagli spettatori), che si richiama anche al Teatro di parola di Pasolini.

 

 

Le repliche andranno avanti, per lo più nel fine settimana , per tutto maggio (il calendario qui); per chi voglia fermarsi, dall’altro alto della strada dello Spazio Tebe, sopra il fiume Santerno, ci sono i locali in pietra dell’agriturismo Brenzone. Dove, dopo lo spettacolo, si possono gustare le specialità locali.

 

Archivio Zeta presenta a Bologna al Dom del Pilastro il 3 e il 4 maggio Eumenidi, l’ultimo atto della trilogia eschilea preparata negli anni scorsi in un luogo unico. Si potrà rivedere per intero la loro Orestea tra luglio e agosto là dove è nata, nello scenario di formidabile e contrastante fascino del Cimitero militare germanico della Futa.

 

Fotografie di Franco Gardascione

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