Che Guevara a Bologna

4 Maggio 2025

Scorre tutta la vita del Che nella bella mostra bolognese Ernesto Che Guevara ti y todos, tu e tutti, un titolo che sintetizza la vita di una forte personalità che ha dedicato la vita agli altri, agli ultimi della terra. Foto, tante foto, filmati, pannelli interattivi, suoni, libri digitali, brani di lettere e di diari, proclami, cartelloni di film da attraversare e i due simboli del suo girovagare giovanile in cerca di luoghi, di esseri umani, di storie, la bicicletta e la moto. Oltre l’icona vorrebbe andare questa esposizione ma non può non fare i conti con quella che è stata un’immagine forte della fine del secolo scorso; oggi, per la verità, sbiadita, in tempi neo-con, trumpiani, muskiani, meloniani, di innocenti sterminati dai bombardamenti con voci flebili e disperse che si alzano contro gli orrori.

La famosa foto di Alberto Korda del barbudo guerrigliero col baschetto, quella apparsa su milioni di magliette e poster, non c’è. In compenso ne vediamo, alla fine, un’immagine decostruita nei suoi diversi elementi, la barba, il profilo del volto, gli occhi, il basco eccetera, resa tridimensionale dall’artista Michael Murphy nel 1975 in Portait of Ernesto Che Guevara.

Ma le fotografie più belle sono quella in cui il Che sta disteso sul balcone della casa dei genitori a Buenos Aires nel 1947, l’anno in cui si iscrisse alla facoltà di medicina, e quelle con la figlia piccola, per esempio quando in un campo, davanti a un lampione, le mostra il cielo. Ci sono poi testimonianze, spesso scattate da lui stesso, del viaggio in America Latina, che fa maturare la sua coscienza e ne determina lo schierarsi una volta per tutte con gli sfruttati.

Lo vediamo guerrigliero nella Sierra Maestra a Cuba e uomo politico, dopo la vittoria della Rivoluzione cubana, ministro, delegato all’Onu e in visita in vari paesi del Terzo Mondo. Sfogliamo un ampio album di immagini della sua infanzia, di bambino borghese, tranquillo, eppure insidiato da un’asma che non gli dà pace, che gli impedisce di diventare un forte giocatore di rugby. È un ragazzo amante delle letture, che a quattordici anni ha già affrontato Freud, dopo un’infanzia trascorsa sui capolavori della letteratura d’avventura, Verne, Salgari…

E molti sono i ritratti del guerrigliero combattente, che non cura, almeno apparentemente, l’aspetto esteriore; le figure di quell’icona che lancerà nel mondo, insieme ai Beatles, ai Rolling e a molti altri protagonisti dei Sixties, i capelli lunghi, l’abbigliamento casual o militare e molti altri atteggiamenti esteriori che in lui avevano le ragioni del viaggiatore veloce e del combattente.

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Che Guevara con sua figlia Aleida a Sant’Andres,1966.

Contro lo sfruttamento capitalista

Lo seguiamo, anche nel catalogo pubblicato dalle edizioni Pendragon, ricco soprattutto di immagini, mentre porta la guerriglia in Africa e poi torna a Cuba, in segreto, nel 1966, per trasferirsi in Bolivia e cercare di far insorgere gli sfruttati. Cambia radicalmente il proprio aspetto, si maschera da cinquantenne (nato nel 1928, aveva meno di quarant’anni), rade i capelli e la barba, si traveste insomma da affidabile borghese. Poco dopo, nel centro dell’America Latina, lo ritroviamo con il suo aspetto da combattente, col mitra in pugno, nelle zone di guerriglia, con i compagni, fino a vederlo stravolto, simile, ebbene sì, a un Ecce Homo tra i soldati boliviani che lo hanno catturato in un burrone, la Quebrada del Yuro. La mostra e il catalogo ci risparmiano la terribile foto scattata al cadavere dopo l’assassinio e ritrae la manifestazione in Plaza de la Revolución a Cuba dopo la sua morte, con l’immagine di Korda che campeggia su un palazzo di otto piani come fondale di un mare di folla. Di fianco leggiamo un brano del discorso di Fidel Castro: “[…] Se vogliamo un modello d’uomo che non appartiene a questo tempo, un modello d’uomo che appartiene al futuro, dico di cuore che questo modello senza una sola macchia nel comportamento […] è il Che!”.

E a questo punto non possiamo non tornare alle note del curatore della mostra, riedizione di un’altra tenutasi a Milano nel 2017. Scrive: “Le sue sono sempre scelte consapevoli, frutto di un dialogo interno continuo. Con disciplina che si confronta coraggiosamente con le domande dalle quali i più rifuggono sgomenti. Il mondo è in preda al dolore e all’ingiustizia, cosa devo fare? Girare la testa o affrontare il problema? E come? Aiutarne uno come medico o tutti come rivoluzionario?”.

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Ernesto Guevara con degli amici prepara la motocicletta la Poderosa, 1951.

La mostra

All’entrata, dopo una cronologia della storia cubana dalla scoperta spagnola nel 1492 alle lotte di indipendenza, all’ascesa di Batista nel 1952, vediamo la bicicletta con motore Garelli con la quale Ernesto Guevara viaggiò per quattromila chilometri nelle provincie del nord dell’Argentina nel 1950. A fianco una foto che lo ritrae impegnato a pedalare, con la classica camera d’aria a tracolla che si usava nel ciclismo di un tempo. Al centro della sala, dove si possono consultare i libri virtuali della sua infanzia, adolescenza e gioventù, sta la moto Norton, la Poderosa II, con la quale si mette in viaggio in Sud America nel 1951. Precedentemente si era imbarcato come infermiere sui mercantili. In un altro viaggio, dopo la laurea in medicina conseguita nel 1953, va in treno in Bolivia, Perù, Ecuador. Visita lebbrosari e piantagioni e matura la convinzione che bisogna combattere con tutte le forze lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Raggiunge l’America Centrale con l’intento di arrivare in Guatemala per studiare la rivoluzione guidata dal presidente socialista riformista Jacobo Arbenz Guzmán e racconta tutte queste esperienze formative in alcuni diari. Nel 1955 è in Messico e là nel 1956 conosce Fidel, reduce dal fallito assalto alla caserma Moncada. I due si incontrano su comuni ideali e il Che si unisce alla causa della rivoluzione cubana. Con la nave Gramma sbarca a Cuba. I rivoltosi sono in gran parte sterminati. I sopravvissuti, tra i quali il Che, iniziano una lunga guerra di guerriglia che alla fine del 1958 li porta alla vittoria e il 1° gennaio del 1959 costringe alla fuga Batista, trasformatosi negli anni da riformista in spietato dittatore.

Ma la tranquillità non fa per un uomo innamorato del movimento, per conoscere, per cambiare le cose. Dopo aver partecipato alla riforma agraria nell’isola liberata e aver avviato un piano di industrializzazione, nel 1965 porta la guerriglia nell’Africa scossa da movimenti indipendentisti e rivoluzionari, in Congo. Dopo la sconfitta si sposta in Tanzania, poi a Praga. Trasvestito da uomo d’affari uruguayano raggiunge nel 1967 la Bolivia, dove cerca di scatenare un’insurrezione dei campesinos e dove trova la morte.

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Che Guevara in Congo, 1965.

Archeologia?

Sembra involontaria ironia avere ambientato questa ricca mostra in un Museo archeologico, a Bologna. La composizione del pubblico che la frequentava la mattina in cui l’ho visitata, composto in gran parte di over sessanta, confermava l’impressione che la vicenda umana, interiore, familiare, e quella pubblica, politica, di un uomo innamorato dell’idea di rendere uguali e liberi gli esseri umani, oggi, nei tempi delle nuove guerre imperialiste e dei nuovi massacri, del capitalismo finanziario predatore trionfante, sia pura archeologia.

Eppure l’archeologia è una delle discipline oggi affascinanti, perché cerca di capire gli strati materiali e ideali sui quali è edificato il nostro presente, i depositi, le scorie se volete, che in qualche modo continuano a nutrirci, o i semi che da qualche parte continuano a riposare sotto terra in attesa di germinare. Certo è una disciplina difficile da praticare: bisognerebbe evadere dal culto miope della memoria come sempre necessaria, da quella predisposizione che porta semplicemente alla nostalgia del ricordare. Bisognerebbe provare anche l’arte necessaria dell’oblio, non solo certo per evadere dall’avvilente presente, ma per esplorare in altri modi gli strati del tempo storico e personale, per attizzare le faville ancora brucianti sotto le ceneri.

La mostra oltre a narrare l’uomo e il politico lo colloca nei tempi agitati in cui visse: tra ingiustizie e rivoluzioni, tra oppressione e violenza rivoluzionaria, tra tentativi di esportare la possibilità di una vita diversa e i colpi di stato o le restaurazioni; i tempi del confronto tra i blocchi, della minaccia nucleare e dei tentativi di trasformare la vita almeno in qualche parte del mondo particolarmente insidiata, anche se magari destinati al fallimento.

Una parte centrale del percorso dell’esposizione allinea pannelli, immagini, date, volti, fatti, per ricostruire un pezzo di storia del mondo dal 1950 al 1967. Riemergono figure ed episodi storici dimenticati o mai conosciuti, specie dai giovani, i quali poco vengono avvicinati alla storia e che per essa spesso mostrano uno scarso interesse, tanto siamo stati convinti che solo il presente abbia un senso. Allora l’archeologia acquista senso.

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Che Guevara prima di morire in Bolivia,1967.

Duri, senza mai perdere la tenerezza

Scorrere la vicenda di Ernesto Che Guevara, per lampi personali, per visioni di scelte totali, per contestualizzazioni in una particolare temperie mondiale, può ancora suggerirci qualcosa, scavare in qualcosa di profondamente stratificato di là della nostalgia di chi ha vissuto almeno i resti di quei momenti, nutrendosi dei fulgori o delle scorie del mito?

Forse. Se siamo capaci appunto di comprendere il mito, e la sua influenza sui costumi del suo tempo e i riflessi su quelli successivi, e nello stesso tempo di distaccarcene. Se riflettiamo sulla domanda cruciale: valeva la pena sacrificare una vita in nome di ideali? Se lo facciamo con le parole della sua ultima lettera alla moglie:

Mia unica al mondo:
Furtivamente ho rubato dalla credenza di Hickmet [sic]
Questo unico verso innamorato, per farti sentire l’esatta
Dimensione del mio amore.
Eppure,
nel labirinto più profondo della conchiglia taciturna
si incontrano e respingono i poli del mio spirito:
tu e TUTTI

Questa mostra immersiva ed esplicativa ha il merito di far tornare a pensare a quel ragazzo alle soglie dei vent’anni, prima della barba, del basco, del mitragliatore, del Cohiba, steso con sguardo lievemente accigliato sul balcone di casa a guardare il cielo e il futuro o forse a scrutare dentro sé stesso; a quel giovane studente di medicina impegnato a metter in moto la Norton, per partire per un viaggio misterioso, entusiasmante, a cercare di dare corpo ai bisogni e ai sogni in un’avventura radicale dentro l’umano.

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Autoritratto a Buenos Aires, 1951.

La mostra, ideata e realizzata da SIMMETRICO Cultura, è curata da Daniele Zambelli, Flavio Andreini, Camilo Guevara e Maria del Carmen Ariet Garcia, con una colonna sonora originale composta da Andrea Guerra. È prodotta da Alma e dal Centro de Estudios Che Guevara, il cui archivio è riconosciuto patrimonio di interesse “Memoria del Mondo” dell’UNESCO nel 2013, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, l’Università IULM e il Settore Musei Civici | Museo Civico Archeologico Bologna, con il patrocinio del Comune di Bologna.

La realizzazione del progetto ha visto la stretta collaborazione della moglie di Che Guevara, Aleida March, e del figlio Camilo Guevara, scomparso nel 2022, a cui l’intero progetto espositivo è dedicato.

Dal 27 marzo al 30 giugno 2025 al Museo Civico Archeologico – Via dell’Archiginnasio 2, Bologna; lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì ore 10-18, sabato, domenica e festivi 10-19 (martedì giorno di chiusura).

CATALOGO: ERNESTO CHE GUEVARA: tú y todos, (edizioni Pendragon). Web

L’ultima fotografia mostra il Che in Sierra Maestra, a Cuba, nel 1958. Tutte le immagini provengono dal Centro de Estudios Che Guevara.

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