Il fascino delle attrici
Ombre che hanno riempito i palcoscenici. Con i loro empiti, trasalimenti, silenzi, passioni hanno acceso il cuore di spettatrici e di spettatori, contribuendo a svecchiare l’immagine della donna, a svincolarla dagli stereotipi tradizionali di moglie, madre, di devota titolare della cura. Ombre svanite, con gli applausi entusiasti, nel tempo, che qualcosa hanno lasciato nell’immaginazione, nella società, nel nostro Dna.
Sono le attrici dell’Ottocento, personalità spesso dirompenti, che cercano di staccarsi da una condizione che le pone in inferiorità sociale, che trasformano il fascino in dono delle proprie vite. Spesso sono capocomiche, impresarie delle loro compagnie. Operano scelte di repertorio, cercando di svincolarsi per quanto possibile dalla necessità di piacere a tutti i costi a ogni tipo di pubblico. Oppure immettono, anche in personaggi tradizionali, qualcosa di nuovo, di diverso, che annuncia tempi mutati e una nuova considerazione di loro come donne.
I nomi? Sono Carlotta Marchionni (1796-1861), Adelaide Ristori (1822-1906), Giacinta Pezzana (1841-1919), Eleonora Duse (1858-1924). Esse si staccano da un panorama fatto comunque da interpreti volitive, spesso acclamate, portatrici, ognuna, di caratteristiche originali.
Laura Mariani ricostruisce la storia di queste quattro dive, districandosi tra documenti storici e biografie, lettere e testimonianze, nel tentativo di fermare l’arte effimera dell’attore, ancorando le loro vicende a trasformazioni – desiderate, propugnate, causate da loro stesse – della condizione della donna in quel secolo di passaggio tra antico regime e modernità in cui il teatro riverbera echi nel sociale.

Laura Mariani ha dedicato libri al travestirsi in ruoli maschili di Sarah Bernhardt e Colette. Ha raccontato l’arte di Ermanna Montanari e la storia di Pina Patti, pittrice di fondali per il teatro dei pupi della famiglia Cuticchio. Ha analizzato e pubblicato molte lettere di Giacinta Pezzana. Insegna “Storia dell’attore” al Dams di Bologna, impostando i corsi in gran parte sulla storia delle attrici. Ora ha pubblicato un nuovo libro in cui affronta la questione del teatro al femminile e del femminile nel teatro. L’Ottocento delle attrici. Da Carlotta Marchionni a Eleonora Duse (Viella, con ricco corredo iconografico) è uno studio che si svolge tra il Congresso di Vienna, la Prima guerra mondiale e l’ascesa al potere del fascismo. Ha per oggetto le interpreti di teatro come donne normali e straordinarie. L’autrice nell’introduzione spiega così: “Le attrici sono persone sorprendenti, in bilico fra luce piena e ombra, fra esibizione e mistero, fra padronanza del corpo e insicurezza sociale: in modo contraddittorio e a loro spese mettono in crisi i ruoli tradizionali”.
Ha presentato il volume martedì 29 aprile a Bologna presso l’Oratorio di San Filippo Neri con l’introduzione di Elena Di Gioia all’interno della rassegna Con le donne, organizzata da Mismaonda. Con lei sul palco c’erano tre attrici d’oggi, di differenti generazioni, con diverse esperienze: Francesca Mazza, artista formatasi con Leo de Berardinis, insignita di recente di un nuovo premio Ubu per l’interpretazione della Ferocia di VicoQuartoMazzini dal romanzo di Nicola Lagioia; Ermanna Montanari, collezionista di Ubu, una delle anime del Teatro delle Albe; Ermelinda Nasuto, più giovane, che spesso lavora con quella ‘guastatrice’ emozionale che è Licia Lanera. È stato chiesto come queste attrici del passato parlano ad artiste di oggi, se parlano. Certo, sicuramente, è stata la risposta, articolata in tre emozionanti interventi. Montanari ha commentato quattro foto contenute nel volume, scavando dietro l’immobilità delle pose, spesso realizzate in studio, riconducendo quelle vite di scena alla condizione delle donne di teatro d’oggi. Mazza ha parlato della condizione di attrice scritturata in compagnia, mentre Nasuto ha sviluppato il suo discorso sull’attuale situazione partendo da una foto di Giacinta Pezzana, artista complessa, come vedremo. Il passato parla al presente e può aiutare a illuminarlo, in un lavoro profondamente cambiato nel Novecento, ma con tratti espressivi e strutturali che pure in parte persistono.

Il libro si articola in due parti: una prima sulle artiste (e le spettatrici) nell’Ottocento, un secolo di transizione che consente alle primedonne di acquistare sempre maggiore fascino e consapevolezza, fino ad assumere ruoli di capocomicato. Si presenta come prima parte di uno studio sulle attrici che sarà completato con un volume sul Novecento.
Il percorso nelle questioni teatrali dell’Ottocento è anche un lavoro approfondito sulla socialità e sulla nuova importanza che assumono la questione femminile e quelle di genere. Le vite delle attrici si svincolano dalla prigione della casa e del matrimonio, fornendo modelli culturali alternativi di possibile immaginazione e trasformazione sociale. Scrive Mariani: “Credo che in nessun altro campo le donne abbiano compiuto un cammino tanto significativo e visibile passando dall’esclusione al protagonismo e persino all’esercizio del potere”. Nello stesso tempo mette in rilievo la difficoltà di vite che spesso mal conciliano l’arte con gli obblighi della maternità, con i cicli del corpo, con i doveri familiari.
“In questo quadro – ancora Mariani – il teatro resta un luogo di trasmissione di idee e modelli, un momento significativo nella vita sociale delle associazioni emancipazioniste, al pari di quanto avviene nel movimento operaio e socialista”. E le vite delle attrici considerate, oltre che modelli artistici o di abilità imprenditoriale, per cucirsi sulla pelle la propria carriera e rendere possibili le proprie azioni e scelte, sono considerate come momenti della lotta di emancipazione delle donne, in un libro che congiunge teatro e politica, teatro come meraviglia, fascino e pedagogia, spesso scartando dalla scena per entrare nelle vite private, nella necessità di creare momenti di educazione per le giovani attrici, di maternage o sorellanza.

La seconda parte del volume analizza le storie di quattro dive di quel secolo, capaci di rinnovare la scena. L’autrice parte da Carlotta Marchionni, che nel 1815, diciannovenne, interpreta Francesca da Rimini di Silvio Pellico, testo che fa spiccare il volo al romanticismo teatrale, rendendo il personaggio femminile (e l’attrice che lo interpreta) il nodo drammatico dell’opera. L’attrice dialoga con gli esponenti del circolo romantico del “Conciliatore”, contribuisce ai cambiamenti del testo, inizialmente criticato da Ugo Foscolo, fino a cucirselo addosso e a decretarne il successo. Mariani sottolinea come quella pièce “coglie lo spirito dei tempi per l’acceso patetismo e per gli accenni patriottici, pur nell’osservanza del perbenismo borghese e delle convenzioni drammatiche di ascendenza aristotelica”.
Marchionni ne fa opera popolare, “legata ai tormenti interiorizzati dell’amore colpevole”, con poesia ricca di silenzi, facendo esplodere l’amor cortese “in passione amorosa e gelosia incontenibili”. L’artista, inoltre, si distacca dal contesto delle figlie d’arte delle compagnie di giro, quale pure era per nascita, da tutte le miserie di una condizione che spesso, a torto o a ragione, veniva assimilata alla prostituzione. “Si propone come vergine e santa prima che come attrice; in realtà mette al centro gli aspetti artistici, sceglie il nubilato e gode dell’appoggio della madre e della cugina; partecipa alla vita culturale e politica e anima salotti; è tutt’altro che inesperta degli affari e li gestisce con carisma e oculatezza” Conclude Mariani: “Diventa l’effigie del Romanticismo nascente […] né manca lo sguardo al femminismo”.

Segue un ritratto di Adelaide Ristori, “attrice-mondo”, direttrice di compagnia e manager, famosa per aver portato il teatro italiano in tutta Europa, in America e perfino in Australia, utilizzando campagne stampa e pubblicitarie in modo moderno. Va in scena dai primi anni di vita e poi sposa un nobile, superando l’ostracismo dei genitori di lui. Recita districandosi tra i parti e le morti di due figli su quattro: “non è facile essere Prima donna, capocomica di fatto e madre e nessuna pratica il nomadismo come lei, dovendo per di più conciliare il disordine e gli imprevisti di una compagnia viaggiante con il decoro e gli obblighi imposti dal titolo nobiliare”.
Attrice di grande emotività, interpreta eroine e regine, da Mirra a Elisabetta d’Inghilterra, da Giuditta a Maria Stuarda e Maria Antonietta, da Lady Macbeth a Medea, da Mirra a Fedra. In continua concorrenza con il melodramma, che trascina i pubblici, questi artisti “fanno parlare il corpo con soluzioni sorprendenti e con dispendio di sudore; mettono al centro il personaggio e l’interpretazione senza preoccuparsi della fedeltà accademica al testo”. Spesso alterano le scritture di autori come Shakespeare, per ricrearle scenicamente e suscitare la reazione appassionata del pubblico.
Ristori, in più, è devota alla causa dell’unità d’Italia, ammiratrice della monarchia e di Cavour e in certe occasioni sua ambasciatrice durante le trionfali tournée europee. Per lei è importante la varietà del repertorio e la moralità delle opere, per cui per esempio sceglie di non calarsi nei panni della semi-prostituta Margherita Gautier della Signora delle camelie. Sceglie “donne-mondo capaci di parlare ai pubblici internazionali e di porsi all’altezza della sua immagine pubblica”. Mariani prova a ricostruirne l’arte, sottolineando, sulla base di numerosi documenti, come alla passionalità emotiva si colleghi spesso una consapevole capacità di distanziazione, in un controllo formale sempre attento. E le sue scelte di repertorio sono sempre a favore di “figure mitiche o storiche, non donne borghesi in abiti contemporanei”.
Ritiratasi a sessantaquattro anni, è la prima attrice a scrivere un libro di ricordi, che si accosta alle moltissime lettere e a vari altri scritti, come fonte di prima mano sul suo teatro e sul mondo scenico ottocentesco.

Giacinta Pezzana segna il passaggio dal romanticismo al naturalismo, con prese di posizione nette per l’emancipazione della donna, attuate in relazione con un ambiente intellettuale femminile vivacissimo, che arriva fino alla giovane Sibilla Aleramo. È mazziniana e esplicitamente emancipazionista.
“Nella sua vita come nel suo teatro dominavano l’umanità e l’impegno: puntava a ‘un’arte pel cuore’ destinata al popolo e basata su questo ‘re dei muscoli’ che preesiste al comportamento e oscuramente lo domina, un motore di espressivismi anche in forma di azioni fisiche, un organo dotato di ‘memoria’”. Ebbe una carriera di alti e bassi, di successi e cadute angosciose. Si sente meno grande della Ristori e si rifugia nel teatro dialettale. Si invecchia, si imbruttisce, per esempio in Teresa Raquin di Zola, nel 1879, recitando accanto all’attrice del futuro, la giovane Duse. Abbandona le scene e si ritira in Sicilia, seguendo l’amante; poi torna in compagnia per motivi economici. Recita all’estero, poi di nuovo in Italia, dibattendosi tra spettacoli di routine e il sogno di un ‘altro’ teatro.
Scandalizza cercando di interpretare Amleto, invecchiandosi nella parte di Teresa Raquin, progettando recital danteschi che sono antesignani degli one woman show, in cui si sarebbero intrecciati versi di Dante e commenti critici. Compone un numero enorme di lettere, nelle quali Mariani vede una sorta di “teatro mentale”. Si impegna nella lotta per l’emancipazione della donna e nell’assistenza a ragazze giovani e a prostitute.

L’ultimo capitolo è dedicato a Eleonora Duse, la divina, che precorre il teatro del Novecento e la regia, con il suo piglio continuamente in cerca di artisticità. Direttrice di compagnia, la sua recitazione è fratta, piena di silenzi, di pause, di slanci, di parole sussurrate o enfatizzate, “azioni incongrue e pose quotidiane, ritrosie e richiami erotici”, di momenti emotivi che superficialmente la fanno identificare come interprete della nevrosi moderna. Di enorme presenza scenica, usa in modo anticonformista il suo potere seduttivo, supplendo con il fascino magnetico al difetto di bellezza secondo i canoni correnti.
È Nora in Casa di bambola di un nuovo drammaturgo, Ibsen, segnando con silenzi devastanti lo stacco tra la vita nella bambagia riservatale dal marito e il disgusto che la porterà al distacco dalla famiglia. Porta in scena in Denise, scritto per lei da Dumas figlio, la storia della morte del figlio illegittimo nato morto. Impegna il suo carisma per le altre donne, mettendo sempre al centro della scelta dei suoi personaggi le questioni d’amore. Ama Arrigo Boito e Gabriele D’Annunzio, e con questo progetta un teatro di poesia.
Si ritira dalle scene per molti anni e fonda una Libreria delle Attrici, che avrà poca vita: un progetto utopico di luogo di sosta, di ascolto, di confronto. Recita in un film modellato su di lei anziana, Cenere, dal romanzo di Grazia Deledda, ancora visibile su YouTube (qui). In vecchiaia torna in teatro e muore durante una tournée negli Stati Uniti nel 1924.
Il suo repertorio “non è fatto di regine ma di donne che amano, soffrono, sbagliano, lottano si interrogano, sognano”. Il suo è uno sguardo (un corpo, una voce, un’intensità) che apre le porte alla donna e all’attrice del nuovo secolo.
L’ultima immagine, di Alice Boughton, raffigura Eleonora Duse nel 1923, Venezia Fondazione Cini, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Archivio Duse.
Laura Mariani, L’Ottocento delle attrici. Da Carlotta Marchionni a Eleonora Duse (Viella, pp. 276, euro 28, con ricco corredo iconografico).
