I fantasmi del vecchio sud sotto nuove spoglie / Jesmyn Ward. A casa dopo l'uragano

10 Agosto 2019

Bois Sauvage è il genere di posto da cui i turisti girano alla larga. Un pugno di case sul delta del Mississippi flagellate da miseria e uragani, dove il futuro è un lusso e il divario tra bianchi e neri somiglia a un precipizio. Eppure Jesmyn Ward, afroamericana, unica donna a vincere due volte il National Book Award, in un breve giro di anni è riuscita a farne uno dei luoghi più frequentati dall'immaginario americano. 

Inutile cercare Bois Sauvage sulla carta geografica, anche se è facile immaginarla in DeLisle, dove Ward è cresciuta e di recente ha fatto ritorno. Come la contea di Yoknapatawpha immaginata da William Faulkner, cantore ineguagliato del Mississippi, Bois esiste solo nel reame della fiction – terreno gravido di storie che hanno il sapore inconfondibile della realtà.

Non per caso NNEditore che ha pubblicato in italiano i due libri di Ward vincitori del più prestigioso premio letterario americano – Canta, spirito, canta (239 pp.) da poco in libreria e Salviamo le ossa (316 pp.) – li ha raccolti sotto la dicitura Trilogia di Bois Sauvage

Come Faulkner, di cui molti la considerano l'erede, Jesmyn Ward affonda il racconto nelle pieghe della sua terra. Piega la scrittura al parlato locale, distilla frasi dal ritmo ipnotico e sul filo di incalzanti flussi di coscienza svolge il presente in costante controcanto con il passato. 

A fare la differenza è la prospettiva. Faulkner è stato testimone del tumultuoso passaggio dal vecchio ordine schiavista alla battaglia per i diritti civili. "Se vuoi sapere qualcosa delle dinamiche del Sud, delle relazioni interpersonali nel Sud dal 1847 a oggi, non vai dagli storici, nemmeno dagli storici afroamericani. Vai da William Faulkner e Robert Penn Warren", sosteneva Ralph Ellison, autore di L'uomo invisibile

 

Ward, 42 anni, matura invece lungo una traiettoria che dal disastro dell’uragano Katrina passa per il movimento Black Lives Matter, il massacro suprematista all’Emmanuel Church di Charleston e il rally neonazista a Charlottesville. I fantasmi del Vecchio Sud le si presentano sotto nuove spoglie: nelle pratiche di ordinario razzismo sopravvissute allo schiavismo, nelle politiche carcerarie e sociali, negli estremismi dei white suprematist. Non si può permettere le caute aperture né le ambiguità di Faulkner. Sono altri tempi. Soprattutto, è la sua storia – il suo mondo e quello della sua famiglia. 

DeLisle, dov'è cresciuta, è stato uno dei primi insediamenti francesi in terra americana conosciuto come La Rivière des loups. Secondo il Census Bureau, si allarga su un'area di 13,8 chilometri quadri per un totale di 1147 abitanti. L'umidità si taglia con il coltello e d'estate le temperature sono da collasso. 

Il Golfo del Messico, poco più a sud, promette refrigerio e minaccia uragani. New Orleans, dove la vita è una festa, è a un’ora di distanza. Per raggiungere Biloxi e i suoi casinò basta mezz'ora. DeLisle-Bois Sauvage rimane però un universo a sé. All’estremo sud dello stato più povero d’America, è una sacca di povertà estreme e marginalità, droga, armi facili, razzismi. 

Eppure è qui che Ward trova la sua matrice creativa. La sua famiglia, come tante, vive di food stamp; il padre alleva pitbull per i combattimenti di cani e finisce per risposarsi; la madre, che alla sua nascita ha 18 anni, lavora come domestica. "Forse ero cieca alla mia povertà – scrive l’autrice su The Atlantic – perché era così onnipresente da diventare invisibile. Da bambina, vivevo nella casa di mia nonna con i miei genitori, fratelli e la nostra famiglia estesa. Tredici di noi si dividevano cinque camere da letto (una era in origine la stanza da pranzo)". 

 

"Mia madre – continua – dice che non eravamo mai affamati ed è vero. Avevo più di quello che i miei nonni e mia madre avevano avuto da giovani. Credo fosse la fame dell'infanzia, il bisogno di carburante per crescere, ma talvolta era accecante”.

È un pezzo d’America, DeLisle, dove la miseria è una sorta di stralunata normalità. Figlia dello schiavismo e del sistema di mezzadria degli anni che seguono la Guerra civile, "la povertà materiale è persistente, per la mia famiglia e per tutti i neri del Mississippi: aderisce alle generazioni, passa di nonna in madre in figlia come un tratto genetico – un naso curvo, orecchie a sventola o lentiggini. Va di pari passo con una certa povertà di immaginazione, di cos'è possibile, di cosa possiamo diventare". 

Da lì, il mondo è sempre pronto a ricordartelo, se sei nero non vali niente e non vai da nessuna parte. "Un grande buio schiaccia le nostre vite e nessuno lo riconosce", scrive Ward nel memoir Men We Reaped in cui documenta le morti di cinque giovani afroamericani della sua cittadina, fra cui l'amatissimo fratello Joshua ucciso a 19 anni da un guidatore ubriaco.

 

 

Grazie ai datori di lavoro di sua madre, Jesmyn studia in una scuola privata. Unica bambina nera, figlia della donna che pulisce le case dei compagni, "magra e brutta", finisce nel mirino dei bulli come già alla scuola pubblica. Finché, come nelle favole, spicca il volo verso Stanford, California, università fra le più prestigiose d’America. 

La scrittura, anche se oggi suona strano, non è nei suoi programmi. "Ero cresciuta per essere una scrittrice, un'artista – scrive – ma ci sono arrivata malgrado la mia povertà, che insisteva che il mio desiderio di creare era frivolo, che quello era lo stato naturale della mia vita, che io e quelli come me devono sempre desiderare, devono sempre essere vuoti". 

È la morte del fratello a spingerla su quella strada: il loro mondo e le loro storie premono per uscire e trovare ascolto. Faulkner, ha raccontato Ward al Mississippi Book Festival lo scorso anno, le ha insegnato che in letteratura "anche i poveri e gli ignoranti possono essere complessi e guardare al mondo con intelligenza”. E su questa linea lei inizia a tradurre in parole un universo di solito consegnato alla memoria familiare o ai titoli di cronaca nera. 

 

L’autrice porta in scena il microcosmo della sua infanzia fin dal primo romanzo, Where the Line Bleeds, in cui Joshua e Christophe DeLisle, gemelli cresciuti in una cittadina sul Golfo del Messico, dopo le superiori si trovano a imboccare strade drammaticamente opposte. 

Il libro stenta a trovare un editore che arriva solo nel 2008. Nel frattempo Ward, sconvolta dall'uragano Katrina che ha devastato la casa dei suoi, ha smesso di scrivere e progetta di diventare infermiera. 

La pubblicazione la convince a ricominciare ed è un'altra storia di fratelli, bambini e adolescenti, Salvare le ossa – Salvage the Bones che nel 2011 le vale il primo National Book Award. Siamo a Bois Sauvage, dove la famiglia Batiste attende l'uragano Katrina. Mentre il padre barrica la casa e i fratelli badano alle loro faccende. la quindicenne Esch – sola ragazzina in un mondo di maschi, ossessionata dai miti greci – si scopre incinta. Quando infine il disastro li travolge, qualcosa sarà cambiato per sempre. 

Un senso di attesa attraversa anche il terzo romanzo Canta, spirito, canta – Sing, Unburied, Sing (National Book Award nel 2017) come il precedente ambientato nel delta e tradotto in italiano da Monica Pareschi. Sulla filigrana di Mentre morivo – As I Lay Dying di Faulkner seguiamo, nel flusso di coscienza dei protagonisti, il viaggio del giovanissimo Jojo e della sua sorellina Kayla al seguito della madre Leonie. 

Sono diretti a Parchman, il durissimo carcere nel nord dello stato, da cui è appena stato rilasciato il padre Michael, bianco, figlio di una famiglia che disprezza i bambini perché di razza mista. Mentre i traumi del passato assediano la mente di fantasmi e il confine tra realtà è immaginazione si confonde, la loro si rivela un’ordinaria tragedia dei nostri tempi.

 

Le storie di Jesmyn Ward sono così. Brutali e colme d’amore, disperate e liriche (“sono un poeta fallito”, dice di se stessa) con atmosfere che a tratti rimandano a Toni Morrison. Immerse nell'incanto di una natura selvaggia e rigogliosa, schivano la trappola del regionalismo per approdare a un valore universale. “Forse è questo il miracolo – scrive la poetessa Tracy K. Smith sul New York Times Book Review – che persone normali, dalle vite che è diventato così facile classificare in categorie come povero rurale, tossicodipendente, prodotto del sistema di giustizia criminale, possiedano il peso e il valore del mito”.

 

Nel 2010, dopo un decennio trascorso altrove, Ward ha scelto di tornare a vivere al Sud. Una decisione così controcorrente per una scrittrice che Time ha inserito fra le cento persone più influenti del 2018 da suscitare la curiosità dei media e dei lettori. 

Sono stati i suoi figli, ha spiegato, a riportarla in Mississippi, stato simbolo della violenza razzista. “Sto crescendo i miei bambini qui – scrive – perché gran parte della mia famiglia estesa, più di duecento persone, vive nella mia piccola città. Voglio che i miei figli capiscano cosa significa appartenere a una famiglia così grande, crescere in una comunità così intima”. 

La posta in gioco è alta e lo sa. Ogni giorno, dice, si domanda come sarà per i suoi figli crescere in un luogo che gli farà capire che valgono meno, li priverà di opportunità, li affamerà di futuro. Andarsene non è però la soluzione, sostiene, perché quel fazzoletto di terra in faccia al golfo è solo lo specchio del Paese. 

“Il sentimento razzista e misogino che incontro ogni giorno in Mississippi è la stessa convinzione che ha istituito il sistema economico e sociale di casta che ha permesso all’America di diventare America. […] Violenza razziale e asservimento accadono nelle strade di Saint Louis, sui marciapiedi di New York e nelle stazioni Bart a Oakland”. 

Contro questa marea montante non resta dunque che tornare a Bois Sauvage e lì vivere, amare, far sentire la propria voce. E ricostruire, ogni volta, con la pazienza testarda di chi conosce l’acqua, il vento e la potenza di morte degli uragani.

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