Speciale

Speciale Aqua / La bellezza dell'acqua

28 Agosto 2018

Nel suo ambiente, il pescatore appariva sicuro, quasi spavaldo. Aveva ormeggiato la sua piccola barca legando una cima ad uno degli anelli di ferro murati nei possenti plinti dell’antico ponte romano che scavalcava da secoli il Sabato in quel punto per permettere alla via Appia di entrare in Benevento.

Quando vide venire verso di lui i passeggeri che doveva traghettare sulla riva opposta del fiume, un uomo maturo e facoltoso, almeno a giudicare dal suo abbigliamento, accompagnato da uno più giovane, gli andò incontro, fiducioso.

«Benvenuti sul mio fiume» li accolse come un padrone di casa avrebbe ricevuto gli ospiti nella propria dimora. «Il posto in cui vi devo condurre non è distante e potremmo anche arrivarci a piedi ma preferisco portarvi con la mia barca. Anche se è piccola, c’è spazio sufficiente per tutti e tre» affermò con orgoglio. «Attendete qui, vado a recuperarla.» 

 

Entrò con i piedi nudi nell’acqua e vi diguazzò producendo piccoli vortici che gli spumeggiarono attorno alle caviglie. Liberata la cima, trascinò la barca a riva, vi fece montare gli ospiti e salì lui stesso a bordo quindi, aiutandosi con un remo sensile, la spinse in mezzo al fiume e incominciò a remare con robuste vogate in direzione della sponda opposta.

Il paesaggio fluviale era di una bellezza da mozzare il fiato e il passeggero più anziano lo contemplava, rapito. Lo aveva sempre visto da lontano, senza mai prestarvi attenzione, ogni volta proteso verso la meta da raggiungere. 

 

L’acqua era così limpida che sul fondale si riuscivano a distinguere i ciottoli multicolori. In quella stagione era poco profonda e lasciava affiorare un minuscolo arcipelago di isolette di sabbia e di pietre che rendevano pericolosa la navigazione ma il pescatore sembrava conoscere ogni secca e procedeva sicuro lambendo i bassifondi sabbiosi senza mai addentrarvisi. 

Il silenzio, punteggiato dal gracidare delle rane e dal frinire delle cicale, era rotto solo dal tonfo ritmato delle sue vogate. 

Un venticello lieve faceva stormire le fronde dei grandi salici dalle tortuose radici a fior d’acqua e quelle dei pioppi e degli ontani, inclinati a sfiorare la superficie del fiume, su cui la luce del sole si rifletteva in mille riverberi argentei.

Nella pace del primo mattino c’erano già nubi di moscerini e di zanzare che danzavano a pelo d’acqua e pesci che guizzavano fuori per catturarli, in un turbinio di bollicine e rondini e balestrucci che scendevano in picchiata per contenderglieli.

 

 


Un’efèmera dal corpo esile e dalle ali trasparenti andò a posarsi per un attimo su uno scalmo ma se ne rivolò subito via, mentre un gruppo di anatre selvatiche, intente a lavarsi placidamente il piumaggio tra i giunchi, messe in allarme dello sciaguattio dei remi, spiccavano il volo in uno scoppio di ali battenti.

Il passeggero si ritrovò a riflettere per la prima volta sul fatto che Benevento fosse attraversata da due fiumi che scorrevano pressoché paralleli ad occidente, per poi confluire, ad oriente, in un unico letto, quando il Sabato, suo tributario, si getta nel Calore. Era senza dubbio a causa della sua ricchezza d’acque che gli antichi fondatori della città avevano scelto di edificarla proprio lì.

Il pescatore, intanto, con poche vogate, aveva guadagnato l’altra riva. Remò per un breve tratto parallelamente alla sua sponda, quindi, fatta virare la barca, la inoltrò in un fitto canneto acquitrinoso. Fece perno sul remo, la accostò a un dolce pendio erboso e saltò agilmente a terra trascinandosi dietro lo scafo che issò sull’argine. Si chinò sul pagliolo, afferrò un capo della cima e andò a legarlo ad un grosso masso che affiorava tra le canne, assicurandovelo con un nodo marinaro. 

«Potete sbarcare» disse a questo punto ai passeggeri. «Signore» soggiunse rivolto al più anziano «sarebbe meglio lasciar scendere lui per primo, è più leggero. Tese la mano al ragazzo che la afferrò e saltò fuoribordo senza causare alcun beccheggio.

 

Quando fu la volta dell'uomo di mettere piede a terra, per poco non scivolò su una pietra men salda del previsto, affondò nel fango, ma per fortuna riuscì a mantenersi in equilibrio con l’unico danno di uno stivale inzaccherato. Si chinò per controllarlo e fu subito assalito dalle zanzare. Risollevata la testa, si guardò attorno. Si sentiva disorientato. Non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto il pescatore ad individuare con tanta sicurezza il punto esatto dell’approdo. A lui la riva appariva di un’indistinguibile uniformità.

Fu la sua voce a riscuoterlo: «Si va per di qua» stava, infatti, dicendo questi, mentre si inerpicava sul breve pendio sciabolando la lama del suo lungo coltello per aprirsi un varco tra i grovigli di rovi e di ortiche. 

Al diguazzare dei loro piedi nell’acquitrino, alternati dai sibili cadenzati del machete improvvisato, faceva da sottofondo soltanto l’incessante ronzio delle zanzare che li seguivano senza dar loro tregua.

Era da poco trascorsa l'alba di un mattino d'estate e l'afa incominciava a farsi sentire. L’uomo si deterse la fronte sudata e tenne dietro controvoglia ai passi svelti del pescatore che avrebbe preferito fossero più lenti per potersi ancora beare della bellezza dell'acqua.

 

Questo breve pezzo dedicato all'acqua del fiume Sabato è tratto dal romanzo storico, I mercanti bizantini scomparsi, edito da Italia Medievale. 

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