Marsiglia, il cuore malato delle città
È una calda mattina di luglio nel Vieux Port di Marsiglia dove allo storico caffè La Samaritaine, incontro il regista Robert Guédiguian, marsigliese di nascita ma con un cognome di origine armena. Parliamo, naturalmente, di cinema, del suo nuovo film che inizierà a girare in settembre, soffermandoci però sulle trasformazioni della città-metropoli che videro al centro del grande business della cosiddetta “rigenerazione urbana” (foglia di fico che nasconde ogni sorta di speculazione) il quartiere portuale dei vecchio docks di fronte alla strada sopraelevata d’ingresso alla città, dove il regista, nato nel più lontano borgo costiero de L’Estaque, ambientò molti suoi film, in particolare uno dei suoi più significativi e intensi che riassume la poetica dell’autore, ossia La ville est tranquille, 2000. Di esso oggi resta ben poco. La vita che un tempo vi scorreva non esiste più. Il quartiere è diventato irriconoscibile con gli immensi docks a blocchi modulari di ben sette piani trasformati in spazi commerciali, raddoppiati sul fronte mare da un altro centro commerciale per un pubblico di massa, dotato di terrazza panoramica, e poi, in rapida sequenza, alberghi di catena e grattacieli delle forme più bizzarre, più strane da far impallidire il miglior post-modernismo. Perfino Le Panier, storico quartiere, formatosi su di un rilievo collinare negli ultimi tre secoli a ridosso del Vieux Port, ha quasi del tutto smarrito il proprio carattere popolare scaduto al rango di semplice colore locale animato dal solito numero in crescita di botteghe di abbigliamento, ristorantini e qualche angolo engagè per giovani alternativi scampato alla gentrificazione ormai inevitabile. Tuttavia la gauche marsigliese vi si ritrova a proprio agio in questo proverbiale, quotidiano mescolarsi ai turisti di passaggio…

Nelle parole di Robert colgo un profondo rammarico per la fine di un’epoca, di un mondo dove il lavoro, quello con la V maiuscola, in questo caso, dei lavoratori del mare, per citare il bel romanzo di Victor Hugo, tra gli autori, insieme a Honoré de Balzac, più amati da Guédiguian, a riprova del fatto che ogni suo film, con poche eccezioni, è il capitolo di una moderna comédie humaine.
Qui, oggi, è solo turismo. Nient’altro. Basti solo osservare lo stesso bacino del Vieux Port, assediato dal traffico e da una pletora di bar e ristoranti che ne totalizzano lo spazio a riprova del fatto che la visita ai luoghi turistici è un pretesto per attivare il rituale del cibo. Inoltre in molte città medioevali, come ad esempio, per restare in Francia, la bella Aix en Provence o la piccola Saint Paul de Vence, sulle colline di Nizza, ma potremmo dire anche di Arles in Camargue o nella splendida Uzès (una piccola città occitana che in Italia è quasi sconosciuta), piazze, strade, vicoli vengono ormai monopolizzati da attività di ristorazione, botteghe di vestiti e agenzie immobiliari, quasi che la quotidianità dei loro abitanti fosse temporaneamente bandita. Si può perfino affermare che l’immenso lascito storico, artistico e architettonico europeo dei secoli passati, anche nelle città di più nobile sedimento come Roma, Praga, Firenze, Milano, Siena e una moltitudine di città minori sparse un po’ ovunque, oggi sia ridotto alla stregua di una quinta, di una scenografia inerte e senz’anima. Quanto alla Serenissima, la fuga degli abitanti dalla città storica verso la terraferma, genera una sorta di deserto lagunare nel mezzo di splendide architetture, calli, ponti e canali la cui universale celebrazione oggi è fonte di sottile inquietudine. Si direbbe, allora, parafrasando Milan Kundera, che la vita è altrove…

Il caso di una metropoli come Milano è paradigmatico di una metamorfosi da città orizzontale a città verticale, su un irraggiungibile modello newyorkese. Si inventano nuovi quartieri, si erigono templi high-tech al grande capitale che ha il volto di società multinazionale, grandi gruppi bancari e assicurativi, diffondendo ovunque l’aura del business o del consumo strettamente intrecciato al tempo libero. È l’apoteosi epicurea del mercato, laddove il riferimento al filosofo greco riflette un edonistico consenso di massa. A Praga, dove ho vissuto nei primi anni del cosiddetto post-comunismo, la trasformazione dei suoi quartieri storici in un unico museo a cielo aperto con punte raccapriccianti come l’uso di barche a pedali a forma di cigni nel bacino della Moldava, tra il Ponte Carlo e la Smetanova, ha conosciuto l’apice negli ultimi decenni. La bellezza sublime della città vltavina, appare inevitabilmente offuscata poiché da essa sono scomparsi il mistero e la sorpresa, elementi fondamentali per la sua comprensione……Perfino la figura di un grande praghese, lo scrittore Franz Kafka, è oggi ridotta a un brand con tutto ciò che questo comporta in cultura di massa e merchandising. Una presenza ossessivamente evocata nel cuore malato della città quasi a volerne, simbolicamente, rimarcare la drammatica assenza.

Il destino delle città vecchie (termine che preferiamo a quello di centri storici che ormai ha il sapore di un brand sempre più caro agli immobiliaristi), ma anche degli antichi borghi (un esempio su tutti quello di Civita di Bagnoregio o di Bagno Vignoni divenuto famoso grazie alle sequenze girate da Andrej Tarkovskij per il film Nostalghia, 1983), pare essere quello di immense scenografie turistiche dove si è chiamati a contemplare una bellezza che non c’è in quanto separata dal corpo vitale che l’ha creata. Risulta sempre più arduo, quindi, vederle trasformate in luoghi da consumare, uffici o residenze di vecchi e nuovi ricchi.
Sempre più crescente e perciò allarmante, il fenomeno dell’airbnb, ossia dell’ospitalità temporanea negli immobili privati, ha come effetto non immediato ma lento e progressivo, lo spopolamento dei quartieri storici di grandi e piccole città e il conseguente impoverimento del tessuto commerciale di prossimità. Quello che potrebbe essere definito come processo di sostituzione sociale urbana trova in tempi recenti terreno fertile perfino nelle grandi metropoli del Mediterraneo come Napoli, Genova o Palermo la cui complessa stratificazione sociale e una forte presenza di classi popolari e di migranti in aree storiche a torto consegnate al degrado, sembra garantire ancora una certa vitalità. Un esempio è dato dalla città di Oporto, la seconda del Portogallo. In essa è chiaro e visibile il dualismo tra aree urbane rigenerate con la sola finalità turistica (il quartiere del porto fluviale) e quelle della città vecchia il cui destino sembra essere un aut-aut: lasciarsi morire lentamente nel degrado ambientale, oppure accettare in toto la rigenerazione turistica, propria del pensiero unico globale.

Pare proprio impossibile anche soltanto immaginare l’ipotesi di una terza via, quella del rispetto per i manufatti, le persone e gli “spazi per la gente”, per usare una definizione dell’architetto americano Bernard Rudowsky. Ovunque, la velocità e la casualità sostituiranno la lentezza e l’osservazione. Le città non ci faranno più sognare quando anche il proprio genius loci sarà svanito per effetto del nuovo ordine economico…E’, dunque, con il tempo che si giocherà l’ultima partita, ma Robert Guédiguian non sembra preoccuparsene e infatti, continua a realizzare film nella città dove è nato e vissuto, nell’appassionato tentativo di rivitalizzare, almeno nella finzione cinematografica, quel microcosmo di storie e di destini, l’eterna commedia della vita reale che oggi sembra essersi allontanato dal cuore urbano d’Europa.
