Matteo Melchiorre. La banda della superstrada Fenadora-Anzù

30 Aprile 2012

Quali sono i limiti del dissenso? Questa è la domanda di fondo di La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi) di Matteo Melchiorre, classe 1981, già autore del notevole Requiem per un albero (Spartaco, 2005). L’occasione all’origine del volume è la costruzione di una variante stradale, nella subcittà di Feltre, che si impone con violenza su un paesaggio forse non di forte rilievo storico-artistico, ma denso di stratificazione storiche che l’autore mette bene in luce.

 

L’invenzione del libro, che per sua natura sarebbe un’inchiesta sulla distruzione del paesaggio veneto, è la leggera finzione narrativa in cui si immagina una banda di trentenni che si oppone con atti via via più violenti alla costruzione della strada.

Lo sfondo è il paesaggio veneto, quello della grande pittura rinascimentale, sfregiato dalla miriade di capannoni e dal dedalo di strade che lo attraversano. L’autore, storico di professione, è a suo agio nell’uso delle fonti che siano documenti d’archivio o la stampa locale che segue la costruzione della superstrada attraverso le dichiarazioni dei politici (leghisti), ancora prigionieri delle retoriche dei modelli di sviluppo degli anni del boom.

 

Il libro è anche, e si vede, il risultato di un’annotazione sul campo, di taccuini riempiti di liste, commenti, numeri che, dalla pura oggettività, slittano verso il surreale di tempi indeterminati, di atti farseschi in cui non si rintraccia più l’origine delle decisioni.

Ma il lievito dell’opera, la sua vera novità, è l’invenzione di una banda che ha un modello aureo ne I piccoli maestri di Meneghello e nella sua lezione di antiretorica, ma che, passati sessant’anni, scolpisce ora il suo immaginario ne I Goonies, film d’avventura hollywoodiano degli anni ottanta, quelli in cui sono cresciuti il protagonista e i suoi compagni.

 

I dilemmi morali della banda: si può agire in nome della collettività? Che cosa è un bene pubblico? Come far coincidere gli interessi di una minoranza con quelli della maggioranza, e, più prosaicamente, quali sono i limiti della legalità, sono quelli che attraversano, e che sempre di più attraverseranno, le battaglie civili dei nostri giorni, nel momento in cui si è frantumata definitivamente la funzione di rappresentanza della politica (anche locale)?

Non ultimo tra i meriti di Melchiorre (autore che prosegue, nell’attenzione verso il paesaggio, la linea veneta Comisso-Parise-Zanzotto) è l’uso di una lingua paratattica, spruzzata dal dialetto, densa di interrogative, che danno un ritmo incalzante a tutta la vicenda.

 

L’orecchio al parlato, alle sue costruzioni retoriche, all’uso dei gerghi delle varie parti in causa - c’è un personaggio femminile, Tiziana, un’amica della banda, che è una summa dei cliché anticonformisti di una sinistra dura a estinguersi - è una salutare lezione in tempi in cui i benpensanti, quelli delle giuste cause, rischiano di ottundere le nostre capacità critiche stordendoci di parole che risuonano a vuoto.

 

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