Quo Vado. Il bisogno di comico

17 Gennaio 2016

Il 2016 è iniziato nei cinema italiani con la travolgente affermazione ai botteghini del film Quo Vado?, diretto dal regista Gennaro Nunziante e interpretato dal comico Checco Zalone. Tale affermazione ha sorpreso perché sembrava impossibile che la coppia Nunziante-Zalone potesse ripetere il clamoroso exploit che aveva fatto registrare con il suo terzo film Sole a catinelle, uscito nel 2013 e diventato il film italiano di maggior successo in assoluto, con un incasso di quasi 52 milioni di euro e un pubblico di 8 milioni di spettatori. Il 14 gennaio invece i giornali hanno comunicato che Nunziante e Zalone hanno superato se stessi e molti ora si chiedono come ciò sia potuto accadere.

 

È noto come la comicità costituisca da sempre una risposta particolarmente efficace al bisogno di evasione dalla realtà. Un bisogno che si intensifica in periodi di crisi economica e culturale come quello attuale, ma che può probabilmente essere considerato una costante dell’esistenza nelle società capitalistiche. In uno dei saggi raccolti all’interno del volume Mickey Mouse, pubblicato nel 2014 dall’editore Il melangolo, Walter Benjamin ha collegato infatti tale bisogno al processo di meccanizzazione e a quello di industrializzazione. Poiché questi determinano negli individui uno stato psicologico di tensione e insoddisfazione, i primi attori comici come Charlie Chaplin e il Topolino creato da Walt Disney andavano considerati a suo avviso figure collettive dotate della capacità di fornire un sollievo agli esseri umani. Ha scritto infatti il filosofo tedesco che la «meccanizzazione ha anche creato la possibilità di un’immunizzazione psichica contro tali psicosi di massa mediante certi film, in cui uno sviluppo forzato di fantasie sadiche o di deliri masochisti può impedirne la maturazione naturale e pericolosa nelle masse. La risata collettiva rappresenta l’esplosione prematura e curativa di tali psicosi di massa. L’enorme quantità di avvenimenti grotteschi che vengono oggi consumati nel film sono un sintomo drastico dei pericoli che minacciano l’umanità dal fondo delle repressioni che la civiltà porta con sé. I film comici americani e quelli di Disney operano un’esplosione terapeutica dell’inconscio» (p. 67). Tali film costituiscono cioè una specie di preparazione per sopravvivere meglio alle conseguenze per gli esseri umani dell’esistenza nelle società moderne. Il riso dunque svolge per Benjamin una vera e propria funzione terapeutica.

 

Benjamin sembra anche identificare nei gesti meccanizzati di Chaplin e Topolino una specie di incorporazione del processo di produzione basato sulle macchine. È noto che prima di lui il filosofo Henri Bergson aveva riflettuto, nel celebre volume Il riso, su come si possa far ridere le persone utilizzando la capacità del corpo umano di portare a pensare a qualcosa di meccanico. Si riesce cioè a suscitare il riso trasformando un gesto o un’azione non comici attraverso un processo di meccanizzazione che li rende contraddittori rispetto a quello slancio vitale che caratterizza solitamente la condizione umana.

 

Bergson ha sviluppato queste riflessioni in un’era sostanzialmente pre-cinematografica, dato che le ha pubblicate in volume nell’anno 1900, ma non è un caso probabilmente che sin dall’inizio il cinema abbia cercato di sviluppare uno stretto legame con il mondo del comico. Arte per eccellenza del movimento direttamente derivata dalla rivoluzione industriale della seconda metà dell’Ottocento, il cinema infatti ha cominciato allietando le sue platee con brevi filmati comici. È a tale tipo di cinema che naturalmente pensava Benjamin.

 

L’arrivo del sonoro ha consentito lo sviluppo anche di una comicità di natura verbale. Quella comicità che ha particolarmente preso piede nella cultura italiana, dove prevalgono da tempo dei linguaggi comici popolari, immediati, rassicuranti e basati appunto sulle parole. Come ad esempio le battute tipiche dei film della cosiddetta “commedia all’italiana”. Il cinema di Zalone non se ne allontana. E il comico pugliese può piacere a molti anche perché ha una personalità non particolarmente caratterizzata e si presenta sempre come buono e disponibile. Inoltre, mette alla berlina soltanto degli stereotipi molto noti e considerati negativamente nella società: l’impiegato pubblico che non ha voglia di lavorare, i costumi tipici delle varie culture (gli italiani “mammoni” e i popoli del Nord efficienti e civili), ecc.

 

Nella cultura italiana e nel cinema di Zalone siamo dunque lontani da quella comicità di tipo ironico che ha preso vita nella cultura anglosassone e si è poi diffusa in tutto il mondo. Quella comicità cioè che è basata sull’allusione, sulla sorpresa e sulle gag visive. Che però costituisce anche un esercizio mentale particolarmente efficace, perché costringe il destinatario a un lavoro di reinterpretazione, di completamento cioè con la propria cultura e la propria esperienza, che porta a un più elevato livello di partecipazione e coinvolgimento.

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