Un volto, la salvezza

28 Aprile 2011

Il film di Chris Marker La Jetée (Francia, 1962) è la storia di un uomo segnato da un’immagine della sua infanzia. Sul molo dell’aeroporto di Orly, alle soglie della terza guerra mondiale, lo sguardo di un bambino si lascia attrarre dal sole fisso nel cielo e dallo scenario di un aeroporto praticamente immobile: come se il tutto fosse impresso in una fotografia. Il dettaglio però che rimarrà per lui indimenticabile è il volto di una donna, il suo primo piano, i capelli mossi dal vento, tuttavia immobili nella perpetuità del loro continuo movimento: come in un’immagine.

 

 

Niente di ciò che osserviamo, di quello che con una certa autonomia entra nel nostro sguardo, ci fornisce un segnale in grado di avvertirci che in noi si sta formando un ricordo. Solo più tardi, quando i nostri occhi saranno impegnati in altre visioni, si farà forse riconoscere come una cicatrice della nostra memoria, una scheggia capace d’incidere l’unicità attraverso cui il nostro sguardo vorrebbe posarsi sulla realtà che incontra. In fondo i ricordi non sono altro che questo: la fugacità immobile di un’immagine.

 

 

A terza guerra mondiale terminata la terra risulta totalmente contaminata dalla radioattività. Gli esseri umani sopravvissuti si sono rifugiati nei sotterranei delle città. In quei sottosuoli i presunti vincitori della guerra non fanno altro che compiere esperimenti: cercano di inviare virtualmente nel tempo cavie umane perché trovino una via di salvezza. Sperano, passando attraverso un pertugio nel tempo, di chiamare in aiuto il passato e il futuro per sopravvivere alla contaminazione invivibile di quel presente. Ma ogni volta la mente delle cavie umane, passando attraverso quel pertugio, sprofonda in un senso di vuoto senza ritorno. Nascere una seconda volta da adulti si rivela per tutti quanti uno choc troppo forte. Decidono allora di concentrarsi su dei soggetti con delle forti immagini mentali. Ossessionati come sono da immagini collocate nel proprio passato, potrebbero forse tornare integri da quell’immobile viaggio nel tempo.

 

 

Viene così scelto l’uomo di cui si racconta la storia, per l’immagine di quel volto femminile impresso nella sua mente fin dall’infanzia. Nonostante la forte sofferenza, l’uomo sembra infatti reggere allo sforzo dell’esperimento. Si rivela capace di estirpare da sé la morsa del presente e vedere immagini vivide tratte dal museo della sua memoria. Immagini che appaiono e si mischiano l’una con l’altra: una stanza, dei bambini, degli uccelli, il volto di una donna in un giorno di felicità. Appare infine la donna incontrata all’aeroporto di Orly. Lei lo accoglie senza mostrare alcun particolare stupore. Rimangono così, uno vicino all’altra, senza ricordi e senza progetti, presi in un puro presente salvato dalla totale mancanza di passato e futuro. Un presente immobilizzato dal solo gusto dei momenti che vivono insieme: segni scalfiti eternamente sul muro del tempo. Lei lo chiama “il suo spettro”. Accetta come qualcosa di naturale i passaggi di questo visitatore che con lei parla e ride, che le rimane vicino e tace, che l’ascolta e poi se ne va.

 

 

Queste continue proiezioni nel passato, in un passato mai vissuto, permettono ormai all’uomo di soffermarsi e muoversi virtualmente nel tempo senza dolore. Viene così deciso di provare a proiettarlo finalmente nel futuro, vero scopo dell’esperimento. Questo passaggio virtuale in un tempo a venire si rivelerà questa volta di breve durata. L’umanità sopravvissuta non potrà infatti negare al proprio passato i mezzi per la sua sopravvivenza. L’esperimento giunto così al suo termine lascerà l’uomo, cavia ormai del tutto inutilizzabile, ad attendere soltanto di essere eliminato. Lui però continuerà a tenere nascosto in sé un segreto: il ricordo di un tempo vissuto due volte. Una cicatrice visiva destinata a segnare definitivamente la sua memoria, così come la sua stessa illusione.

 

Anche gli uomini del futuro sono però in grado di viaggiare virtualmente nel tempo. Gli chiedono così di salvarsi unendosi a loro in quel tempo ancora a venire. L’uomo però rivolge loro un altro tipo di richiesta: chiede di essere inviato definitivamente nel passato. Di poter ritornare a quel momento della sua infanzia sul molo dell’aeroporto di Orly, dove il volto di una donna gli era apparso indimenticabile nell’immobilità di un’immagine. Forse lei era ancora lì che lo stava aspettando.

 

 

Proiettato di nuovo in quel momento della sua vita, nato una seconda volta al tempo, adulto ma con lo stesso sguardo di un bambino, la vede voltarsi nello stesso identico modo verso di lui. Stupito le corre incontro e davanti a quel volto immobile, rimasto immutato nonostante gli innumerevoli passaggi attraverso il tempo, si accorge che ciò a cui ha assistito non è altro che l’istante della propria morte. Un unico momento tenuto nascosto dentro di sé come un segreto, come la cicatrice di un tempo vissuto sempre almeno due volte: la vita.

 

 

 

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