Uomini ultimo atto

19 Febbraio 2016

Durante la detenzione in carcere, al giovane e irrequieto Bidi Cislaghi detto Mangusta capita di leggere l’autobiografia di un filosofo; impressionato, decide a propria volta di scrivere di sé. Può essere la svolta della sua vita? Che ne sarà di lui, quando sarà tornato in libertà? – Umberto, imbianchino emigrato a Milano da un paesino del Sud, frequenta l’accademia di Brera, diventa un artista, si sposa, ha una famiglia (anzi, due), viaggia, lavora, si approssima alla vecchiaia. Ma qual era la sua vera meta, ammesso che ne avesse una? – Il giovane Steve Green, dopo aver vissuto e lavorato a Parigi, è tornato a vivere con i genitori in un borgo sperduto dello Yorkshire. L’incontro con una coetanea italiana in visita potrebbe essere finalmente l’occasione per confidarsi con qualcuno. Saprà approfittarne?

 

Il nome di Anna Maria Carpi è legato soprattutto, e giustamente, alla poesia. Imminente è la pubblicazione presso Marcos y Marcos di un’ampia antologia della sua opera in versi, che fa seguito alla silloge tradotta in tedesco Entweder bin ich unsterblich (Hansen, Monaco 2015), che ha avuto un’accoglienza critica lusinghiera. Non rare sono però le sue incursioni nel campo della prosa. Dopo Racconto di gioia e di nebbia (Il Saggiatore 1995), E sarai per sempre giovane (Bollati 1996), Il principe scarlatto (Baldini Tartaruga 2002), Il mio nome era un altro. Due bambini dell'Est (Perrone 2013), e dopo la biografia di Heinrich von Kleist Un inquieto batter d’ali (Mondadori 2005), ecco, per i tipi di Moretti & Vitali, un trittico di racconti intitolato Uomini ultimo atto: tre storie imperniate su figure maschili molto diverse fra loro, còlte nello scorcio conclusivo della loro vita. La prima, Come non fossi mai stato, si svolge ai nostri giorni; nel carcere modello dove Bidi Mangusta attende il finepena non è difficile riconoscere la casa di reclusione di Bollate, ancora circondata dai campi (cioè poco prima dell’edificazione dei padiglioni dell’Expo). La seconda, Lo stop è a California, copre un arco cronologico maggiore, anche grazie agli inserti in cui il protagonista narra le proprie vicende di emigrante negli anni del boom economico; anche qui l’ambientazione è Milano e dintorni, con parentesi all’estero (ma non in America: California è anche il nome di una località della Brianza vicino al Lambro, all’altezza di Nibionno). L’ultima, Yesterday, è collocata invece negli anni Settanta, in un’Inghilterra che per tutti gli italiani era, allora, e a posteriori rimane, inscindibile dall’aureola dei quattro di Liverpool.

 

Anna Maria Carpi, Uomini ultimo atto

 

Tre personaggi assai differenti, dicevamo, ma accomunati da una serie di aspetti. Innanzi tutto una sensibilità culturale autentica quanto controversa. Un giovane dall’ingegno vivace, ancorché privo di istruzione, che si accende alla lettura di Ecce Homo di Nietzsche; un uomo di origini umili abitato da un talento artistico vigoroso e oscuro, del quale sembra sfuggirgli il senso profondo; un intellettuale più insoddisfatto che frustrato, che coltiva il mito eroico della battaglia d’Inghilterra (la grande offensiva della Luftwaffe respinta dalla RAF nell’autunno del 1940). In secondo luogo, una forte polarità tra introversione e estroversione: un’espansività disinvolta che cela recessi segreti, una disponibilità a comunicare che non scalfisce un’intima rocciosa riservatezza, una scontrosità quasi esibita, che si direbbe sempre sul punto di sciogliersi in una confidenza impossibile. E ancora: una tensione fra il desiderio e la paura di essere liberi, che fomenta la tentazione di costruirsi prigioni virtuali; un’inconfessata voglia di sottomissione, che ribalta l’aggressività inespressa in impulso autodistruttivo; una solitudine che si direbbe fatale, ineluttabile, quasi una predestinazione.

 

In tutt’e tre i racconti compare poi la figura sottilmente autobiografica di Giuna, che Bidi incontra come conduttrice di un laboratorio di lettura, Umberto come compagna di classe all’accademia, Steve come ospite della famiglia in quanto allieva di un’amica della madre che insegna inglese in Italia. Una presenza essenzialmente testimoniale, non decisiva dal punto di vista dell’intreccio, che funge da termine intermedio rispetto alla voce narrante (sempre esterna): uno sguardo attento, moderatamente partecipe, mai censorio, ma portatore di un grado di lucidità e di coscienza superiore rispetto a protagonisti maschili variamente smarriti e destinati alla perdita di sé. Giuna ascolta più spesso di quanto non parli, ma quando parla lascia il segno. Così in Stop a California: «Il fatto è, disse Giuna, che tu gli altri… gli altri li vuoi, li vuoi e poi non sai dove metterli. Amore, amore, e poi non lo sopporto. Lui la guardò male».

La narrazione è condotta con levità e maestria. Felice, in particolare, la leggerezza di inserimento dei discorsi riportati (l'omissione dei demarcatori del discorso diretto, virgolette o trattini, è prassi diffusa, ma il buon uso non lo è altrettanto). Questo vale soprattutto per i primi due racconti: nel primo hanno largo spazio i pensieri e i ricordi dei carcerati, nel secondo il protagonista rievoca la propria vita passata in una serie di flashbacks. Efficaci i momenti in cui la scrittura sembra concentrarsi, senza perdere scorrevolezza: la descrizione dei multipli in plastica di Umberto, il commento sulla nudità in Yesterday. Oltre alle affilate opinioni di Bidi Mangusta sul prossimo («quelle mele acerbe degli educatori», «quelle nuvolette rosa dei volontari», i compagni classificati in «sentimentali, eroici e bolliti»), spicca un’osservazione fulminante, proposta in forma interrogativa in Stop a California (ma l’intero passo merita di essere citato): «Una mattina che doveva andar via e si era alzato alle cinque, il silenzio nella corte della cascina gli aveva ricordato la Puglia e Serra Corvina e l’alba quando gli uomini, accostando la porta di casa dietro di sé, si avviavano al lavoro, e lui con loro, per i vicoli deserti, e il paese buio, e un primo vago chiarore che lontano lontano, in fondo alla piana, cominciava a sollevare un lembo della notte. Riudì i loro passi e, come le altre volte, fu come se quella marcia collettiva e i volti bui e le bocche sigillate di quei maschi adulti fossero state la vera vita. La felicità. Forse l’unica che avesse mai provato. Era perché felici si è soltanto all’inizio di qualcosa, o nel sentimento di un inizio?»

Notevole è anche la galleria dei personaggi secondari, dai detenuti (come Volpe o Sergio o’ brasileiro) alle tante donne che conosce Umberto. Più di tutti rimane impresso l’amico Cagli, per la singolare peculiarità di eloquio che consiste nel sostituire tutti i verbi diversi dagli ausiliari con il denominale blasfemo «diocanare» (genialmente tradotto in «diocanar» durante un soggiorno in Spagna). Non stupiscono, poi, le sporadiche emergenze poetiche. Alle mente di Giuna, non innamorata davvero di Steve, ma desiderosa di avvicinarsi al suo cuore, sovvengono questi versi: «O pigra giovinezza a tutto asservita, per debolezza hai perduto la vita». Ecco l’originale, dalla Chanson de la plus haute tour di Rimbaud (non sfuggano il cambio di persona e l’omesso distico finale della sestina): «Oisive jeunesse/ À tout asservie,/ Par délicatesse/ J’ai perdu ma vie./ Ah! Que le temps vienne/ Où les coeurs s’éprennent». Altre allusioni letterarie sono celate nei responsi della medium torinese alla quale si rivolge Umberto, del quale si ignora se leggerà davvero la copia dell’antico poema Mahabharata comprata in India. Ma il caso più rilevante è quello della poesia scritta in carcere da Bidi Mangusta («Se fossi un uomo certo potrei/ anche ascoltare gli altri…»). Chiunque abbia a che fare con detenuti ha potuto constatare quanto forte e diffusa sia l’inclinazione di scrivere versi, anche in soggetti poco più che alfabetizzati: a conferma del fatto che un certo uso della parola, un uso non contingente e immediato, non pratico, proiettato verso una dimensione comunicativa più stabile e ampia, rientra fra le esigenze umane elementari.

 

Un’ultima, non casuale corrispondenza riguarda i finali dei tre racconti. Compiuto – in maniera più o meno brusca e più o meno presagibile – il destino del protagonista, nell’explicit entra in gioco sempre, per un verso o per l’altro, il tema della vacanza. In generale i racconti non brevi, come i romanzi, tendono a terminare in tono minore, talvolta con effetti di dispersione o dissolvenza. Ma qui l’idea di «vacanza» acquista connotazioni aggiuntive: il vuoto lasciato, il conseguente senso di vanità. Forse anche le mancanze che lo hanno (almeno in parte) prodotto? Se dopo ogni ultimo atto la vita non può che riprendere, ci sono però sipari che più di altri legano la conclusione, e la perdita, all’omissione. Donde una nota di sommessa, ulteriore tragicità.

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