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La nave Stato

18 Ottobre 2022

Per quello che contano, anche le immagini fanno la guerra. Per quella vera servono armi il più possibile nuove, per quella combattuta con le immagini sembra vero il contrario: più sono dense di riferimenti al passato, meglio funzionano.

Tra i grandi manifesti della propaganda ukraina, come riferiva anche il “Guardian”, nelle periferie di Kiev è apparso questo manifesto basato su pochi colori, bianco e rosso in tre gradazioni.

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Ph Photo Amos Chapple.

Su campo bianco, il profilo di una grande nave che sta affondando. Senonché la merlatura dello scafo e l’albero maestro a forma di torrione rimandano a una cittadella fortificata: la nave è il Cremlino, e questa nave sta immergendosi nel sangue. La scritta in alto non va per il sottile (“nave da guerra russa va’ a farti fottere!”); ma è proprio l’imprecazione a rivelare che l’immagine sottostante ha una funzione propiziatoria, e questo grazie alla sua densità, molto più consistente di quanto non lascino supporre le soluzioni grafiche, tutto sommato semplici. Siamo davanti a un’allegoria dalla portata millenaria.

Il mare entra infatti nell’immaginario politico con la poesia della Grecia arcaica: la città-stato viene paragonata a una nave. Un frammento di Alceo (fr. 208a Voigt) accosta le lotte all’interno della polis ai sommovimenti di un’imbarcazione sorpresa dalla tempesta: 

“Non comprendo la direzione dei venti, 
da questa parte rotola un’onda, 
di là un’altra e noi in mezzo 
siamo portati con la nera nave, 
fiaccati dal violento turbine; 
l’acqua della sentina ricopre la base dell’albero, 
la vela è tutta un cencio trasparente, 
grandi squarci la solcano, le sartie cedono, i timoni [...]” (trad. di Bruno Gentili).

Non è la forma materiale della città a suggerire questo parallelo, ma la continua oscillazione dei rapporti di forza al suo interno, l’instabile equilibrio tra le sue componenti sociali ed economiche. Grazie anche all’autorevolezza di un passo della Repubblica di Platone, l’idea dello Stato come nave, del capo come timoniere, delle discordie sociali come flutti tempestosi, dei cittadini come passeggeri verrà ripresa innumerevoli volte e in diversi contesti anche in età moderna. Ed è naturale che questi accostamenti si siano prestati ad altrettante traduzioni iconografiche. 

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Guardiamone soltanto alcune: uno degli Emblemi di Andrea Alciati (1531, E. 43) mostra il vascello-Stato con le vele gonfiate da venti minacciosi. Circa cinquant’anni dopo, l’identificazione Stato-nave si manifesta nitidamente in un oggetto tanto raro, quanto strabiliante, eseguito da Hans Schlottheim per l’imperatore Rodolfo II (oggi British Museum). Alto circa un metro, il galeone metallico era provvisto di meccanismi che permettevano sia di simularne il movimento, che di funzionare come orologio; le ornamentazioni e i congegni andavano incontro alla curiositas del sovrano-collezionista, ma i personaggi sul ponte – l’imperatore affiancato dagli Elettori – ribadivano l’idea dello Stato come nave, una nave compatta e potente (i cannoni erano ben visibili).

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Una incisione di John Hancock (1646), invece, mette in scena i protagonisti della prima guerra civile in Inghilterra su un agitato tratto di mare: i monarchici annaspano tra le onde, mentre i parlamentari sono al sicuro all’interno di un enorme bastimento che vuol ricordare l’arca di Noè.

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Agli inizi dell’Ottocento, l’idea dello Stato come nave si sdoppia in quella della città-nave, come in Balzac:

Parigi non è forse un sublime vascello carico d’intelligenza? (...) La città di Parigi ha l’albero maestro tutto in bronzo, scolpito di vittorie, e per vedetta Napoleone [la colonna Vendôme]. Una nave che ha, sì, beccheggio e rullio, ma solca il mondo, gli spara dalle cento bocche dei suoi ponti, ara i mari della scienza, vi naviga a vele spiegate, grida dall’alto delle gabbie con la voce dei sapienti e degli artisti: «Avanti, marciate! Seguitemi!». Porta un equipaggio immenso che si compiace di pavesarla con nuove bandierine. Sono mozzi e monelli che ridono tra il cordame; zavorra di grossa borghesia; operai e marinai incatramati; passeggeri felici nelle cabine; eleganti guardiamarina, curvi sul parapetto, fumano sigari; poi, sul ponte, di comando, i soldati, innovatori o ambiziosi, son pronti ad attraccare a qualsiasi riva e, pur spandendovi vive luci, cercano una gloria che è piacere, o amori che vogliono oro (La Fille aux yeux d’or. La ragazza dagli occhi d'oro, trad. P. Masino, a cura di M. Bongiovanni Bertini, Torino 1993).

Negli anni Sessanta del Novecento, Saul Steinberg rinnova il paragone città-nave per la capitale degli Stati Uniti:

Washington è come un transatlantico, come il Queen Mary o il Queen Elizabeth. Vivevo a Georgetown, come in prima classe. La seconda classe? Gli impiegati statali. La classe turistica sono i turisti, e naturalmente i negri sono l’equipaggio che provvede a tutto per i passeggeri. Ognuno è a bordo per un viaggio di quattro anni, che è la durata di un’amministrazione. Ognuno vuol essere invitato alla tavola del capitano, anche se i meno fortunati mangeranno col commissario di bordo. Quando il viaggio si avvia alla fine, tutto peggiora: bagaglio, camerieri, facchini appaiono sul ponte, e il piroscafo viene ripulito per una nuova infornata di passeggeri (Riflessi e ombre, Milano 2001).

Oggi l’idea che la compagine sociale assomigli a un’imbarcazione si diluisce in alcune metafore che, nella parlata quotidiana, conservano ancora un sapore vagamente politico: “remare contro”, “essere tutti sulla stessa barca”, “tracciare la rotta”, “tenere la barra a dritta” (senza contare la “tempesta perfetta”).

Chi guida l’impegnativa imbarcazione della vita politica? Già nella poesia greca arcaica si sostiene la necessità di un bravo timoniere al comando della nave-Stato. Anche in questo caso le risonanze del motivo sono numerose. Del resto, come ha ricordato Monica Centanni, “nell’italiano ‘governante’ si è quasi totalmente oscurato il significato originario del greco κυβερνήτης, ‘timoniere’”.

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Ecco proprio un re-nocchiero in un’altra raccolta di Emblemi – il Nucleus Emblematum di Gabriel Rollenhagen (1611).

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Nel 1879, su una rivista satirica tedesca (“Kladderadatsch”), Bismarck è raffigurato saldamente “am Steuer”, al timone (in cui sono incastrati liberali, cattolici e conservatori). Agli inizi del Novecento, su una cartolina postale, il Kaiser Guglielmo II viene ritratto alla guida del “Seiner Majestät Yacht Hohenzollern”; la didascalia recita: “Il nostro timoniere. Il nostro futuro è sull’acqua”. 

Su una pagina del settimanale tedesco “Jugend” è invece la Morte che regge il timone del “russische Staatsschiff” (la nave dello Stato russo); la vignetta vuole commentare gli avvenimenti della rivoluzione del 1905 (si noti il pope che espone un’icona).

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Infine, un altro timoniere ancora, su un murale apparso pochi anni fa a Yalta (Crimea), ben prima dell’invasione dell’Ucraina.

 

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