Il West di Richard Avedon

1 Ottobre 2025

A Parigi la città della luce, del cinema e dove nacque la fotografia, una mostra alla Fondation Henri Cartier Bresson rende omaggio a Richard Avedon (1923-2004). Americano di New York, a ventidue anni inizia a collaborare con Harper’s Bazaar. La prestigiosa rivista di moda però non gli concede uno studio dove fotografare le modelle, così lui usa come location la strada, la spiaggia, i nightclubs, il circo. Sotto la protezione del direttore artistico della rivista, Alexey Brodovitch, Avedon diventa il principale fotografo del magazine. Dopo le polemiche per usare modelle di colore, si trasferisce a Vogue, dove resta per oltre venti anni. Tra le sue collaborazioni editoriali si ricordano quelle con The New Yorker e con la francese Égoïste.
Alla Fondation Cartier-Bresson va in scena la mostra In the American West a cura di Clément Chéroux. Nel 1979 l’Among Carter Museum of American West di Fort Worth in Texas commissiona al fotografo la sua visione sul West. Avedon trascorre i sei anni successivi, dal 1979 al 1984, viaggiando in 189 città degli stati di Arizona, California, Colorado, Idaho, Iowa, Kansas, Montana, Nebraska, Nevada, Nuovo Messico, Dakota del Nord, Oklahoma, Oregon, Dakota del Sud, Texas, Utah e Wyoming e fino in Canada. Effettua 752 sessioni fotografiche, realizzando 17.000 negativi con la sua macchina fotografica di grande formato 20x25 cm. 
 

k


Nel 1985 il museo texano mostra questa importante e monumentale opera iconografica sull’America che oggi si può ammirare anche in Europa. In Francia, tra il festival dei Rencontres de la photographie di Arles e la Fondation Henri Cartier-Bresson è possibile conoscere le opere dei maestri americani della fotografia. Cosa che non accade in Italia, purtroppo. Un altro aspetto riguarda la committenza. L’Among Carter Museum il cui focus è sulla storia del West, decide di investigare una parte del vasto territorio nordamericano con la fotografia. Nell’Ottocento erano le spedizioni geologiche a commissionare ai fotografi il resoconto dei luoghi attraversati, mentre in Europa, in Francia e Italia, l’interesse era documentare i monumenti, le chiese medievali, gotiche, rinascimentali e i resti del passaggio della civiltà romana nelle immagini di Edouard Baldus, Gustave Le Gray, Frederic Sommer e i fratelli Alinari. Chi nel XXI secolo potrebbe commissionare una ricerca fotografica su un’area geografica che, in modo introspettivo, ne ritragga gli abitanti nelle loro mansioni quotidiane? Questo lavoro di Avedon è molto americano come senso di appartenenza a un approccio e a una necessità di raccontare un modo di essere e di abitare un territorio di frontiera come il West. Un luogo di conquiste a discapito delle nazioni dei nativi, ma questo non è un soggetto del lavoro di Avedon. Lui è interessato a ritrarre l’America vera, reale. Questo suo approccio lo registra sulla lastra di grande formato, come la tela di un pittore, in cui il fotografo compone dei quadri di genere a tema ritratto. 

k

La scelta di avere lo sfondo bianco, neutro, è dettata dalla necessità di far emergere le figure di uomini, donne, adolescenti, obbligando lo spettatore a guardare le persone per quello che sono, con i loro difetti, con i loro vestiti sdruciti, sporchi. La macchina fotografica è un media democratico, non ha filtri come quelli dello smartphone che rende tutti più belli, luccicanti e sorridenti. Fotografare in grande formato, usuale per la moda, è una sorta di rito in cui il fotografo affiancato dai suoi assistenti studia la composizione dell’immagine, misura la luce dell’esposizione e poi scatta la fotografia. Un altro grande fotografo americano Walker Evans usava lo stesso formato di negativo per raccontare l’America povera e rurale dopo la crisi economica determinata dal crollo della borsa di New York nel 1929. Una committenza della Farm Security Administration, sotto la presidenza d Franklin D. Roosevelt, con il fine di ritrarre l’America con lo sguardo dei fotografi, oltre a Evans, Dorothea Lange, Russell Lee, Arthur Rothstein, Ben Shahn, Jack Delano, Marion Post Wolcott, Gordon Parks, John Vachon, Carl Mydans. Così, dal 1937 al 1942, i fotografi informarono la politica del reale stato dell’Unione, con particolare riguardo agli agricoltori che, più di altre categorie, soffrirono la crisi. Questa fu la prima grande campagna fotografica per raccontare l’America a cui ne seguirono altre ma più personali e necessarie da parte dei fotografi, come ad esempio ricordano i lavori di William Eggleston, Stephen Shore, Lee Friedlander, Robert Adams, che hanno ridefinito l’immaginario americano. Avedon si inserisce in questo contesto proprio con le fotografie in mostra a Parigi.

Durante il viaggio il fotografo americano sceglie accuratamente i soggetti di questa sua ricerca antropologica, non così diversa da come metteva le top model al centro della scena. Appunto una scena concepita come un set cinematografico, per la scelta della composizione delle figure solitarie o in gruppo che evidenziano una complessità stessa nel crearle. Come lui stesso ha dichiarato il suo lavoro è stato influenzato dal cinema di Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini e Fellini. Influenza che si nota nel modo in cui posiziona le luci per ritrarre le modelle.
Così nell’attraversare il West, invece di ritrarre le celebrità, modelle e politici, Avedon sceglie persone comuni, molte delle quali affrontavano difficoltà economiche e disagio sociale. Un disagio che la fotografia non enfatizza ma registra in maniera democratica e non ipocrita.
 

k


Avedon assunse la fotografa Laura Wilson per scegliere le location e insieme andarono a Sweetwater, sede del raduno annuale dei serpenti a sonagli per scegliere volti interessanti, accompagnati da due assistenti e dalla Deardorff, la grande camera 20x25. Durante il viaggio incontrarono minatori, cowboy da rodeo, operai dei mattatoi, baristi, vagabondi, custodi, cameriere di motel, terapiste. In Oklahoma trovarono rozzi petrolieri dall’aspetto malandato, in Colorado un fan club della cantautrice Loretta Lynn. A volte il gruppo viaggiava per una settimana, altre per un mese. Il paesaggio è assente ma è presente negli sguardi delle persone ritratte frontalmente con una grandissima dignità nel raccontare con sguardi e smorfie il significato di vivere nel West esprimendo sentimenti diversi raggiungendo un alto livello lirico delle stampe in bianconero con i bordi neri del negativo a vista per dimostrare che le fotografie non sono state tagliate. Lo stile inconfondibile di Avedon pone le figure davanti a uno sfondo bianco uniforme, che elimina qualsiasi riferimento al luogo, concentrandosi invece sull’individualità. Per capire la personalità di questo creativo newyorchese dobbiamo tornare all’intervista che Paula Span pubblica il 28 ottobre 1985 sul The Washington Post:
“Ho sempre pensato di non poter fotografare l’uomo comune […] Capivo la bellezza, la forza creativa, l’intelletto. Non sapevo nulla di cosa volesse dire essere un minatore di carbone o un camionista e non potevo fotografare ciò che non capivo. Perché un ritratto è un’opinione”.

Proprio perché un ritratto è un’opinione sul soggetto, la fotografia, come l’ha usata Avedon, non la esprime in quanto mette tutti sullo stesso piano, donne, ragazze, uomini, bambini. L’altro carattere distintivo del suo linguaggio è l’eliminazione del superfluo, non necessario. “Se guardo troppo a lungo in una folla, gli occhi si stancano. Letteralmente cominciano a bruciare. Saltavo in macchina, tornavo dritto al motel, chiudevo le tende, mi sdraiavo sul letto al buio. In 25 minuti ci riuscivo, mentre i miei assistenti cambiavano i rulli. Poi di nuovo giù alla fiera, al campo petrolifero, all’area di sosta. Il motivo per cui sono andato a Ovest è la mitologia. Sono cresciuto con John Wayne e Gary Cooper. E Cole Porter — Don’t Fence Me In. E Louis L’Amour e Zane Grey e i Marlboro men. E quando sono andato a Ovest ho guardato e non c’era nulla di tutto questo”. Avedon si era reso conto presto che l’immaginario creato dal cinema western e dall’iconografia del West non corrispondeva alla realtà fatta di depressione economica, disperazione e disagio, e ha provato ad aiutare le persone incontrate a riconquistare la loro dignità attraverso il ritratto, reale mezzo per esprimere sé stessi.

Leggi anche:
Daniela Trincia | L’Italia di Richard Avedon
Elio Grazioli | Cento di questi Avedon

Da quest’anno tutte le donazioni a favore di doppiozero sono deducibili o detraibili. SOSTIENI DOPPIOZERO (e clicca qui per saperne di più).
TAGGED: Richard Avedon