Occhio rotondo 11. La scarpa

16 Luglio 2023

Una scarpa è una scarpa. Nessuno oggi cammina più a piedi nudi, almeno sull’asfalto delle città. Le calzature esistono da migliaia e migliaia di anni nella forma più semplice del sandalo a parziale protezione del piede. Salvo nei mesi estivi, quando ritorniamo a indossare la forma più semplice di varia foggia, la scarpa ricopre il piede sia sotto che sopra grazie alla tomaia e alla suola. La sua invenzione non ha una data certa, sicuramente molto remota. Ancora oggi alcune popolazioni camminano a piedi nudi, ma in contesti diversi dalle metropoli moderne. Senza scarpa non si va da nessuna parte, come ricorda il Greco, personaggio della Tregua, a Primo, sopravvissuto al Lager nazista. Senza non si può cercare cibo o mettersi in salvo. I poveri poveri sono privi di calzature. Una condizione estrema nelle nostre città. Eppure mi capita spesso di camminare per le strade del centro come della periferia e trovare un paio di scarpe. O più spesso una scarpa sola abbandonata e se l'avessi fotografata ogni volta che la vedo, oggi avrei centinaia di sue immagini.

Più spesso tiro dritto, non senza aver gettato uno sguardo a queste scarpe. Mi è venuto in mente un racconto di Palomar, “La pantofola spaiata”. Il signor Palomar ha comprato nel corso di un viaggio in Oriente un paio di pantofole senza provarle. Il venditore le ha estratte a colpo sicuro da un mucchio e le ha date a Palomar che le ha prese e pagate. Tornato a casa si accorge che sono di due numeri diversi. Così immagina chi avrà ricevuto la scarpa spaiata. Si domanda chi sia e dove sarà ora. Come camminerà? 

La parola scarpa ha un etimo incerto. Viene da skarpa, una parola di origine germanica, che significa “tasca di pelle”. Ma lo stesso antico termine serve per indicare quella che in italiano è il termine “scarpata”, ovvero una superficie laterale inclinata. Il DELI, il dizionario etimologico di Zanichelli di Manlio Cortellazzo e Paolo Zolli, scrive che skarpa ci proviene dal germanico e significa: “appoggio, sostegno”. Alla stregua del signor Palomar mi interrogo su chi ora cammina con una sola scarpa. Come si fa a camminare con una scarpa sola senza quel sostegno? E l’altro piede? Sarà nudo o coperto da una calza? A volte mi capita di vedere una sola scarpa e entrambe le calze per terra.

In altre occasioni insieme alle scarpe c’è un mucchietto di abiti dismessi, gettati alla rinfusa. Sarà nudo il loro proprietario? Nella maggior parte dei casi sono scarpe da ginnastica, nella versione outdoor, da camminatore, oppure scarpe da basket – una volta si sarebbe detto “scarpe da tennis”, c’è anche una canzone di Enzo Jannacci in milanese che racconta di un “barbone” che le portava e anche una rivista fatta da chi vive per strada con questo titolo. Calvino nel suo racconto La pantofola spaiata finiva per ragionare sul processo di disgregazione del mondo. Un pensiero pessimistico, come è il suo libro, secondo cui gli effetti della frantumazione dell’ordine sono occultati dentro i grandi numeri che contengono e nascondono i casi singoli, come è capitato al signor Palomar nel bazar di quella città orientale. Ora sono in due a camminare per il mondo con le scarpe spaiate. 

Lo scrittore s’immagina il suo doppio come un’ombra che cammina zoppicando per un deserto. Ogni volta provo anche io a fare questo esercizio d’immaginazione. Chi sarà? Che storia avrà? E poi perché una scarpa sola? Non riesco quasi mai a visualizzare questo altro. È un fantasma, ma assai concreto, visto il numero rilevante di persone che oggi vivono per strada. Una volta sola, questa, ho scattato una fotografia della scarpa abbandonata.  

In copertina, Scarpa ©Marco Belpoliti.

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