Indicativo presente | Duecento giorni in classe / Diritti

15 Dicembre 2018

Il 10 dicembre del 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Settanta anni fa. Dopo la Costituzione degli Stati Uniti D'America del 15 settembre 1787 e la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino proclamata in Francia nel 1793, la Dichiarazione Onu è il documento più alto che noi possiamo leggere per renderci conto di cosa potrebbe essere l’uomo se aderisse alle sue potenzialità producendosi in buone pratiche e etiche azioni. Se effettivamente gli alieni non fossero ancora tra noi, sarebbe bello che la loro prima astronave sbarcasse sul Pianeta Terra governato globalmente dalla realizzazione di questi trenta articoli, così semplici e così pieni di buon senso.

L’abbiamo letta in classe. Due volte, in due giorni diversi, e giorni dopo in una verifica scritta ho fatto una domanda a risposta aperta in cui chiedevo cosa ricordassero di quelle letture. Cosa si è fermato nella loro mente di vecchi bambini/giovani adolescenti? Hanno scritto: «Diritto di uguaglianza, vivere, salute, lavoro, scuola, mangiare, vitare, viaggiare»; «che tutti siano fratelli e che nessuno sia discriminato per il colore della pelle. Che nessuno sia discriminato dal sesso e la nazione da cui viene. Tu non devi rubare oggetti altrui. Ogni detenuto deve avere un processo pubblico e un giusto processo con un avvocato che ti difenda. Ogni bambino ricco o povero possa andare in una scuola pubblica e non a pagamento»; «votare, esprimere la propria opinione, imparare a leggere e scrivere, essere curati gratis, lavorare, che non ci siano differenze tra le razze umane tra ricchi e poveri, tra uomini e donne»; «diritto di avere una casa, di andare a scuola, di lavoro».

 

 

I ragazzini oggi hanno molta coscienza dei loro diritti, meno dei loro doveri. Sono contaminati da una generazione di genitori italiani che per default sono esasperati contro qualcuno che li farebbe stare peggio di come si meriterebbero; tutti sono arrabbiati, frettolosi, ringhiosi, facili alla denigrazione, all’arroganza, all’insulto, alla svalutazione del prossimo. Più la loro famiglia è benestante più è distante dalla scuola, e della scuola si occupa solo quando arrivano insufficienze, debiti, bocciature: allora ecco che il genitore medio italiano scopre di avere un figlio che va a scuola, e che ha diritto di non portare fastidi in casa, come ripetizioni private a pagamento per rimediare o vacanze estive smerdate dall’esame di settembre. I ricchi fanno ricorso sfidando con costosi avvocati il Tar. La classe media semina veleni sulle chat WhatsApp svalutando le competenze dei professori. Oppure, in crescendo, genitori senza benessere e senza educazione direttamente prendono a calci o pugni i professori.

Soprattutto i ragazzi italiani di quartieri piccolo borghesi o borghesi pensano di avere soltanto diritti e nessun dovere: possono parlare tra di loro in classe, darti le spalle, non studiare, rifiutare di mostrarti il diario, maneggiare lo smartphone durante la lezione… ma se intervieni ricordando il patto fondato su regole e rispetto comuni urlano e si inalberano: «Lei questo non me lo può dire! Mio padre la denuncia! Lo smartphone è una mia proprietà privata non me lo può sequestrare! Se le do il mio telefono lei mi dia il suo!». 

 

Questo livello avvilente e meschino è così lontano dalle realtà di sofferenza e bisogno che ho nelle mie classi! Molti di loro non hanno internet a casa: la piattaforma Padlet dove posto i documentari che propongo loro in aula LIM ne ha collegati più o meno la metà; molti non hanno i soldi per comperarsi i libri, allora io rastrello le aule docenti, spolvero i mucchi di copie-saggio portate dai rappresentanti delle case editrici di scolastica e glieli regalo. Disegno schemi alla lavagna perché li copino e riescano a visualizzare e sintetizzare i concetti fondamentali che vorrei permettessero loro di ragionare sul passato, sul presente, sul mondo.

Quando parliamo di sottosviluppo in Africa, di imperialismo, di guerre, di schiavitù degli afroamericani abolita da Abraham Lincoln, Mwaka, che ha già ripetuto un anno e che è alto alto, magro magro, bello e fiero, smette di punzecchiare le compagne e tace: vuole che gli lasci il link di Blood & Glory, la docu-fiction che racconta la Guerra Civile Americana; a casa si è guardato integralmente le 4 ore della serie; ha preso pagine e pagine di appunti; la sua intelligenza improvvisamente è stata incendiata dalla consapevolezza di secoli di soprusi e violenza contro i suoi avi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=GnEKiw7LPvw

 

Mwaka battibecca spesso, vuole avere sempre l’ultima parola, in qualche modo è all’opposizione di un sistema oppressivo, europeo, imperialista di cui io per lui evidentemente sono un ufficiale. Ieri mi sono infuriato quando gli ho detto di non dire parolacce, e ribatteva ribatteva; quando gli ho urlato «Stai zitto!» lui mi ha urlato «Stia zitto lei!». La classe è ammutolita nel terrore per le conseguenze della sua sfida. Si è rifiutato di darmi il diario. Quali diritti riteneva di avere? Evidentemente quello di parola, di contrattazione personale delle regole: lui le può non rispettare. Muro contro muro in un’aula di un edificio-parallelepipedo, digrigniamo i denti e ci affrontiamo: Ribellione VS Repressione.

 

Giorni fa dopo un litigio un giovane collega gli ha allungato la mano dicendogli «Dai fratello!» e lui gliel’ha negata dicendo «Noi non siamo fratelli: io sono senegalese e Lei è italiano». Il collega mi ha detto che ci è stato male sino alla sera. Quando ho parlato dell’episodio a Mwaka lui mi ha detto: «Lui è un professore, io uno studente, non possiamo essere fratelli». Ieri, indignato per l’oltraggio, ho scritto una lunga nota disciplinare nel registro elettronico mentre la classe taceva spaventata. Poi siamo andati in aula LIM a vedere un documentario sulla Prima Guerra Mondiale. Quando è suonata la campanella Mwaka mi si è avvicinato e – addolorato – mi ha detto: «Che stupida la guerra! Le guerre scoppiano sempre per motivi stupidi».

Forse, ho pensato, tra poco riuscirà anche a mettere insieme la storia con il suo presente, con i suoi conflitti. Si è preso il diritto di capire, e io allora mi sono preso il diritto di sbagliare. Appena arrivato a casa gli ho cancellato la nota, perché le note disciplinari sono stupide.

 

8 dicembre 2018

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