Montisola / Paesi e città

23 Settembre 2011

Montisola è un luogo che sfugge alle definizioni, forse perché ogni singolo elemento che la costituisce pare abbia una voce, si sente come un brusio da torre di Babele: lago, monte, roccia, onda, albero, ognuno parla una sua propria lingua.

 

Prima si entra in molle sintonia con la fluidità dell’acqua: camminando sulla strada di asfalto che si accosta al lago verso Sensole, sembra di muovere i passi su un ponte, poi, mentre si sale da Peschiera a Menzino, qualcosa cambia, e gli occhi iniziano ad apprezzarne i lineamenti aspri: le forme nude delle rocce, l’ossatura del monte che si innalza dalle rive del lago e rivela, con le sue incisioni e le striature, l’intima architettura dell’isola, i segreti della sua nascita. Gli strati rocciosi a picco sulla strada stanno quasi a indicare il percorso per raggiungere la cima: una grande pietra solitaria appoggiata sulla sommità del monte come un cappello.

Se si scende verso il lago invece, pare che qualcosa si srotoli: si lasciano gli alberi, la terra, il bosco e si giunge di nuovo a riva, senza accorgersi della strada percorsa e di quanto tempo sia passato.

 

Montisola è anche un posto asimmetrico, irregolare, instabile.

È anomala, come anomali sono certi luoghi che solo pochi conoscono, intervalli spaziali, “svirgole” direbbe Calvino, in cui terra e acqua si confondono.

La grotta dell’Orecéra, a Cure, proprio dietro il Santuario della Ceriola che davvero sembra la cavità di un orecchio, da cui si percepiscono rumori e sussurri che ricordano l’ansare dell’acqua, anche se in quel luogo non vi è traccia di corrente o di fiume.

Quel punto, a Siviano, in fondo al cortile delle scuole elementari, a picco su una strada che porta verso il Porto, e proprio lì, dove sembra che il lago e la terra si uniscano, a dispetto dell’orizzonte liquido, si stringevano alleanze segrete e patti di amicizia destinati a durare per anni.

C’è anche un’altra cosa che si può vedere solo a Montisola, così almeno credo: i cimiteri di Siviano, Peschiera e Carzano guardano il lago, tutti a distanza, dall’alto quasi a volerne fare una veglia perpetua o forse per fuggire a chissà quale paura, quella di sprofondare nelle acque, sciogliersi e perdere la propria consistenza.

 

Ma l’isola è fatta anche di terra. In alto, sotto Cure c’è una piccola pianura che si chiama “Terra promessa”, lontana dall’acqua, distante dalle barche, dai pescatori, dalle reti di Peschiera. Il solo posto rimasto intatto, libero dalle nuove costruzioni, forse il suo nome incute timore o una forma di antica gratitudine per quel lembo di terra che consentiva di sopravvivere a coloro che lo coltivavano.

E se si scende verso Olzano e Masse, si incontrano gli spazi occupati dai massi erratici nascosti nei prati e sparsi su sentieri sinuosi talvolta difficili da raggiungere, dove il confine tra presente e passato si fa labile: sono i luoghi proibiti dei sabba dicono i racconti popolari; i luoghi delle narrazioni e delle storie si potrebbe dire oggi, dove accendere un fuoco è davvero come accendere un racconto.

 

Per questo nascere su un’isola non vuole dire solo “essere d’acqua”, ma non sapere bene qual è la tua natura, il tuo segno, qual è la materia che in te è predominante.

Per certi aspetti anche Montisola è fatta così.

Ha perfino due nomi. “Montisola”, che vuole dire il luogo geografico, la montagna ubicata nel centro del lago prealpino denominato Sebino e comunemente detto Lago d’Iseo, e il comune, “Monte Isola”, che oggi corrisponde anche alla geografia del luogo, mentre fino al 1928 vi erano due Comuni, quello di “Mont’Isola” e quello di Peschiera”. Tutta l’isola venne poi accorpata in un’unica unità amministrativa, il Comune di Monte Isola, costituito da undici frazioni, delle quali alcune molto piccole, solo pochi gruppi di case come Novale, Porto di Siviano e Sensole. Gli altri nuclei sono: Siviano, dove ha sede il Municipio; Carzano e Peschiera, i due punti di collegamento con le sponde della terraferma; Menzino, Senzano, Masse e Olzano, a mezza collina, e Cure quasi sulla cima dell’isola.

 

Così detto è tutto molto semplice. Sembra persino vero. Tuttavia bisogna stare attenti: l’isola è pericolosa come una tentazione, e poi è un luogo magico, e per come tutti i luoghi magici bisogna essere pronti sia alla fuga che all’oblio.

Oppure come nel mio caso arriva un giorno che la si deve lasciare, non so bene per quale motivo, o forse sì: credo che la vera ragione abbia a che fare con l’idea che la voglio tenere per me soltanto, lontana da tutti, vuota, a galleggiare nella mia testa.

 

 

 

 

Foto di Fiorello Turla

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