Speciale

Paesi e città. Sant’Agata di Militello

12 Settembre 2025

Dalla spiaggia, in una giornata ventosa ma di piacevole ristoro, per spiegarmi storia e realtà del posto in cui vivo, guardo verso occidente: la schiera dei golfi di Caronia, di Santo Stefano, di Cefalù; e più oltre, ma visibile solo in una giornata limpida come questa, quello di Palermo. E a Palermo, da Sant’Agata di Militello, mirava anche Vincenzo Consolo.

k

Da questa Finisterre, nella parte settentrionale della costa tirrenica della Sicilia, a metà strada tra due province dalle opposte parabole (Messina e Palermo), dove i segni della storia si fanno sempre più labili e a trionfare è la natura benigna e gentile della corona dei Monti Nebrodi, mentre all’orizzonte, tralucenti sentinelle, stanno le isole dolci del Dio: le Eolie. Da qui, dicevo, Consolo aveva preso a guardare verso quell’approdo di stratificazioni culturali che è Palermo, per resistere alle sirene dell’idillio, del sonno beato che imbriglia. E a Sant’Agata, già di sommesse vicende – in origine piccolo borgo di pescatori, formatosi attorno al Castello sei-settecentesco, poi luogo di consulta dei notabili della zona –, aveva saputo donare una più nobile identità, facendola entrare a pieno titolo, tra gli anni Sessanta e Settanta, nella geografia letteraria, nel novero di luoghi e di voci che s’erano intrecciati e continuavano a intrecciarsi nell’Isola, in una conversazione ininterrotta.

k

Accanto alle mappe di Verga e dei veristi; di Pirandello e di Borgese; dei vari Lanza, Savarese, Brancati, Quasimodo e Vittorini; accanto alla Racalmuto di Sciascia, all’Aspra di Buttitta, alla Comiso di Bufalino, alla contrada Vina di Capo d’Orlando del barone magico Lucio Piccolo o alla Cutusìu del bardo Nino De Vita – alla cartoteca dell’isola si aggiungeva così la Sant’Agata di Militello di Vincenzo Consolo. Luogo divenuto, per l’ultimo dei grandi scrittori siciliani, fulcro di legami, d’incontri e di passaggi, nei frequenti ritorni in Sicilia, nelle primavere precoci o nelle calde estati. Di quella Sant’Agata minuziosamente descritta, con occhio topografico, nel Sorriso dell’ignoto marinaio, che faceva da teatro alla formazione del giovane protagonista dell’esordiale La ferita dell’aprile; o che possiamo ritrovare, cesellata per frammenti, nella serie di racconti e schegge di memoria delle Pietre di Pantalica e di La mia isola è Las Vegas; o ancora in taluni passaggi dolenti di L’olivo e l’olivastro – sembra quasi non esservi più traccia.

Quello di Consolo con Sant’Agata fu, come scrive Massimo Onofri in Passaggio in Sicilia, un rapporto conflittuale e di «quasi rabbioso amore». Da magnifico ossimoro vivente – marxista di pensiero e barocco di penna – in effetti, i primi a non comprenderlo furono proprio i suoi compaesani. Del resto, di che stupirsi quando le élite locali, prima fasciste e poi democristiane, avevano preso il sopravvento? Per non dire di come la sua eredità sia ridotta a brandelli, polverizzata e resa irriconoscibile caricatura – ma questa è altra storia.

La vicenda del microcosmo santagatese, dal secondo dopoguerra in poi, ricalca in nuce quella della Sicilia tutta: terra dal potenziale sconfinato, ma che ancora attende un definitivo, seppur tardivo, decollo.

Adagiata tra le fiumare del Rosmarino a est e dell’Inganno a ovest, vera e propria porta d’accesso verso l’ampio e ricco hinterland nebroideo, importante centro amministrativo e commerciale, per la sua invidiabile collocazione geografica, Sant’Agata avrebbe dovuto conoscere un radioso destino di sviluppo. Eppure, a fronte di sì grandi potenzialità che l’hanno resa nel tempo capitale naturale di un territorio assai ricco di storia e cultura, a oggi è ancora un paese bloccato nel suo bozzolo d’inedia: condannato a uno stato d’inguaribile minorità, perennemente in attesa di un salvifico balzo in avanti. Caso emblematico di questo cronico ritardo, l’ingolfato completamento di quel porto turistico e commerciale che avrebbe dovuto assicurare il sospirato cambio di passo, e che è invece ancora oggi un cantiere aperto: opera in cerca di compimento da più di quarant’anni!

k

Sembra essersi realizzato per il paese quel timore di «scivolare nel sonno» che fu la preoccupazione prima di Vincenzo Consolo, inducendolo, alla fine degli anni Sessanta, a lasciare (con il fardello mai risolto dei sensi di colpa) Sant’Agata e la Sicilia per la non meno amata-odiata Milano. A lui è stata reintitolata la centrale piazza Vittorio Emanuele II, suscitando il mal di pancia di qualche nostalgico; e dedicata la ‘Casa della letteratura’ al Castello Gallego, dove è stata accolta la biblioteca dell’abitazione santagatese dello scrittore.

k

Quella stessa piazza su cui affacciava la casa d’infanzia e da cui aveva ascoltato e visto (si legga il raccontino La testa tra i ferri della ringhiera) il film della Storia che passa anche dai luoghi più ignoti e periferici («Vidi e vidi, da quel balcone, in quel lontano tempo della mia infanzia e della mia adolescenza»): adunate e parate; colonne di tedeschi prima, dopo lo sbarco di angloamericani; e i comizi del secondo dopoguerra – dei comunisti, dei socialisti, dei democristiani – in un’Italia finalmente libera…

Che paese è quello che fa fatica a tenere vivo il ricordo del suo cittadino più illustre, e non sa andare oltre un burocratico memorare? Che paese è quello che, per paradosso, non riesce nemmeno a vocarsi in pieno alle logiche dello sviluppo contemporaneo? Che paese è quello che mostra, dunque, di miseramente fallire su entrambe le sponde dell’essere e dell’avere?

Anch’io sono rimasto, silenzioso, a scrutare appeso a una ringhiera, in un luogo che continuo (ma con difficoltà) ad amare e da cui un giorno, di fronte allo sconquasso, sarei dovuto partire con un bagaglio leggero e privo di rimorsi. Intendiamoci, un buon posto dove diventare vecchi, per la clemenza del clima, per gli ampi spazi, per la soavità dell’aria; epperò bloccati sine die in un torpido svernare: culla d’inscalfibile lontananza, molle ombelico d’una impasse – culturale, storica, sociale –, divenuta oramai quasi metafisica.

A sopravvivere – figura d’utopia –, è una Sant’Agata di carta da salvare, una calviniana città invisibile che, nelle sue contraddizioni, è fatta di posti tramutati in altro o cancellati; di voci e persone troppo presto involate; di destini incrociati e ora irrimediabilmente dissolti e di sentieri biforcati, se non del tutto interrotti.

In un paese in cui sembra che a prevalere sia sempre più l’olivastro, il non coltivato che infesta e attanaglia, e a prosperare – beati – gli eterni gattopardi, a minima consolazione rimane quel miracolo di trascurata bellezza che sono gli oltre tre chilometri di litorale, simbolo forse più eloquente della dissipazione del luogo, e dominati da una procace Sirena, ninfa e insieme sbalordita testimone di un ciclopico spreco: a fronte di tanta grazia ricevuta, poca speranza.

Leggi anche:
Silvia Bottani | Paesi e città. Rimini
Gianni Bonina | Paesi e città. Modica
Alessandro Cinquegrani | Paesi e città. Treviso
Maurizio Sentieri | Paesi e città. Celle Ligure
Chiara De Nardi | Paesi e città. Cusano Milanino
Pino Donghi, Josephine Wennerholm | Paesi e città. Frascati
Maria Luisa Ghianda | Paesi e città. Terracina

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO