Eredi Boggiano: l’albero genealogico degli schiavi

30 Settembre 2025

“A Trinidad c’era un uomo che in piazza Céspedes affittava sedie a bianchi e neri, ma lui pure non poteva sedersi dove voleva.” Così inizia il saggio storico dell’artista Cristiano Berti (Torino, 1967) che negli ultimi anni ha dedicato la propria ricerca alla ricostruzione della discendenza genealogica di Antonio Boggiano, di origine savonese e giunto a Cuba nel 1796, installato a Trinidad, operante nel mercato di schiavi e proprietario terriero.

Berti intraprende a tutti gli effetti una ricerca di natura storica, trasportando questo flusso di lavoro e di scoperta all’interno dello spazio dell’arte: la grande installazione (“Discendenza di Rosa, Francisco e Liberata Boggiano”, 2018-25), visibile presso la galleria Guido Costa Projects a Torino fino al 10 ottobre per la mostra “Eredi Boggiano”, è uno dei grandi alberi genealogici che l’artista è riuscito a comporre finora, diramato sulle grandi pareti della galleria.

Perché proprio la storia dei Boggiano, verrebbe da chiedersi. “La storia dei Boggiano ha il sapore della libertà più ancora che della schiavitù”, recita il testo di sala, e in effetti scopriamo che tutti coloro che dal XIX secolo a oggi portano il cognome Boggiano, sono i discendenti degli schiavi di Antonio dopo aver riacquisito la propria libertà.

Unire e sovrapporre la ricerca storica a quella artistica, rendendo di fatto la genealogia oggetto di contemplazione, oltre che di studio, e una specifica discendenza soggetto installativo oltre che documentario, ha delle conseguenze. Uno spostamento semantico importante, o per lo meno un decisivo ampliamento di sguardo, che ci permette di apprendere sotto altre forme la specificità di un accadimento, di un passaggio storico rimasto come dato indelebile, effettivo, nella biografia di alcune persone che mai altrimenti avremmo incrociato. Ma la specificità del soggetto “Boggiano” scandagliato con perizia scientifica da Cristiano Berti non è l’unica faccia del lavoro, che rappresenta il secondo capitolo di quelli che l’artista ha definito “Cicli futili”.

k

L’estremamente specifico, infatti (ovvero la verticalizzazione ad infinitum di questa ricerca) pare in qualche modo un velo, posto a coprire l’estremamente simbolico che il soggetto comunque suggerisce: i primi Boggiano sono schiavi divenuti liberi, il cognome del padrone diventa il marchio della nuova vita. Chi oggi ne parla, gli eredi vivi che Berti ha incontrato, filmato e fatto fotografare a Cuba, ne parlano come una traccia della propria origine, quel qualcosa di indelebile che nasconde l’intera storia a cui ognuno di loro appartiene. Nel video, sempre esposto in mostra, “Pero está por ahí, ¿no?” del 2020, vediamo gli eredi Boggiano – gli stessi che ritroviamo nei ritratti ovali come unici volti contemporanei della loro discendenza secolare – confrontarsi sul tema della schiavitù, dell’origine, dell’identità. Citando a memoria, qualcuno dice all’incirca così: “È strano pensare che i grandi imperi, come l’impero romano, abbiano fondato molto spesso la propria potenza sulla schiavitù. Chissà quanti, oggi, in Italia, discendono da quegli schiavi. Magari persone che ora hanno invece successo e stanno ai vertici della società.”

Il discorso sull'origine diventa in qualche modo discorso di classe, sempre attuale nel corso delle epoche; dentro un cognome esiste a tutti gli effetti il gene della radice e trovarla, o quantomeno intravederla, è per Berti il motivo stesso della ricerca, capirne il sentiero lunghissimo.

Sulle pareti non vediamo altro che le diramazioni bianche che confluiscono verso i cartelli che riportano i nomi e le date dei Boggiano più antichi, un cognome che si riverbera e ricostruisce il proprio scheletro storico fino ai volti di oggi.

Naturalmente, ripercorrere le fila dei Boggiano significa entrare di petto nella storia sia italiana, sia cubana degli ultimi secoli, come in effetti fa Berti nel suo saggio Eredi Boggiano, edito da Quodlibet nel 2022. Quando Berti ci racconta dei movimenti rivoluzionari insorti contro Machado negli anni Trenta, così come del mercato di costruzione navale attivo a Varazze nei secoli scorsi, di fatto assistiamo alla complessa ricostruzione delle decadi dentro cui il cognome Boggiano si è tramandato, o stava nascendo, o stava comunque viaggiando nei cunicoli del tempo.

La ricostruzione storica, nel suo flusso di lavoro privo di qualsiasi invenzione in favore del puro scavo e della ricerca di dati, poteva in fin dei conti restare entro i confini dell’ambito documentaristico (la logica del video e del saggio storico che abbiamo citato è appunto quella). Eppure si decide di trasportarla sulle pareti delle Biennali, di Casablanca prima (2018) e dell’Avana poi (2024), oltre che della galleria torinese in cui è attualmente esposta.

k

Quando Mario Costa parlava dell’”estetica della comunicazione” come di quel filone di ricerca artistica sviluppato negli anni Ottanta – diremo qui molto sommariamente – che vedeva il mezzo comunicativo (satelliti, video, frequenze) al centro del discorso artistico e privato del contenuto (è la connessione grazie alla tecnologia che interessa, e non tanto cosa viene detto nel connettersi) qui potremmo dire che assistiamo al massimo del contenuto, la sua purezza, sviscerato con l’unico mezzo della ricerca storica.

Il discorso formale risulta infatti manifesto solo nell’ultimo passaggio del lavoro di Berti (la grande installazione a parete, il video). Il cortocircuito avviene proprio in questa fase. Quando capiamo che l’opera è la storia stessa, sono i nomi, è la ricerca, qualcosa di così lontano da noi; e il discorso, seppure amplissimo, si restringe in assenza di metafore, significati altri, rimandi o evocazioni. La storia di una discendenza non può essere altro che lo specchio di sé stessa, di chi ci ha navigato dentro. Ogni altra informazione o considerazione non può che fare riferimento ad essa, ai dati contingenti che l’hanno generata. Ed è in questo senso che la reale domanda, forse, giunti alla fine dell’albero genealogico, centinaia di nomi, e ai volti che ci guardano di questi ultimi Boggiano viventi, non è chi sia stato Antonio Boggiano, ma chi sia Cristiano Berti, ovverosia l’artista che vuol mettersi sulla pista di questa storia. Scopriamo che lassù, oltre i nomi più antichi che quasi sfiorano il soffitto della galleria, è sì nascosto il nome di Antonio Boggiano, ex-padrone e mai padre dei propri discendenti, ma anche quello dell’artista che di colpo ha voluto rievocarlo.

“Non ti accorgi che sei un vivo in dialogo coi morti?” recita l’Oreste di Sofocle, e Berti non è dissimile, per certi versi, a chi ugualmente ricerca le voci di chi può esistere soltanto più nei documenti che ne hanno segnato il passaggio: un certificato di nascita, di morte, di matrimonio, un atto di vendita. La fotografia, quando Boggiano arrivò a Cuba, ancora non esisteva nella sua forma definitiva. Sarebbe comparsa in Europa più di quaranta anni dopo; quando morì nel 1860 si era ancora agli albori della nuova tecnica.

Di molti di quei nomi, a differenza di ciò che consente la tecnologia moderna, possiamo sapere tutto ciò che di essi è sopravvissuto, tranne i volti: tutto è in mano a ciò che è stato in grado di conservarsi e tramandarsi e a chi, oggi, ha deciso di essere vivo e parlare ai morti.

Si noterà d’altronde che il saggio storico di Cristiano Berti lascia molti spiragli all’io narrante: in molti punti, a più riprese, Berti spunta da dietro le quinte e confessa i propri pensieri di storico là dove, magari, non è riuscito a colmare un vuoto di notizie, o supponendo ad alta voce alcune conclusioni circa luoghi geografici o etimologie.

Berti, l’autore, lo storico, l’artista, c’è; è del tutto presente dentro il flusso di ricostruzione storica dei Boggiano. Ed è nel passaggio che fa dell’artista/storico un soggetto in ombra e allo stesso tempo il vero motore del processo che possiamo cogliere quella sfumatura che fa dell’io autoriale qualcosa sempre in bilico tra un’assenza dichiarata e una presenza necessaria dietro tutto ciò che vediamo.

Come a dire che l’io di chi si mette sulle tracce di una qualsiasi storia diventa il prisma reale (fotografico) in cui il passato può di nuovo tornare visibile e intelligibile, non più spettro o soggetto ignoto, bensì realtà accaduta, e ora di nuovo palese.

Da quest’anno tutte le donazioni a favore di doppiozero sono deducibili o detraibili. SOSTIENI DOPPIOZERO (e clicca qui per saperne di più).