Properzio

3 Ottobre 2014

"Catastrofica illeggibilità": così sentenziava, a proposito di Properzio, un poeta italiano contemporaneo di cui non faccio il nome. Sono passati alcuni anni da quella sentenza di condanna inappellabile. Ma i versi di Properzio, nonostante tutto, continuano ad essere letti. Quelli del poeta italiano contemporaneo un po' meno.

E perché mai poi dovrebbe essere illeggibile un poeta come Properzio? Nessuno ha descritto meglio di lui il sonno della donna amata. Neanche Omero. Neanche Proust.

 

 

Cinzia dorme, abbandonata alle onde del sonno come Arianna, come Andromeda, come una baccante che ha folleggiato sui monti tutta la notte, ed ora è sfatta dalla fatica. Properzio, vedendola così inerme sul letto, è preso da un forte desiderio. Ma preferisce solo contemplarla. La guarda rapito con occhi intenti (sic intentis haerebam fixus ocellis). Le ricompone i capelli arruffati. Spia i suoi sospiri. Cerca d'indovinarne i sogni. Finché un raggio di luna la sveglia.

Cinzia era così bella che non aveva bisogno di vesti preziose e trasparenti, per aumentare la sua bellezza. Non aveva bisogno di trucco. Non aveva bisogno di profumi o di mirra siriana.

Petali di rosa che nuotano nel latte (rosae puro lacte natant folia): così era la sua pelle.

I suoi occhi catturarono Properzio in un incanto senza fine. E Properzio aveva un vizio: non sapeva smettere d'amare.

Alcuni dicono che tutto ciò, tutte queste elegie d'amore non erano che una finzione, un semplice gioco di società. Che Cinzia era lo pseudonimo di una delle molte etère (o prostitute d'alto bordo) che popolavano la società tardo-repubblicana e primo-imperiale di Roma antica. Che Properzio non credeva minimamente alle parole che scriveva. Sarà.

Eppure una notte, Cinzia gli apparve in sogno. A Properzio. Lei era morta. Il loro amore, durato anni con vicende alterne, era finito. Per sempre. Cinzia aveva i capelli e i vestiti bruciacchiati. Scampati al rogo funebre. Aveva gli stessi occhi che da viva, però. Brillanti. Fiammeggianti. E, al dito, il suo solito anello di berillo. Solo le labbra erano lievemente scolorite, per via dell'acqua del Lete, o di altri fiumi ultraterreni.

Da queste labbra esangui esce una dura requisitoria contro Properzio: come aveva potuto dimenticarla? Dimenticare i loro incontri furtivi, nei quartieri malfamati, agli angoli delle strade, nei crocicchi periferici? Si erano amati per strada, dietro una siepe, stesi su un mantello. Così forte era stato l'ardore. E ora, più niente? Nemmeno l'ombra di un ricordo?

Lei era morta, certo. Ma i Mani, le Ombre dei Morti, sono pur qualcosa. Qualcosa di reale. Più reale della realtà.
Cinzia adesso dimorava tra le musiche dell'Aldilà, in un eterno aroma di rose (mulcet ubi Elysias aura beata rosas).

E la notte vagava sulla Terra, perché la notte libera le ombre (nox clausas liberat umbras).

Non creda Properzio di essersi liberato di lei. Anche se ora se lo godono altre donne, presto le loro ossa, le ossa di Properzio e le ossa di Cinzia, saranno mescolate in un'unione senza fine (mecum eris, et mixtis ossibus ossa teram).

Come Orazio, anche Properzio era amico di Mecenate. Anche a lui, come a Orazio e a Virgilio, Mecenate chiedeva versi celebrativi. Poesie e poemi per eternare le imprese di Augusto. Ma Properzio, a differenza di Virgilio e Orazio, resisteva.

Le mie battaglie, sosteneva Properzio, sono quelle del letto (nos contra angusto versantes proelia lecto). E il letto era anche piccolo.

La sua Iliade, era un'Iliade d'amore.

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